La decorrenza del termine per il collaudo nelle opere pubbliche e la riserva sulla richiesta di interessi moratori per il ritardo nel pagamento.
Con una recente sentenza, il Tribunale di Roma torna sul tema della decorrenza del termine per l’emissione del certificato di collaudo nelle opere pubbliche e sulla necessità o meno che la richiesta di interessi moratori per il ritardo nel pagamento degli acconti costituisca oggetto di riserva.
Nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di appalto avente ad oggetto l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione di opere civili e impiantistiche per la realizzazione di lavori di adeguamento di strade oltre a manutenzione triennale dei soli impianti tecnologici (appalto integrato), l’esecutore sostiene di aver subito danni che lo hanno portato a sottoscrivere con riserva il conto finale.
Oggetto dell’appalto da considerarsi unitariamente e termini per l’esecuzione da computarsi non in modo frazionato
L’importo dei lavori è stato determinato a corpo e a misura considerando in modo unitario la realizzazione delle opere e la manutenzione triennale degli impianti, quest’ultima stimata nel contesto dei lavori da eseguirsi.
In rerlazione ai termini di esecuzione dei lavori, il Capitolato speciale di appalto prevedeva che: “Il tempo utile per l’ultimazione dei lavori è stabilito in giorni (…) di cui giorni 30 naturali e consecutivi per l’approvazione del progetto esecutivo da parte del committente, decorrenti dalla data di consegna da parte dell’appaltatore di tutti gli elaborati progettuali contrattualmente previsti per il completamento del progetto, giorni 450 naturali e consecutivi, per l’esecuzione dei lavori, decorrenti dalla data del verbale di consegna lavori, (…) giorni 1.095, naturali e consecutivi per la manutenzione e gestione dei soli impianti tecnologici, decorrenti dalla data di ultimazione degli impianti stessi”.
L’impresa ha chiesto, in primo luogo, che fosse accertato che il collaudo dei lavori da parte della stazione appaltante non fosse intervenuto nei termini previsti in contratto e ha proposto domanda di condanna della convenuta al risarcimento dei danni derivatile in conseguenza di tale inadempimento.
In particolare, a fronte dell’ultimazione dei lavori del 30.6.2012 il collaudo avrebbe dovuto essere compiuto entro i sei mesi successivi – il 28.12.2012 – invece lo stesso era stato compiuto, a seguito della redazione del conto finale soltanto nel settembre 2017 (circa 5 anni dopo il termine).
L’Amministrazione ha eccepito, da un lato, l’inammissibilità della domanda sul presupposto che l’impresa fosse decaduta dal diritto di proporre la stessa non avendo formulato tempestiva riserva, in relazione ai danni che avrebbe subito in conseguenza del ritardo determinatosi nel collaudo, denunciando formalmente il ritardo e quantificando il relativo pregiudizio soltanto all’atto della sottoscrizione del conto finale, nel 2017: in quella sede, infatti, l’impresa aveva formulato la riserva – quantificandola – avente ad oggetto i maggiori oneri e danni sino ad allora subiti “in conseguenza del grave e ingiustificato ritardo nella emissione del certificato di collaudo finale”; dall’altro, l’infondatezza nel merito della domanda, poiché l’ultimazione definitiva dei lavori oggetto dell’appalto era avvenuta in data 18.10.2015, all’esito della terza annualità di manutenzione, cosicché il termine per l’esecuzione del collaudo avrebbe dovuto essere computato a decorrere da tale data.
Ad avviso del Giudice, l’impresa avrebbe distinto, nell’ambito del rapporto contrattuale di appalto, la fase di esecuzione dei lavori, conclusasi in data 30.6.2012 dalla successiva fase di manutenzione degli impianti tecnologici, ritenendo, su tale presupposto, che la committente fosse tenuta a dare corso alle operazioni di collaudo non già alla scadenza della terza annualità di manutenzione, bensì dalla data di ultimazione delle realizzazione delle opere.
Diversamente, l’Amministrazione sostiene che l’oggetto dell’appalto dovesse considerarsi unitariamente e che i termini per l’esecuzione di esso fossero quindi da computarsi non in modo frazionato, cosicché alcun obbligo dovesse ritenersi insorto in capo ad essa prima della ultimazione anche della fase di manutenzione degli impianti tecnologici.
Il Giudice concorda con la tesi dell’Amministrazione perché:
– coerente con l’interpretazione letterale delle norme di cui al Capitolato speciale di appalto, che individua in termini unitari “il tempo utile per l’ultimazione dei lavori”, comprendendo in esso anche quello di esecuzione della manutenzione degli impianti tecnologici;
– era prevista nel Capitolato speciale di appalto la contabilizzazione unitaria dei corrispettivi dovuti all’appaltatrice, secondo stati di avanzamento lavori per tutta la durata del rapporto: in tal prospettiva, dopo la certificazione delle ultimazione delle opere nel 2012, la committente ha emesso altri tre SAL il che comprova la circostanza che le varie fasi di svolgimento della manutenzione degli impianti tecnologici fossero intese come stati di avanzamento dei lavori, i quali, pertanto, erano ancora in corso di svolgimento, in quanto unitariamente considerati;
– dal Capitolato speciale di appalto, si desume come si ritenesse necessario, ai fini del collaudo definitivo delle opere, segnatamente degli impianti tecnologici, la cui realizzazione costituiva parte rilevante dei lavori oggetto di appalto, il decorso di un periodo di esercizio di esse.
Taler interpretazione trova riscontro nel certificato del 2012 nel quale si legge “si certifica che i lavori in epigrafe, ad esclusione della manutenzione e gestione dei soli impianti tecnologici installati nell’ambito del medesimo appalto, sono stati ultimati in data (…) 2012”: si evince, infatti, dal medesimo che la certificazione desse conto dell’intervenuta esecuzione parziale da parte dell’impresa dei lavori oggetto di appalto.
E poiché, a seguito dell’emissione del “Certificato di ultimazione dei lavori” del 2012 erano registrati in contabilità ulteriori “stati di avanzamento lavori”, l’impresa avrebbe avuto l’onere di avanzare riserva ossia avrebbe dovuto eccepire in quella sede che i lavori fossero stati invero già ultimati, cosicché non avesse alcuna ragion d’essere la registrazione in contabilità di ulteriori stati di avanzamento di essi, mentre non ha mai rilevato nulla sul punto, omettendo così di vantare tempestivamente qualsivoglia pretesa in ordine al pregiudizio che sostiene di avere subito nel tempo.
Tale riserva, a pena di decadenza, avrebbe potuto (e dovuto) essere apposta da parte della appaltatrice sul registro di contabilità in occasione dell’annotazione in esso, nelle date degli stati di avanzamento dei lavori in forza dei quali sono stati poi emessi i certificati di pagamento nei confronti dell’impresa.
In tale prospettiva, ad avviso del Giudice, la domanda proposta dall’impresa volta ad ottenere il risarcimento del danno che le sarebbe derivato in conseguenza del mancato esperimento delle operazioni di collaudo nei termini contrattuali, deve ritenersi inammissibile, non essendo stata formulata tempestiva riserva in relazione alle circostanze poste a fondamento di essa dalla parte che l’ha proposta.
La richiesta di interessi moratori per il ritardo nel pagamento non costituisce oggetto di riserva
L’impresa ha chiarito che la pretesa di pagamento degli interessi moratori fosse relativa al ritardo maturato dalla committente nel pagamento nei suoi confronti dei corrispettivi liquidati a seguito dei primi dodici SAL e ha altresì allegato in modo dettagliato i ritardi maturati in relazione a ciascuno di essi sia nella emissione della certificazione di pagamento che nell’erogazione delle somme.
L’Amministrazione ha eccepito l’inammissibilità della domanda rilevando che, avendo le parti sottoscritto accordo bonario relativamente alle riserve formulate dall’appaltatrice in relazione ai primi nove SAL, l’impresa avrebbe in quella sede espressamente rinunciato alla “instaurazione di qualunque vertenza giudiziale per la definizione del contenzioso relativo alle riserve dalla n. 1 alla n. 11”, cosicché dovesse ritenersi preclusa alla parte la proposizione della domanda di pagamento degli interessi moratori maturati.
Ad avviso del Giudice, la domanda dell’ìimpresa va accolta in quanto:
– non può ritenersi che con la sottoscrizione dell’accordo bonario e l’assunzione in quella sede dell’impegno di rinunciare all’instaurazione di qualunque vertenza giudiziale per la definizione del contenzioso relativo alle riserve fino ad allora sollevate, l’impresa possa aver rinunciato alla proposizione di qualunque ulteriore domanda nei confronti della committente;
– in quella sede le parti hanno inteso definire la controversia tra loro insorta limitatamente alle questioni oggetto delle riserve ivi richiamate tra le quali non v’era quella del ritardo maturato dalla debitrice nell’esecuzione dei pagamenti delle rate di corrispettivo dovute;
– la questione del ritardo e quindi della debenza degli interessi moratori non avrebbe dovuto neppure essere oggetto di riserva, e ciò in quanto – secondo consolidato orientamento giurisprudenziale – il sistema delle riserve è previsto per le pretese ricollegabili all’esecuzione dell’opera e che comportino anche un aumento della somma dovuta all’appaltatore in corrispettivo dell’esecuzione dell’opera stessa e non anche per le richieste dell’appaltatore di interessi moratori con riferimento al ritardo nel pagamento delle rate da parte della committente.
(Trib. Roma, Sez. XVII, 16/4/2020, n. 6221)