I confini delle reciproche concessioni nel contratto di transazione

I confini delle reciproche concessioni nel contratto di transazioneLa transazione è l’istituto finalizzato a conseguire il superamento del conflitto sfociato in una lite, o per prevenire quest’ultima, attraverso reciproche concessioni che danno vita ad una nuova regolazione del rapporto intersoggettivo non più conflittuale.

Il presupposto primario del contratto di transazione è, quindi, che ci sia una lite attuale o una potenziale, – giacché funzione della transazione è anche quella di porsi quale strumento negoziale di prevenzione di una lite-, e che ciascuna parte sacrifichi in parte la propria pretesa, mediante reciproche concessioni.

Con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione si è espressa in tema di transazione, sotto il profilo delle reciproche concessioni.

I fatti

Una società ingiungeva, nei confronti di un’altra società, il pagamento del corrispettivo per lavori di manutenzione eseguiti. In punto di fatto, la società ricorrente deduceva di essere addirittura creditrice di un importo maggiore rispetto a quello azionato in via monitoria, giacché in forza di un accordo concluso con la società avversaria l’entità del credito era stata ridotta rispetto all’importo originario.

Il giudice di primo grado, qualificato l’accordo negoziale intervenuto tra le parti come transazione, revocava il decreto ingiuntivo per integrale pagamento di quanto pattuito in via transattiva, avvenuto nelle more del giudizio.

L’impianto motivazionale veniva confermato anche in sede di gravame.

Avverso la sentenza della Corte d’appello, la società ricorre per Cassazione, censurandola nella parte in cui è stato erroneamente qualificato l’accordo come transazione, sull’assunto che difetterebbero i presupposti della transazione.

La società ricorrente qualificava l’accordo intercorso tra le parti come remissione parziale del debito, condizionata al pagamento del dovuto alle scadenze pattuite.

A parere della società ricorrente, dunque, tra le parti non vi era alcun rapporto con carattere di incertezza, ma soltanto un inadempimento da parte della società avversaria e quest’ultima non aveva compiuto alcuna concessione.

Pertanto, l’accordo doveva essere qualificato come un mero riconoscimento del debito e non come una transazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Nel richiamare l’art. 1965 c.c.., norma che definisce il contratto di transazione, la Corte di Cassazione rigetta la tesi della società ricorrente.

In particolare, la Corte afferma che per integrare l’elemento della “res litigiosa” non occorre che le rispettive tesi delle parti abbiano assunto la determinatezza propria della pretesa, essendo sufficiente l’esistenza di un dissenso potenziale, pur se ancora da definire nei più precisi termini di una lite, e non esteriorizzata in una rigorosa formulazione.

Con riferimento alle reciproche concessioni, la Corte ha, poi, evidenziato come sia stato ritenuto idoneo anche un accordo con il quale le parti si limitano ad apportare modifiche solo quantitative ad una situazione già in atto e a regolare il preesistente rapporto mediante reciproche concessioni, consistenti (anche) in una bilaterale e congrua riduzione delle opposte pretese in modo da realizzare un regolamento di interessi sulla base di un “quid medium” tra le prospettazioni iniziali.

Più in generale, è stato affermato dai giudici di legittimità che in tema di transazione, le reciproche concessioni devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già in relazione ai diritti effettivamente a ciascuna delle parti spettanti.

Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione, dunque, l’accordo concluso dalle parti integrava una vera e propria transazione. Allo scopo, infatti, di superare un dissenso potenziale, l’accordo prevedeva che la debitrice si obbliga a versare alla ricorrente un importo che costituiva un quid medium tra la pretesa avanzata da quest’ultima e quanto invece riteneva di dover versare la debitrice.

Indicazioni operative

Il contratto di transazione può essere dunque definito come un contenitore, all’interno del quale le parti possono ricondurre i più svariati rapporti giuridici tra loro esistenti e dal quale possono scaturire nuovi rapporti, nei limiti della disponibilità ad opera delle parti dei diritti che ne formano oggetto.

Ad ogni buon conto, ciò che conta è che dalla scrittura contenente la transazione risultino gli elementi essenziali della transazione e, quindi, la comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista, la “res dubia” o la “res litigiosa”, vale a dire la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti, nonché il nuovo regolamento di interessi che, mediante reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite.

(Cass. civ., Sez. III, 31.8.2022, n. 25600)