Opere non amovibili su suolo demaniale. L’art. 49 cod. nav. vale anche per il rinnovo senza soluzione di continuità? Il quesito all’esame della Corte di Giustizia
In tema di opere non amovibili costruite su suolo demaniale, con una recentissima ordinanza, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi sulla compatibilità con gli artt. 49 e 56 TFUE dell’art. 49 cod. nav.
L’art. 49 cod. nav. prevede che: “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, re stano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato.
In quest’ultimo caso, l’amministrazione, ove il concessionario non esegua l’ordine di demolizione, può provvedervi d’ufficio a termini dell’articolo 54”.
La Corte di Giustizia sarà così chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della cessione, a titolo non oneroso e senza indennizzo in favore del concessionario, alla scadenza della concessione, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale per l’esercizio dell’impresa balneare, quando la concessione, benché rinnovata in forza di un nuovo provvedimento, non ha trovato mai soluzione di continuità.
I fatti all’origine della controversia
La società ricorrente è titolare, sin dal 1928, di uno stabilimento balneare situato su demanio marittimo in Toscana. In costanza dei titoli concessori prorogatisi nel tempo, la ricorrente aveva costruito legittimamente dei manufatti sul suolo demaniale, parte dei quali erano stati incamerati negli anni ’50-’60.
Nel 2007 il Comune aveva riqualificato alcune di queste opere come pertinenze demaniali, in ragione della loro difficile rimozione, reputandole acquisite al patrimonio dello Stato ex lege.
Nel 2008 il Comune aveva poi comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento per l’incameramento di altri manufatti non ancora acquisiti, senza tuttavia mai concludere l’iter di incameramento. Allo stesso tempo, tuttavia, il Comune aveva continuato a rinnovare la concessione demaniale.
Nel 2014 la ricorrente aveva dichiarato al Comune che tutte le opere incidenti sull’area demaniale, potendo essere rimosse entro 90 giorni, erano da considerarsi di facile rimozione, così come previsto dalla modifica intervenuta nel settembre 2013 al Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo della Regione Toscana.
Il Comune aveva disatteso la dichiarazione sul presupposto che sull’area demaniale data in concessione insistessero dei beni già acquisiti dal patrimonio statale in base all’art. 49 cod. nav. Sulla base di ciò, in sede di proroga della precedente concessione oggetto di rinnovo, il Comune, riaffermando la qualificazione di pertinenze demaniali dei fabbricati presenti sull’area oggetto di concessione, procedeva altresì alla rideterminazione, in aumento, dei canoni concessori.
La società concessionaria impugnava tutti gli atti del Comune. Il TAR Toscana, tuttavia, respingeva le censure promosse. La società, dunque, ricorreva al Consiglio di Stato.
La posizione della Società e del Comune
Secondo il concessionario, l’incameramento di opere difficilmente amovibili realizzate su porzioni del suolo demaniale oggetto della concessione ex art. 49 cod. nav. (in ipotesi di rinnovo del titolo concessorio senza soluzione di continuità), senza riconoscere al concessionario medesimo alcun indennizzo, sarebbe in contrasto con il diritto eurounitario e con il principio di proporzionalità delle restrizioni delle libertà fondamentali sancite dagli artt. 49 e 56 TFUE.
Nel caso di rinnovo del titolo concessorio senza soluzione di continuità, come quello in esame, il provvedimento con cui viene disposto l’incameramento dei manufatti sarebbe, secondo il ricorrente, abnorme in quanto produrrebbe un duplice effetto sfavorevole: da un lato, il bene oggetto di concessione diverrebbe meno attrattivo per gli operatori economici di altri Stati membri; dall’altro, restringerebbe in maniera eccessiva i diritti del concessionario determinando, in altri termini, una cessione non onerosa di beni di sua proprietà in favore dello Stato, in un momento in cui non sussisterebbero le condizioni previste dall’art. 49 cod. nav., non essendo di fatto mai cessata la concessione.
Il Comune costituitosi in giudizio, di contro, ha evidenziato che la concessione non era stata priva di soluzioni di continuità e che la mancata apposizione alla concessione di una clausola specificamente contraria all’incameramento aveva permesso al concessionario di valutare la perdita della proprietà delle opere da esso realizzate e di ritenere comunque sussistente un equilibrio economico della concessione (ritenuta sufficientemente remunerativa “essendo ubicata, fra l’altro, in una località tra le più rinomate d’Italia”). In tal senso, dunque, l’art. 49 cod. nav. non solo sarebbe pacificamente applicabile al caso di specie ma sarebbe, secondo il Comune, compatibile con il diritto europeo.
Le ragioni del rinvio pregiudiziale
Il percorso argomentativo seguiti dai giudici d’appello muove essenzialmente dal campo di applicazione dell’art. 49 cod. nav.
L’art. 49 cod. nav., ribadiamo, stabilisce che “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
Richiamando la giurisprudenza maggioritaria in materia, i giudici ricordano che l’art. 49 cod. nav. presenta delle analogie con l’istituto dell’accessione di cui all’art. 934 c.c., ed è stato interpretato nel senso che l’acquisto si verifica, ipso iure, al termine del periodo di concessione e va applicato anche in caso di rinnovo della concessione stessa: dopo l’estinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, infatti, il rinnovo, a differenza della proroga, implica una nuova concessione in senso proprio, con automatica produzione degli effetti di cui al predetto art. 49 cod. nav. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6852).
Solo nel caso in cui il rinnovo intervenga prima della scadenza naturale della concessione, configurandosi una sorta di vera e propria proroga, l’art. 49 cod. nav. può essere escluso. In tal caso, infatti, la giurisprudenza ritiene che le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale, ai sensi dell’art. 952 c.c., restano di esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell’effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione e per esse non è dovuto un canone ulteriore (cfr. Cons. St., Sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 229).
I giudici hanno tuttavia ritenuto necessario disporre un rinvio pregiudiziale alla CGUE al fine di rintracciare una corretta interpretazione dell’art. 49 cod. nav. in rapporto agli artt. 49 e 56 TFUE, con particolare riferimento ai casi di rinnovo senza soluzione di continuità.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha formulato il seguente quesito: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”.
(Cons. St., Sez. VII, 15.9.2022, n. 8010)
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