Conflitto di interessi: quando c’è responsabilità erariale?
Conflitto di interessi: quando c’è responsabilità erariale?
Il conflitto di interessi nella pubblica amministrazione è un tema sempre più d’attualità, specie quando è la magistratura contabile a doverne definire l’ambito applicativo ed i relativi confini.
Allorquando trattasi di vicende attinenti a procedimenti ad evidenza pubblica, il riferimento normativo privilegiato può rinvenirsi certamente nell’art. 16, d.lgs. 36/2023 (in armonia con il principio della fiducia); per i fatti oggetto della vicenda che qui analizziamo, invece, nell’abrogato art. 42, d.lgs. 50/2016 e s.m.i.
L’art. 42, comma 2, d.lgs. 50/2016 e s.m.i., con valenza anche nella fase esecutiva dei contratti pubblici, dispone che “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazioni di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62”. Al successivo comma 3 è esplicitato che il personale che versa nelle ipotesi di cui al precedente comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni e che la mancata astensione costituisce “fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico”.
Sussiste un preciso obbligo di vigilanza in capo alla stazione appaltante affinché essa accerti che gli adempimenti prescritti dalla norma siano puntualmente rispettati; viceversa, secondo le previsioni della disciplina generale del procedimento amministrativo, il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endo-procedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi.
Si tratta di una serie di previsioni che, in alternativa al tradizionale modello sanzionatorio fondato su forme di tutela repressiva, è ispirata ad anticipare proprio la soglia di tutela dell’azione amministrativa con lo scopo di prevenire i fenomeni legati alla corruzione (si badi bene, non vi è una necessaria coincidenza tra conflitto di interessi e corruzione) e che nel settore delle procedure ad evidenza pubblica garantisce la parità di trattamento degli operatori economici.
Così descritto lo scenario giuridico di riferimento, quale è stato il motivo che ha originato il procedimento innanzi alla magistratura contabile nei confronti di un responsabile amministrativo?
La narrativa dei fatti presenta degli aspetti peculiari che possono così di seguito essere riassunti.
La lite, infatti, attiene all’accertamento della sussistenza di una responsabilità erariale per una (presunta) condotta dolosa causativa di un danno per un Comune cagionato, secondo la prospettazione della procura, dalla mala gestio di un rapporto amministrativo avente ad oggetto un’area del cimitero comunale; al dipendente comunale convenuto in giudizio, infatti, veniva contestato di aver percepito denaro dalla famiglia e di aver adottato un successivo atto di concessione (in favore di un terzo, prossimo congiunto) illegittimo in quanto viziato da conflitto di interesse ed in difetto di procedura comparativa, omettendo di darne avviso pubblico.
L’assenza della procedura selettiva avrebbe causato, dunque, un vantaggio patrimoniale ingiusto in capo alla responsabile del settore amministrativo, dando origine, altresì, ad un procedimento penale.
La pronuncia del giudice contabile è puntuale ed articolata allo stesso tempo, ed è riassumibile in meno di 8 parole: “Il conflitto di interessi non risulta pienamente dimostrato”.
L’elemento motivazionale che qui rileva sotto tale profilo poggia su due elementi: il provvedimento amministrativo (atto concessorio della cappella in favore di terzi) era illegittimo perché basato su una concessione cimiteriale priva di effetti perché scaduta; nel corso della trattazione del giudizio era emerso, altresì, che non sussisteva alcun diritto dei parenti della responsabile convenuta riguardo alla cappella al momento della condotta, parentela non rientrante nella nozione di “prossimi congiunti” di cui all’art. 307 c.p.
L’ulteriore profilo meritevole di richiamo è la questione dell’omessa avvio della procedura comparativa: correttamente la Corte ha ravvisato, anche in tal caso, l’assenza di comprova della condotta foriera del danno, precisando che “eventuali privati che si fossero ritenuti lesi sotto il profilo della concorrenza, per non aver potuto ottenere la cappella in concessione, avrebbero ben potuto impugnare dinanzi al TAR la determina … per farla annullare per carenza di previa procedura comparativa ed ottenere così piena soddisfazione dei loro diritti”.
Assume, conclusivamente, un rilievo particolare il principio di diritto dedotto dalla Corte, che suona come un eco alla correttezza dell’operato svolto dal convenuto nel caso di specie: “La mera rilevazione di un conflitto di interessi potenziale non basta, quindi, a dimostrare la sussistenza di un danno erariale, ove il medesimo non si sia tradotto in una concreta lesione del principio di concorrenza”.
Non può sottacersi che la vicenda presenta notevoli spunti riflessivi in una tematica, quella del conflitto di interessi, che deve sorreggere sempre e comunque l’attività e l’organizzazione amministrativa; tuttavia, come ben evidenziato dal Giudice contabile, occorre pur sempre dimostrare la sussistenza di un danno erariale secondo i tradizionali criteri onde garantire l’efficienza della tutela giudiziale e la salvaguardia degli interessi pubblici.