Ritardo nei pagamenti della PA: si applicano gli interessi ex d.lgs. 231/2002?

Il tema dell’applicabilità degli interessi moratori previsti dal d.lgs. 231/2002 ai rapporti tra pubbliche amministrazioni e appaltatori/concessionari non sembra essere così lineare.

Il Tribunale di Bari, ad esempio, ha ritenuto applicabile il d.lgs. 231/2002 al ritardo nei pagamenti della prestazione del servizio di gestione di un centro polisportivo comunale (Trib. Bari, Sez. III, 4.7.2018, n. 2811).

Di segno opposto è invece apparsa una recente sentenza del Tribunale di Palermo.

Il caso origina da un decreto ingiuntivo emesso in favore del concessionario del servizio di trasporto pubblico locale per un importo pari a oltre 50.000 euro a titolo di conguaglio delle somme dovute, oltre interessi ai sensi del d.lgs. 231/2002.

Nel proporre opposizione al decreto, l’Amministrazione aveva rilevato, tra l’altro, che nel caso non sarebbe applicabile il d.lgs. 231/2002 in tema di interessi sulle transazioni commerciali, in quanto la concessionaria aveva svolto un servizio di pubblica utilità.

Il Tribunale di Palermo ha accolto la tesi dell’Amministrazione, riconoscendo come dovute alla società solo una somma pari a 26.000 euro.

Il giudice non ha dubbi: trattandosi di un contratto pubblico di servizio, non si applicano gli interessi commerciali, così come previsti dal d.lgs. 231/2002.

Osserva il Tribunale di Palermo come con il d.lgs. 231/2002, il legislatore nazionale abbia dato attuazione alla Direttiva 2000/35/CE in materia di ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali.

L’art. 1 del d.lgs. 231/2002 prevede infatti che l’ambito applicativo del decreto è quello delle transazioni commerciali.

Il successivo art. 2 definisce sia l’ambito di applicazione oggettivo che quello soggettivo della norma.

In particolare, vengono definiti transazioni commerciali “i contratti, comunque denominati, tra imprese o tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo”.

In merito all’applicazione soggettiva delle disposizioni di cui al d.lgs. 231/2002, la norma definisce il concetto di pubblica amministrazione, rinviando alla definizione fornita dal Codice dei Contratti pubblici, nonché quella di imprenditore (quest’ultimo individuato in ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata, o una libera professione).

Nel rintracciare i contorni applicativi della norma, il giudice ha precisato che il decreto in esame impone un tasso di mora particolarmente elevato, diretto non solo a ristorare il creditore del danno subito per il ritardo nel pagamento, ma anche a sanzionare lo stesso autore del ritardo nell’adempimento della prestazione pecuniaria, con funzione dissuasiva di comportamenti abusivi del debitore.

La ratio della previsione è resa esplicita dalla stessa Direttiva 2000/35/CE di cui il decreto è attuazione, la quale sancisce che il meccanismo dei tassi di mora mira a introdurre un sistema idoneo a limitare al massimo i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, nella consapevolezza che gli eccessivi ritardi impongono pesanti oneri finanziari alle imprese – specie quelle di piccole e medie dimensioni e agli artigiani – e costituiscono una tra le principali cause di insolvenza determinando la perdita di numerosi posti di lavoro.

Secondo il Tribunale, dunque, “Se per un verso, quindi, non può dubitarsi dell’applicabilità della disciplina anche ai rapporti tra imprese e pubbliche amministrazioni – espressamente incluse nell’ambito di applicazione della disciplina – è altrettanto evidente che, ai fini dell’applicabilità della disciplina, è necessario che il rapporto tra la pubblica amministrazione e l’impresa sia una “transazione commerciale”, vale a dire un rapporto contrattuale di natura privatistica che si svolga, dal punto di vista dell’impresa a tutela della quale è dettata la disciplina, in regime di concorrenza”.

Di conseguenza, sarebbero esclusi dall’ambito di applicazione del d.lgs. 231/2002 i corrispettivi dovuti per i rapporti tra PA e imprese, in cui la PA esercita un potere autoritativo, tra cui, come nel caso di specie, i rapporti concessori.

Secondo il giudice, infatti, la società “non ha agito come un mero operatore economico, che si è affacciato liberamente sul mercato, concludendo una transazione commerciale con la p.a., bensì quale soggetto incaricato dall’amministrazione di svolgere un pubblico servizio, tant’è che la convenzione non è il frutto della libera contrattazione, quanto piuttosto un atto che regolamenta l’erogazione del servizio, cui la pubblica amministrazione è tenuta per legge”.

Il Tribunale di Palermo sembra in verità concordare con l’indirizzo del Consiglio di Stato che, con riferimento al ritardo nel pagamento del compenso revisionale, aveva sostenuto che gli interessi dovuti “sono quelli da computarsi al tasso legale e non già quelli di mora previsti dal citato d.lgs. n. 231/2002, dal momento che le “transazioni commerciali” cui fa riferimento l’art. 2, comma 1, lett. a), ai fini dell’applicabilità del tasso di mora sono quelle “tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”, mentre nel caso del trasporto pubblico la prestazione è svolta dal gestore privato nei confronti dell’utenza, dalla quale il primo riceve dunque il corrispettivo, salva la contribuzione pubblica necessaria ad assicurare l’equilibrio economico del servizio” (Cons. St., Sez. V, 20.11.2015, n. 5291).

Tribunale di Palermo, 15.11.2022, n. 4663