Art. 106 tra quinto d’obbligo come fattispecie autonoma e aumento costi di filiera Covid-19
L’art. 106 del d.lgs. 50/2016, che oggi rileva in relazione al quinto d’obbligo come fattispecie autonoma e all'aumento costi di filiera Covid-19, ha destato perplessità tra gli operatori del settore sin dalla sua entrata in vigore per la formulazione poco chiara e a tratti contraddittoria che lo caratterizza.
Di recente l’ANAC, con il Comunicato del Presidente del 23 marzo 2021, ha avuto modo di fornire alcune indicazioni interpretative del comma 12 dell’art. 106, che ha ad oggetto le modifiche contrattuali fino alla concorrenza del c.d. quinto d’obbligo.
Il comma 12 dell’art. 106, infatti, individua un importo massimo coincidente con il quinto del valore dell’appalto (cd. quinto d’obbligo), al di sotto del quale la committente può imporre all’appaltatore l’esecuzione di sopravvenute lavorazioni alle stesse condizioni previste nel contratto originario e, dunque, già stabilite in fase di aggiudicazione. La norma specifica che in questo caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto.
In base ai principi e alle regole proprie dell’evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono ampliare l’oggetto del contratto o cambiare il contraente solo previa indizione di una gara.
Di qui la necessità di considerare le ipotesi previste dall’art. 106 come tassative.
Come si è accennato in apertura, l’art. 106, comma 12 (quinto d’obbligo), è stato di recente oggetto di un intervento chiarificatorio da parte dell’ANAC.
La questione dirimente attiene alla possibilità di considerare il c.d. quinto d’obbligo come ipotesi autonoma e ulteriore di modifica contrattuale rispetto ai casi previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 106 e, in caso positivo, alla possibilità di accedere a tale istituto anche a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti ivi individuati.
L’ANAC ritiene che la possibilità di modificare il contratto senza necessità di ricorrere a una nuova procedura nei modi previsti dall’art. 106, comma 12, debba essere applicata nei soli casi specificamente e tassativamente indicati. Di conseguenza, specifica l’Autorità, la previsione del comma 12 non può configurare una fattispecie autonoma di modifica contrattuale, ma deve essere intesa “come volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Contrariamente ad alcuni indirizzi giurisprudenziali, l’Autorità ritiene di aderire ad una interpretazione restrittiva e comunitariamente orientata della norma in esame.
La giurisprudenza amministrativa tende a tenere distinte le ipotesi di modifiche contrattuali presenti nei commi 1 e 2 dell’art. 106 (a titolo esemplificativo, art. 106, comma 1, lett. c) dove la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili) da quella sancita dal comma 12.
Per fare qualche esempio, nella sentenza TAR Lazio n. 13539/2020, il giudice ha sottolineato che sussiste una vera e propria distinzione tra le ipotesi previste dall’art. 106. In particolare, il TAR ha sottolineato che la differenza tra l’ipotesi descritta al comma 1, in particolare dalla lett. c) e il comma 12, “è data dal fatto che mentre nel caso della lett. c) è necessario comunque un accordo delle parti per modificare l’oggetto del contratto (fermo restando che la modifica non deve alterare “la natura generale del contratto”), l’applicazione del comma 12, con l’aumento o la diminuzione delle prestazioni “fino a concorrenza del quinto dell'importo del contratto”, è solo la conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo dell’Amministrazione, che può infatti “imporre all'appaltatore l'esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario”; per cui in tal caso l'appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.
Pare mostrarsi dello stesso avviso anche il TAR Campania che, con sentenza n. 5595/2020, ha specificato che l’ipotesi contemplata dal comma 12 riguarda esclusivamente le circostanze sopravvenute nel corso dell’esecuzione del rapporto (non potendo “in alcun modo essere utilizzata per rimediare ad errori originari compiuti dalla stazione appaltante in sede di valutazione del fabbisogno ovvero per eludere gli obblighi discendenti dal rispetto delle procedure ad evidenza pubblica attraverso un artificioso frazionamento del contenuto delle prestazioni”).
Secondo il recente Comunicato dell’ANAC invece, considerare il comma 12 come un’ipotesi autonoma andrebbe in contrasto proprio con il comma 1, lettera c) dell’art. 106, che prevede la possibilità di modifica per fatti imprevisti e imprevedibili senza limiti di importo per i settori speciali e con limiti superiori (50%) per i settori ordinari, sia rispetto al comma 1, lettere a) ed e) del medesimo articolo. Come ricorda l’Autorità, tale ultima disposizione consente di prevedere, già nei documenti di gara, la possibilità di una futura modifica contrattuale senza limiti di importo, utilizzabile, ad esempio, nei casi in cui non sia possibile stimare con certezza il fabbisogno futuro.
A corroborare la tesi dell’Autorità, militerebbe il fatto che a considerare il comma 12 come ipotesi autonoma si rischia il cumulo delle diverse ipotesi di modifica contrattuale, con il superamento dei limiti di importo previsti dall’art. 106 e il conseguente illegittimo ampliamento delle ipotesi derogatorie della normativa europea e nazionale in materia di affidamenti pubblici.
È evidente la peculiarità della questione e la sua attualità.
Pur trattandosi di un Comunicato – dalla valenza non vincolante - l’interpretazione fornita dall’ANAC è destinata a creare un forte dibattito che inevitabilmente coinvolgerà non solo la giurisprudenza, ma anche il legislatore. La stessa ANAC dà infatti conto nel proprio Comunicato di aver avanzato al Governo delle proposte di modifica dell’art. 106, al fine di semplificare e razionalizzare la normativa.
L’art. 106 rappresenta una norma fondamentale anche laddove si consideri l’attuale scenario caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 (ne discutiamo sin dai primi giorni della dichiarata emergenza sanitaria il che ha portato alla pubblicazione si un testo tecnico operativo sul tema nel giugno 2020 - clicca qui se vuoi saperne di più).
L’evento pandemico può infatti soddisfare una delle condizioni previste dal comma 1, lett. c), dell’art. 106, secondo cui i contratti di appalto possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, a patto che ricorrano contestualmente due condizioni, ossia la presenza di circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore e che la modifica non vada ad alterare la natura generale del contratto. Si noti che tra le circostanze imprevedibili la norma contempla il c.d. factum principis, o se vogliamo l’act of god (clicca qui per la live), ossia la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative, regolamentari o provvedimenti di autorità o enti preposti alla tutela di interessi rilevanti. In tal senso, l’ultimo anno caratterizzato dalla cd. “Decretografia Conte” prima, e dai provvedimenti del Primo Ministro Draghi poi, può rappresentare senz’altro una fattispecie rientrante nella lett. c).
L’estensione della licenza prefettizia per l’attività di vigilanza privata per province diverse da quella originaria: chiarimenti dal Consiglio di Stato anche in tema di appalto
Uno degli aspetti peculiari dell’attività di vigilanza privata attiene all’estensione della licenza prefettizia per province diverse ed ulteriori rispetto a quella in cui si è in origine operato e nella quale è stata richiesto il rilascio della prima licenza da parte della prefettura territorialmente competente.
Il tema dell’estensione della licenza prefettizia è stato di recente portato all’attenzione del Consiglio di Stato che, seppur con riferimento al tema degli appalti, ha in verità precisato degli aspetti di natura generale.
I fatti oggetto della controversia originano nell’ambito di una gara per l’affidamento dei servizi di bonifica degli ordigni esplosivi e di guardiana, propedeutici ai lavori sulla tratta ferroviaria Napoli-Bari, divisi in due lotti territoriali, per un valore totale di euro 5.784.620,73.
Nelle more della stipula del contratto, la mandante dell’ATI aggiudicataria era stata colpita da un’interdittiva antimafia. Avvalendosi del meccanismo di cui all’art. 48, comma 18 del d.lgs. 50/2016, la mandataria aveva proceduto a sostituire la mandante con una nuova società la quale, tuttavia, risultava priva dell’estensione della licenza prefettizia per la provincia interessata dal servizio oggetto dell’appalto.
Di conseguenza, la stazione appaltante aveva proceduto a revocare l’aggiudicazione nei confronti dell’ATI e ad aggiudicare la gara alla società seconda in graduatoria.
Ricorre innanzi al TAR Campania l’ATI destinataria del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, contestando che la licenza prefettizia della società subentrata nel raggruppamento non dovesse essere considerata limitata ad una parte del territorio nazionale. Diversamente, infatti, a parere del ricorrente si determinerebbe una violazione della nota pronuncia della Corte di Giustizia UE, Sez. II, 13 dicembre 2007 - Causa C-465/05, che ha dichiarato non conforme al diritto europeo l’art. 134 TULPS e l'art. 257 del Regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. 6 maggio 1940, n. 635 - «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza»), nella parte in cui stabilivano che l'autorizzazione a esercitare il servizio di vigilanza privata avesse una validità territoriale limitata e che le imprese di vigilanza privata interessate ad esercitare la propria attività in altri territori dovessero avere una sede operativa in loco e ottenere un’autorizzazione prefettizia in ogni provincia in cui intendevano prestare servizio.
Sempre secondo la mandante ricorrente, gli artt. 257 e ss. del Regolamento di esecuzione, proprio in attuazione della pronuncia della Corte di giustizia, prevedono ad oggi che l’estensione dell’autorizzazione a province diverse da quelle originariamente contemplate sia subordinata ad una mera richiesta, sussistendo un meccanismo di automatico accoglimento che opererebbe in forza del silenzio-assenso.
Il TAR Napoli respinge il ricorso, ritenendo che anche dopo la sentenza della Corte di Giustizia, l’art. 257-ter, comma 5, del Regolamento di esecuzione (introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. i), del D.P.R. 4 agosto 2008, n. 153) ha confermato la necessità che l’estensione della licenza ad ulteriori province debba essere ottenuta all’esito di una richiesta al Prefetto che l’ha rilasciata e di una previa comunicazione al Prefetto del territorio interessato, secondo un meccanismo di silenzio assenso. Il decorso del termine di 90 giorni indicato dalla norma, decorrente dalla notifica della documentazione richiesta ai Prefetti interessati, avrebbe valore costitutivo, tant’è che, secondo il Collegio, la mancata notifica determina lo svolgimento di un’attività illecita nei territori provinciali per i quali non si è ottenuto l’assenso della Prefettura territorialmente competente.
Nel caso di specie, il TAR Napoli ha ritenuto che al momento in cui è subentrata alla mandante colpita dall’interdittiva antimafia, la società non avesse acquisito il titolo per esercitare lecitamente l’attività di vigilanza nella provincia interessata dai lavori, come espressamente richiesto dal bando. Nonostante la società subentrante si fosse immediatamente attivata per ottenere la licenza nella provincia interessata, i Giudici campani hanno ritenuto legittima la revoca disposta dalla stazione appaltante poiché il requisito della licenza prefettizia estesa all’ambito territoriale richiesto doveva essere posseduto sin dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle offerte, o quantomeno dal momento in cui la precedente mandante era stata colpita da interdittiva antimafia.
L’ATI ricorrente in primo grado appella la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, ritenendo le conclusioni del Giudice campano non coerenti con la normativa di settore e con i principi espressi dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia.
Il Giudizio di appello
Il Consiglio di Stato, Sez. V, con sentenza n. 2087 dell’11 marzo 2021 ha accolto il ricorso promosso dall’ATI e ha annullato il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione.
I Giudici hanno in primo luogo ritenuto che l’art. 48, comma 18, d.lgs. 50/2016 si limita a richiedere che l’operatore economico subentrante sia in possesso dei requisiti di idoneità previsti dalla lex specialis di gara. Poiché la norma non specifica il momento in cui è necessario procedere alla verifica del possesso dei requisiti da parte dell’operatore economico subentrante, secondo i Giudici è logico che una simile verifica non possa farsi retroagire al momento in cui l’ATI ha presentato la domanda di partecipazione alla procedura di gara, potendo legare la pretesa del possesso dei requisiti unicamente al momento in cui la mandante subentra.
Ciò posto, con riferimento al caso di specie, il Supremo Consesso ha ritenuto che, ai fini della verifica del possesso del requisito della licenza prefettizia per l’esercizio dei servizi di vigilanza anche nella provincia interessata dal servizio oggetto dell’appalto, l’art. 257-ter del Regolamento di esecuzione del TULPS debba essere interpretato alla luce della sentenza della Corte di Giustizia UE del 13 dicembre 2007, in causa C-465/05.
Di conseguenza, l’attuale art. 257-ter del Regolamento, per essere conforme ai principi del diritto europeo, deve essere interpretato e corretto «eliminando la necessità di ottenere (anche se con il meccanismo del silenzio-assenso) l’autorizzazione prefettizia per estendere l’attività in altre province; e intendendo la «notifica al prefetto» come una comunicazione di inizio attività, non subordinata al decorso dell’ulteriore termine di novanta giorni, salvo il potere del prefetto di inibire l’attività entro il predetto termine di novanta giorni dalla notifica «qualora la stessa non possa essere assentita, ovvero ricorrano i presupposti per la sospensione o la revoca della licenza, di cui all'articolo 257-quater» (art. 257-ter, comma 5, ultimo periodo, del regolamento di esecuzione del TULPS)».
Applicando l’interpretazione convenzionalmente orientata, nel caso di specie la mandante subentrante è stata ritenuta in possesso del requisito della licenza prefettizia anche per il territorio della provincia in questione a decorrere dalla data in cui aveva presentato l’istanza al Prefetto competente e, dunque, in data antecedente a quella del subentro ex art. 48, comma 18 del d.lgs. 50/2016 nell’ATI aggiudicatario.
In conclusione, la Corte ha chiarito che adottando un’interpretazione letterale della norma, così come adottata dal primo Giudice, anche con l’attuale formulazione dell’art. 257-ter, comma 5, secondo cui la licenza prefettizia consentirebbe di esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il quale essa è stata rilasciata, vi è il concreto rischio di reintrodurre quel limite territoriale censuato dalla Corte di Giustizia perché ritenuto non conforme ai principi europei.
(TAR Campania Napoli, Sez. IV, 16.12.2019, n. 5961; Cons. St., Sez. V, 11.3.2021, n. 2087)