Revisione prezzi per servizi e forniture: come si applica l’art. 1, comma 511 della L. 208/2015?
Il tema della revisione prezzi per servizi e forniture assume una particolare declinazione per i contratti stipulati con soggetti aggregatori.
La Legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha infatti predisposto un peculiare meccanismo di revisione prezzi per tali categorie di appalti.
La norma è tutt’ora applicabile grazie all’esplicito rinvio effettuato dall’art. 106, comma 1, lett. a) d.lgs. 50/2016, secondo cui “Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”.
La norma è destinata a trovare applicazione anche all’interno del nuovo codice dei contratti pubblici: il comma 1, lett. a) dell’art. 120 della bozza del nuovo codice, dedicato alle modifiche dei contratti in corso di esecuzione, contiene l’esplicito rinvio all’art. 1, comma 511 L. 208/2015.
Si tratta di una disposizione che pone spesso delle problematiche. applicative sia per gli appaltatori che per le stesse amministrazioni. Una recente sentenza del TRGA Bolzano, n. 39/2023 si è espressa proprio in merito alla portata applicativa della norma.
Revisione prezzi per servizi e forniture: cosa prevede l’art. 1, comma 511 L. 208/2015
Prima di affrontare il caso specifico, vediamo cosa prevede l’art. 1, comma 511 L. 208/2015.
Nei contratti pubblici relativi a servizi e forniture ad esecuzione continuata o periodica stipulati da un soggetto aggregatore, qualora si verifichi un aumento del valore dei beni superiore al 10% e ciò sia tale da determinare significativamente l’originario equilibrio contrattuale, l’appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo. Ad accertare la variazione e l’alterazione dell’equilibrio contrattuale è l’autorità indipendente preposta alla regolazione del settore relativo allo specifico contratto o, in mancanza, l’AGCM. E’ sulla base di tale accertamento, dunque, che prende avvio il procedimento.
Ai fini dell’applicazione del predetto meccanismo revisionale, la norma sembra in ogni caso presupporre la presenza nel contratto di una clausola di revisione e di adeguamento dei prezzi collegata o indicizzata al valore di beni indifferenziati.
In caso di raggiungimento dell’accordo sulla revisione, la disposizione consente ai soggetti contraenti, nei 30 giorni successivi a tale accordo, di esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1373 c.c.
Nel caso invece di mancato raggiungimento dell’accordo, le parti possono consensualmente risolvere il contratto senza che sia dovuto alcun indennizzo come conseguenza della risoluzione del contratto, fermo restando quanto previsto dall’art. 1467 c.c., ossia la possibilità che in giudizio venga raggiunto un accordo per la c.d. rinegoziazione del contratto.
La norma prevede infine che le parti possono chiedere all’autorità che provvede all’accertamento della variazione di prezzo di fornire, entro 30 giorni dalla richiesta, le indicazioni utili per il ripristino dell’equilibrio contrattuale ovvero, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi.
Il caso
Con bando del 2018, un soggetto aggregatore aveva bandito una gara per la fornitura di derrate alimentari e dei servizi connessi per la durata di 48 mesi per alcuni enti della provincia di Bolzano.
La società ricorrente si aggiudica uno dei lotti della gara, fornendo un’offerta in considerazione dei prezzi di mercato del 2018. Alla convenzione stipulata tra il soggetto aggregatore e l’aggiudicatario aderiscono diversi comuni della provincia di Bolzano.
Nel 2021, l’aggiudicataria si rivolge al soggetto aggregatore chiedendo la revisione dei prezzi dei prodotti offerti ai sensi dell’art. 1, comma 511 della L. 208/2015. Secondo l’aggiudicataria, infatti, i prezzi del mercato agroalimentare erano aumentati in considerazione del contesto pandemico e vi erano considerevoli difficoltà anche nell’approvvigionamento tempestivo degli stessi prodotti.
Alla base della richiesta di revisione, l’aggiudicataria aveva rilevato che mancando nel mercato di riferimento un’autorità regolamentare preposta, aveva preso come parametro di riferimento i prezzi riportati nei listini della Camera di commercio di Milano, dai quali risultavano degli aumenti superiori al 100%. Successivamente aveva integrato la richiesta di revisione evidenziando altri aumenti, superiori al 45%.
In riscontro alla richiesta di revisione, il soggetto aggregatore aveva rappresentato che mancando un’autorità regolatrice nel mercato specifico, si sarebbe rivolto all’AGCM e, in caso di mancato riscontro da parte dell’Autorità Antitrust, avrebbe comunque proceduto ad attivare la revisione prezzi “ordinaria” ai sensi dell’art. 106 d.lgs. 50/2016.
Nelle more della pronuncia dell’AGCM, la società richiedeva di provvedere quantomeno all’adeguamento ISTAT: sulla base dell’indice FOI per il periodo gennaio 2021- gennaio 2022, il soggetto aggregatore avrebbe dovuto riconoscere un aumento del 4,7%. Con ulteriori note, la società ha continuato a rappresentare l’aumento dei prezzi in corso e richiedere una riconduzione ad equità del contratto a mezzo dell’art. 1467 c.c..
Nel giugno 2022, l’AGCM ha archiviato l’istanza del soggetto aggregatore, ritenendo inapplicabile le disposizioni di cui alla L. 208/2015 in quanto “la convenzione in questione non contiene una clausola di revisione prezzi collegata e indicizzata al valore di beni indifferenziati”.
Recependo quanto disposto dall’AGCM, il soggetto aggregatore negava l’applicazione della revisione prezzi sostenendo che l’adeguamento all’indice FOI era stato già attuato e che dall’istruttoria condotta non risultava dimostrato né il superamento del limite della variazione del 10% del prezzo della convenzione, né un’alterazione significativa dell’originario equilibrio contrattuale della convenzione-quadro, così come previsto dal comma 511 della L. 208/2015.
Secondo il soggetto aggregatore, infatti, la convenzione-quadro bandita, vincolante per gli enti, sia quanto all’adesione, che quanto al rispetto del relativo parametro prezzo-qualità come prezzo massimo di aggiudicazione (c.d. benchmarking), ha ricadute economiche rilevanti sugli enti aderenti in caso di modifiche dei prezzi di aggiudicazione, le quali devono essere ponderate con particolare attenzione e concesse solo in presenza di elementi probatori particolarmente fondanti.
Riguardo alla richiesta di riconduzione ad equità del contratto ai sensi dell’art. 1467 c.c., il soggetto aggregatore precisava che questa andava indirizzata alle singole amministrazioni contraenti della fornitura.
Data la peculiarità della situazione, il soggetto aggregatore aveva anche convocato un incontro con gli enti aderenti alla convenzione-quadro, titolari dei singoli contratti attuativi. All’esito dell’incontro, il soggetto aggregatore aveva fornito le proprie indicazioni in merito alla revisione dei prezzi e all’adeguamento del contratto ex art. 1467 cod. civ., chiarendo che la norma richiede la proposizione di un’azione giudiziaria dinnanzi al Giudice ordinario contro le amministrazioni contraenti.
All’esito dell’incontro, la ricorrente si rivolgeva ad uno dei comuni aderenti alla convenzione, per ottenere l’adeguamento dei prezzi. Il Comune intimato, tuttavia, negava la propria competenza nel poter procedere alla revisione richiesta.
Di qui, la società ha dunque proposto un ricorso innanzi al TRGA Bolzano.
La decisione del giudice amministrativo
Con il primo motivo di ricorso, la società ha lamentato “lo scarico di competenze e responsabilità tra il soggetto aggregatore e le amministrazioni aderenti alla convenzione-quadro”, ritenendo errata l’affermazione del soggetto aggregatore per cui la modifica del contratto sarebbe di pertinenza esclusiva della singola amministrazione aderente alla convenzione-quadro stipulata.
Dopo aver ricordato il contenuto dell’art. 1, comma 511, della L. 208/2015, il collegio ha osservato che la procedura concorsuale in questione è stata indetta dal soggetto aggregatore che ha predisposto tutti gli atti di gara e che si è riservata la facoltà di incidere sulle condizioni generali. I singoli contratti attuativi di fornitura sono poi stati stipulati dagli enti, che sono obbligati ovvero legittimati ad utilizzare la convenzione-quadro, sulla base di quanto ivi previsto. Di conseguenza, secondo il collegio, gli enti attuatori non potrebbero incidere sui prezzi pregiudicando così la facoltà riservata al soggetto aggregatore di aumentare le prestazioni contrattuali ai prezzi stabiliti in convenzione-quadro. La gara, infatti, è stata gestita a monte in via esclusiva dal soggetto aggregatore, “amministrazione aggiudicatrice” della procedura ad evidenza pubblica, mentre ai comuni aderenti può essere riconosciuta solo la qualità di “Amministrazione Contraente”, che “utilizza la Convenzione nel periodo della sua validità ed efficacia mediante gli Ordini di Acquisto, che operano per il tramite delle Unità/Punti Ordinanti”, recependo tramite il contratto attuativo “le prescrizioni e le condizioni fissate nella Convenzione”.
Di conseguenza, l’intervento di revisione prezzi deve essere fatto dal soggetto aggregatore, che dovrà poi fornire alle amministrazioni contraenti le necessarie direttive per adeguare i costi.
Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente ha lamentato come il soggetto aggregatore avesse erroneamente ritenuto non applicabile il meccanismo di cui al comma 511, trincerandosi dietro gli assunti per cui la convenzione non aveva ad oggetto beni indifferenziati e che la stessa prevedeva un meccanismo revisionale unicamente legato agli indici Istat e al FOI.
Il Collegio ha accolto la censura della società ricorrente. Secondo i giudici, la convenzione-quadro, pur stabilendo che i prezzi sono fissi ed invariabili, contiene un espresso richiamo a due tipologie di revisione dei prezzi:
– una determinata secondo gli indici FOI, che è stata in effetti riconosciuta alla ricorrente;
– l’altra, ai sensi dell’art. 1, comma 511, della L. 208/2015, negata invece dal soggetto aggregatore.
Nel caso di specie, l’AGCM, interpellata dal soggetto aggregatore, ha ritenuto che la convenzione-quadro non contenesse una clausola di revisione e adeguamento dei prezzi collegata o indicizzata al valore di beni indifferenziati, sicché secondo tale Autorità non troverebbe applicazione la L. 208/2015.
Il collegio ha così ritenuto che quest’interpretazione “contrasta inevitabilmente con la disposizione convenzionale che fa espressamente salvo il procedimento di revisione di cui al richiamato comma 511”.
Precisa infatti il collegio che se la revisione si applicasse unicamente nel caso di tale collegamento o indicizzazione al valore di beni indifferenziati, si avrebbe un’interpretatio abrogans delle disposizioni della convenzione-quadro e sarebbe violato il criterio di interpretazione dei contratti previsto dall’ art. 1367 c.c., ossia il principio di conservazione del contratto, che impone “di interpretare le singole clausole della convenzione-quadro nel senso in cui esse possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno e, quindi, di attribuire al richiamo all’art. 1, comma 511, citato contenuto nella convenzione-quadro una valenza procedurale e cioè alla revisionabilità dei prezzi in occasione dell’accertato aumento dei prezzi dei beni superiori alla soglia del dieci per cento riguardo ai prezzi riferiti alla situazione di mercato verificata alla data di pubblicazione della gara, tale da alterare significativamente l’originario equilibrio contrattuale”.
Diversamente, infatti, il richiamo contenuto negli atti di gara all’art. 1, comma 511, della L. 208/2015 sarebbe inutile e privo di alcun significato.
Nello stesso senso, deve essere letto anche il riferimento all’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016 contenuto nella convenzione-quadro, che dispone che le clausole di revisione dei prezzi fanno riferimento “alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti”. L’art. 106 citato non fa riferimento all’indice FOI, ma rinvia a prezzi e costi standard “se definiti”, sicché in mancanza di definizione degli stessi, il soggetto aggregatore è tenuto a condurre un’istruttoria ad hoc per la determinazione dei prezzi effettivi, “avendo l’indice FOI per costante giurisprudenza natura meramente sussidiaria (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 marzo 2020, n. 1571) e potendosi la quantificazione del compenso revisionale effettuarsi ragionevolmente con il ricorso a differenti parametri statici (cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 novembre 2018, n. 6421; TAR Campania, Napoli, sez. V, 17 maggio 2019, n. 2614, nonché la giurisprudenza citata nella lettera Acp dd. 21.4.2022)”.
Secondo il Collegio, dunque, il soggetto aggregatore avrebbe dovuto condurre un’istruttoria adeguata, a garanzia del corretto funzionamento del previsto meccanismo di revisione dei prezzi e del perseguimento dell’interesse generale posto a base dell’istituto in questione, valutando ogni circostanza del caso concreto. Per i giudici, dunque, “si dovranno approfondire le circostanze addotte dalla ricorrente, sia in relazione all’insorgere dell’emergenza pandemica, che ha avuto inizio nel mese di marzo 2020, sia in relazione alla sopravvenuta crisi ucraina del febbraio 2022, nonché esaminare la documentazione tecnico-contabile prodotta dalla parte ricorrente riguardo ai significativi incrementi dei prezzi nella misura complessiva dell’intero valore dell’appalto del 18,7% (cfr. controdeduzioni dd. 15.7.2022), al fine di accertare l’eventuale effettivo aumento dei prezzi”, tenendo altresì conto “dell’adeguamento FOI già riconosciuto e di eventuali sostegni riconosciute alle imprese”.
Precisa in conclusione il collegio che nel caso di specie non trova applicazione l’art. 106, comma 1, lett. c) d.lgs. 50/2016, ossia le c.d. varianti in corso d’opera, nemmeno nell’interpretazione fornita dall’art. 7, comma 2-ter d.l. 36/2022.