Silenzio-assenso tra false dichiarazioni e non conformità alla normativa di riferimento
I giudici di Palazzo Spada, con una recente sentenza, sono intervenuti nuovamente sul tema del silenzio assenso.
Riformando una sentenza del TAR Lombardia, infatti, il Consiglio di Stato ha da un lato ribadito che il silenzio assenso si configura anche nel caso in cui l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme e, dall’altro, precisato ancora una volta l’esatta nozione di “falsa dichiarazione”, escludendone la configurabilità in presenza di atti od eventi successivi al perfezionamento per silentium del provvedimento.
I. La vicenda.
Un imprenditore agricolo presentava alla Regione Lombardia domanda per il rilascio di un certificato per poter avviare nel suo immobile l’attività agrituristica.
La legge regionale di riferimento è la n. 31/2008 che prevede, ai sensi dell’art. 152, la possibilità per gli imprenditori agricoli di esercitare – previa frequentazione di un corso – l’attività agrituristica. Il certificato non ha una durata, ma se entro tre anni non viene presentata una SCIA per l’avvio dell’attività agrituristica il certificato perde di validità. Nel regolamento di attuazione emanato dalla Regione, si legge all’art. 3 che l’istruttoria si considera completa quando vi è:
c) l’indicazione puntuale dei fabbricati rurali nella disponibilità dell’azienda che si intendono destinare all’attività agrituristica, compresa l’eventuale abitazione dell’imprenditore, corredata di documentazione idonea a dimostrare il precedente utilizzo per attività di cui all’articolo 2135 del codice civile;
La Regione, a seguito della presentazione della domanda, compie – dopo oltre sei mesi dalla presentazione – dei controlli e comunica all’Agenzia delle Entrate l’avvio di una serie di opere di ristrutturazione che, ad avviso della regione, potevano seriamente compromettere il requisito di ruralità del bene.
L’ente conferma le perplessità espresse dalla regione e annulla anche l’accatastamento del bene, provvedendo ad una rettifica d’ufficio da C/2 a F/3, comportando il venir meno della qualifica di ruralità all’immobile stesso.
A seguito anche dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate, la domanda dell’imprenditore viene rigettata dalla Regione, con un provvedimento che negava, dunque, l’avvenuta formazione del silenzio assenso
II. Il giudizio dinanzi al TAR Lombardia.
Il provvedimento è stato impugnato al TAR, che però ha respinto il ricorso. L’imprenditore riteneva che:
i) si fosse formato il silenzio assenso, dato che l’intervento della Regione e dell’Agenzia delle Entrate era stato tardivo;
ii) fossero presenti tutti i requisiti di ruralità;
iii) vi fosse una palese violazione della disciplina regionale, dato che risulta irrilevante il tipo di accatastamento degli edifici ai fini del rilascio del certificato
iv) vi fosse una violazione della normativa liberalizzatrice in tema di concorrenza e livelli essenziali delle prestazioni.
Nel dettaglio, il TAR Lombardia ha respinto il ricorso dato che:
“Sebbene, infatti, risulti pacifico il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento da parte dell’amministrazione, la stessa, ai sensi dell’art. 3, co. 4, del Regolamento regionale n 5/2020, avrebbe infatti dovuto concludere il procedimento finalizzato ad ottenere la certificazione comprovante la connessione dell’attività agrituristica rispetto a quella agricola entro il termine di 60 giorni dall’istanza, nel caso di specie non può essere utilmente invocata la formazione del c.d. silenzio assenso”.
III. L’appello al Consiglio di Stato.
Avverso tale sentenza l’imprenditore ha proposto appello al Consiglio di Stato, che ha accolto il ricorso esaminando la questione dirimente: l’istituto del silenzio assenso.
La Regione ha rigettato la domanda dopo oltre sei mesi dalla presentazione; orbene, la decisione del TAR Brescia non può essere condivisa, dato che ha ritenuto che il silenzio assenso non si sarebbe perfezionato a causa di una falsa rappresentazione dei fatti ad opera dell’istante.
Come si legge dalla sentenza, infatti:
“Al riguardo va richiamata quella giurisprudenza della Sezione (Cons. Stato, sez.VI, 8 luglio 2022, n. 5746), pienamente condivisa dal Collegio, la quale ritiene che anche ove l’attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l’adozione non sia conforme alle norme, si rende comunque configurabile la formazione del silenzio assenso”.
In questo caso, secondo il Consiglio di Stato, il diniego da parte della Regione non si basava su una falsa rappresentazione dei fatti o dichiarazioni mendaci, ma sul provvedimento di declassamento da parte dell’Agenzia delle Entrate (poi successivamente anche revocato dal giudice tributario).
Dato che in questo caso non vi era alcun tipo di dichiarazione mendace o falsa rappresentazione, il silenzio assenso – chiaramente a seguito del tempo decorso – si era già formato.
In questo caso, infatti, specifica il Consiglio di Stato, non è nemmeno corretto ritenere che la dichiarazione sia “falsa”, dato che la dichiarazione è stata ritenuta – ai fini dell’annullamento – falsa solo a seguito di un successivo annullamento retroattivo di un provvedimento favorevole da parte di una Amministrazione diversa da quella procedente. Detto altrimenti, il Consiglio di Stato ha evidenziato come al momento della presentazione della domanda – e nei 60 giorni successivi – i requisiti per l’accesso al beneficio sussistevano ed erano, quindi, correttamente stati dichiarati, non potendo, successivi provvedimenti “riqualificatori” finire per incidere retroattivamente su un silenzio-assenso nelle more validamente maturato né, tantomeno, determinare l’insorgere retroattivo di una falsa dichiarazione, in effetti mai resa.
Dunque, l’unica via che avrebbe potuto percorrere – sussistendone tutti i requisiti ex art. 21-nonies L. 241/90 – sarebbe stato l’esercizio del potere di autotutela e non quello di negare, in radice, l’avvenuta formazione del silenzio-assenso, a ciò ostandovi, come visto, da un lato, l’insussistenza di una dichiarazione falsa o mendace al momento della domanda e, dall’altro lato, il principio, in via di consolidamento dinanzi al Consiglio di Stato, secondo il quale non osta alla formazione del silenzio assenso la astratta non conformità della domanda alla normativa di riferimento.