Non fatevi ingannare dal caldo: se il fatturato minimo specifico è previsto come requisito di capacità tecnico professionale l'avvalimento deve considerarsi di tipo operativo

Il caso.

Una partecipante ad una gara per l’affidamento della fornitura di servizi per la raccolta di rifiuti stipula un contratto di avvalimento con un’altra ditta per soddisfare il requisito del fatturato specifico minimo richiesto nella sezione “capacità tecnico professionale” del bando.

La medesima, per una probabile “svista” o mal interpretazione del bando, ritiene che tali requisiti siano invece da ritenersi afferenti alla capacità finanziaria pura.

Per questo motivo non indica all’interno del contratto di avvalimento né gli importi richiesti né i dettagli relativi ai servizi prestati, sostenendo che il contratto debba qualificarsi come avvalimento di garanzia in quanto lo scopo del contratto sarebbe quello di mettere a disposizione dell’ausiliata unicamente la solidità economica e finanziaria dell’ausiliaria.

Un’impresa concorrente, al contrario, considera la ditta ausiliata carente dei requisiti di partecipazione dal momento che il contratto di avvalimento, che ritiene debba qualificarsi come operativo, risulta viziato per l’indeterminatezza dell’oggetto.

Come va interpretato, allora, questo contratto di avvalimento?

La controversia viene sottoposta ai giudici del TAR Lazio, che risolvono agevolmente il caso.

Il nodo gordiano della questione verte sulla corretta determinazione del requisito di fatturato specifico in chiave di capacità tecnica o capacità economica pura.

Sostengono i giudici: “si tratta evidentemente di requisiti di capacità tecnica e professionale, poiché in tal senso depone sia la chiara lettura del disciplinare (che non è stato impugnato), sia la ratio stessa del requisito. Se non si trattasse di un requisito di capacità tecnica non avrebbe senso richiedere indicazioni specifiche sulla tipologia e sulle caratteristiche dei servizi espletati”.

Il contratto di avvalimento deve essere, quindi, necessariamente di tipo operativo e per non risultare affetto da indeterminatezza deve indicare specificamente e dettagliatamente quali risorse l’ausiliaria mette a disposizione dell’ausiliata.

Nel caso in esame tale contratto non si può ritenere valido nemmeno alla luce dei i principi dettati dalla Consiglio di Stato (Ad. Plen., sent. 4/11/16, n. 23), secondo cui il contratto di avvalimento resta valido anche nei casi in cui l’oggetto non sia dettagliatamente e specificamente indicato, a condizione che questo sia agevolmente determinabile dal tenore complessivo del documento.

Il ricorso viene dunque accolto, portando all’esclusione della ditta dalla gara per difetto dei requisiti di partecipazione.

 

(TAR Lazio Roma, Sez. II ter, 23/07/18, n. 8326).


I limiti sull'accesso agli atti del collaudo

Un Consorzio chiede accesso a un documento dell’organo di collaudo denominato "verbale conclusivo di accertamento tecnico contabile”.

La stazione appaltante e i giudici di primo grado ritengono detto atto non accessibile perché assimilabile alla relazione riservata dell’organo di collaudo ex art. 10 D.P.R. 554/99.

Il Consiglio di Stato non concorda e precisa che:

-  tale relazione esprime valutazioni discrezionali dei collaudatori sulle riserve apposte dall'appaltatore (valutazioni svolte in esclusivo favore dell'amministrazione ai fini delle sue future decisioni). Resta, dunque, un atto interno, endoprocedimentale e giustamente non estraibile;

- invece, il "verbale conclusivo di accertamento tecnico contabile” nella specie richiesto era solo descrittivo dello stato dell'arte dei lavori alla data della sua formazione, senza valutazioni sull’accoglibilità delle riserve da parte dei collaudatori;

- peraltro, tale atto risultava redatto in contraddittorio proprio con il consorzio. Il che ha reso a maggior ragione illogico e illegittimo il diniego di accesso.

(Cons. St., 11/6/18, n. 3594)


Costi della manodopera e soccorso istruttorio: croce e delizia del 2018

Il caso: 

- in una gara per lavori di restauro artistico ed architettonico, la SA non riesce a rintracciare i costi della manodopera nell'offerta di una concorrente e chiede chiarimenti: 

- l'ATI risponde indicando quali, fra i valori GIA' presenti, erano stati considerati come costi della manodopera; 

-la SA recepisce e dispone l'aggiudicazione definitiva, che viene impugnata dalla seconda graduata;

- secondo la ricorrente, ai sensi degli artt. 95, co. 10 e 83, co. 9, D.Lgs. 50/16, i costi della manodopera sono un elemento essenziale, per legge, dell'offerta e, quindi, la SA non poteva ammettere il soccorso istruttorio. 

La decisione dei giudici:

- il TAR non concorda. Infatti, nella specie, detti costi erano già presenti, perché inglobati nel prezzo finale. Quindi, l'offerta economica dell'ATI non è stata integrata e non era incompleta;

- al contrario, i costi della manodopera, semplicemente, non erano stati separatamente indicati; 

- per cui, trattandosi di una irregolarità solo formale, l'operato della SA è stato ritenuto legittimo.

(TAR Lombardia, Milano, 6/7/2018)


Anche un solo decreto di rinvio a giudizio può essere valutato come indice di inaffidabilità professionale ai sensi dell'art. 80, co. 5, lett c), del D.Lgs. 50/16.

Una cooperativa partecipa a una gara per il servizio di trasporto scolastico di cui era gestore uscente in regime di proroga tecnica.

Rilevata l’esistenza di un decreto di rinvio a giudizio in capo all’amministratore della ditta, il Comune ne dispone l’esclusione ai sensi dell'art. 80, co. 5, lett. c), del Codice.

In particolare, la stazione appaltante ha ritenuto l’impresa professionalmente inaffidabile in quanto, da un lato, la fattispecie di reato era proprio una turbata libertà degli incanti (353 c.p.), dall’altro, la procedura cui erano collegati i fatti contestati aveva il medesimo oggetto della gara in corso.

La cooperativa presenta ricorso al TAR, sostenendo che la mera esistenza di un decreto di rinvio non rientrerebbe, di per sé, tra i fatti idonei ad integrare un grave illecito professionale.

I giudici, precisando nuovamente che l’art. 80, co. 5, lett c), contiene una elencazione solo esemplificativa di casi di inaffidabilità professionale, hanno stabilito che le amministrazioni hanno il potere discrezionale di valutare la condotta sottostante anche a un mero decreto di rinvio a giudizio, purché, in caso di esclusione, se ne dia adeguata e pertinente motivazione.

Nella specie, secondo il TAR - avendo il comune espressamente motivato sul fatto che, non solo si trattava dello stesso tipo di gara, ma che il reato contestato riguardava, proprio, condotte distorsive della concorrenza – il giudizio di inaffidabilità professionale è stato correttamente svolto, con conseguente legittimità dell’applicazione dell’art. 80, co. 5, lett c), del Codice e, dunque, dell’esclusione

Quindi, pur in assenza di sentenza penale definitiva di condanna, anche i decreti di rinvio a giudizio sono valutabili come indice di affidabilità professionale ex art. 80, co. 5, lett. c), del Codice.

(TAR Campania, 26/6/18, n.4271)


Accesso agli atti negli appalti pubblici. Fra diritto di difesa e tutela della riservatezza, cosa prevale?

Si può ottenere l'accesso ai giustificativi del prezzo anche se contengono informazioni aziendali protette? Sì, ma solo a certe condizioni.

Un'impresa richiede gli atti prodotti dall'aggiudicataria in sede di verifica dell'anomalia. La SA, accogliendo l'opposizione della prima graduata, respinge l'istanza, in quanto i documenti contenevano segreti commerciali.

La ditta ricorre al TAR, sostenendo l'illegittimità del diniego per violazione del diritto di difesa, perché gli atti erano necessari a far valere in un giudizio (generico) le proprie pretese (artt. 24 L. 241/90 e 24 Cost.).

I giudici hanno ricordato che, nell'accesso in materia di appalti (art. 53 Codice), il diritto di difesa va bilanciato, in concreto e NON in astratto, con le esigenze di segretezza aziendale, che devono prevalere se non è dimostrato che il documento sia concretamente necessario a un determinato giudizio.

Nella specie, erano inutilmente decorsi i 30 giorni per un ricorso contro l' aggiudicazione definitiva e né l'impresa aveva dato conto di voler intraprendere un'altra azione (un esposto all'ANAC o alla Corte dei conti), limitandosi ad affermazioni generiche.

Quindi, il diniego è stato ritenuto legittimo.

(TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 13/6/18, 6614)


Una risoluzione non definitiva si dichiara o no in gara?

Una concorrente non dichiara nel DGUE una risoluzione contrattuale di un precedente appalto pubblico.

La SA - nonostante si trattasse di risoluzione  ancora oggetto di contestazione innanzi al Giudice Ordinario - decide comunque di emettere un provvedimento di esclusione per falsa/fuorviante dichiarazione sul possesso dei requisiti generali (80, co. 5, lett. c) Nuovo Codice).

La ditta ricorre al TAR, sostenendo che:

-              tale articolo fa riferimento espresso solo alle risoluzioni definitivamente accertate in giudizio e/o non contestate. Quindi, quelle oggetto di un processo ancora pendente non sarebbero comprese nell'obbligo dichiarativo a carico delle imprese;

-              in ogni caso, anche laddove tale risoluzione fosse stata dichiarata, proprio perché ancora non definitiva, la SA non avrebbe potuto considerarla un indice idoneo a porre in dubbio l’affidabilità professionale della ditta.

I giudici lombardi, pur riconoscendo l’esistenza di una giurisprudenza in linea con tale tesi (ad esempio, Cons. St., 2063/18), aderiscono, invece, ad un altro orientamento e stabiliscono che:

-   l’art. 80, co. 5, lett. c), del Codice contiene anche una dizione generica, ovvero “gravi illeciti professionali”, che rifletterebbe il principio per cui il concorrente, secondo buona fede, deve fornire tutte le informazioni in astratto utili alla SA per valutare il suo comportamento nell’ambito delle commesse pubbliche;

- in tale ottica, dunque, l’operatore è tenuto a dichiarare qualsiasi risoluzione, comprese quelle ancora non definitive;

-  inoltre, sebbene sia vero che un’amministrazione non possa poi escludere un concorrente sulla sola base dell’esistenza di un risoluzione non definitiva, in ogni caso, sarebbe libera di valutare la condotta che ha dato vita a tale provvedimento, potendo ritenerla, ai fini di quella specifica gara, non idonea a garantire l’affidabilità di quel concorrente (a prescindere dall'esito del giudizio civile in corso), con conseguente legittimità di un eventuale provvedimento di esclusione.

Va ricordato che, sul punto, la questione è stata rimessa due volte alla Corte di Giustiza UE e, dunque, restiamo tutti in attesa di conoscerne le pronunce. Tuttavia, nel frattempo, il consiglio è quello di dichiarare ogni tipo di risoluzione, definitiva e non.

(TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 18 giugno 2018, n.591)


L'ultima sentenza sulla clausola sociale in attesa delle Linee Guida ANAC

Una stazione appaltante ospedaliera indice una gara per il servizio di pulizie, imponendo al futuro aggiudicatario di assumere tutti i 153 dipendenti dedicati dal gestore uscente all'esecuzione del contratto scaduto (di cui 2 dirigenti Quadro con funzioni solo amministrative).

Un RTI dichiara, in offerta, di assumere solo i 151 dipendenti con ruoli operativi (non i Quadro) e viene escluso dalla gara. Il concorrente impugna l'esclusione e il Consiglio di Stato precisa che:

- l'art. 50 del Codice consente l'introduzione di clausole sociali, che, però, devono bilanciare la tutela del lavoro con i principi di libertà di impresa (art. 41 Cost.), proporzionalità e ragionevolezza;

- dunque, l'obbligo di integrare i dipendenti del gestore uscente va calibrato con le effettive esigenze 1) esecutive dello specifico contratto aggiudicando e 2) manageriali dell'impresa futura aggiudicataria;

Pertanto, è illegittima una clausola che, come nella specie, impone, in modo indiscriminato, di assumere tutti i dipendenti dedicati dal gestore uscente all'esecuzione del precedente appalto.

(Cons. St., 8/06/2018, n. 3471)


Il RUP può essere giudice dell'anomalia? Assolutamente sì.

Un Comune indice una gara per l'affidamento in concessione del servizio di accertamento e riscossione dell'imposta sulla pubblicità, scegliendo il criterio di aggiudicazione dell'offerta economimcamente più vantaggiosa ("OEPV").

L'offerta della ditta prima in graduatoria viene sottoposta al vaglio di anomalia e l'impresa fornisce le proprie giustificazioni al RUP.

Il RUP, esaminate queste ultime, redige una apposita relazione di valutazione negativa, che sottopone alla Commissione di gara.

La predetta Commissione condivide le osservazioni del RUP e, quindi, la ditta viene esclusa, con conseguente aggiudicazione, per scorrimento, in capo alla ditta che era risultata seconda graduata.

La società esclusa ricorre al TAR, contestando, fra l'altro, che il RUP non avrebbe dovuto svolgere alcun ruolo sostanziale nel giudizio di anomalia, di appannaggio della sola Commissione di gara.

I giudici respingono il ricorso, in quanto:

  • anzitutto, nel vecchio codice, era pacifico che il RUP potesse e dovesse svolgere le valutazioni di anomalia e tale assetto non è mutato nel nuoco codice;
  • infatti, l'art. 77, a disciplina della fase dell'anomalia, stabilisce genericamente che la stessa debba essere gestita dalla stazione appaltante, senza indicare quale ufficio e/o organo debba occuparsene;
  • dal canto suo, invece, l'art. 35 sui poteri del RUP, contiene una clausola di competenza generale e residuale, secondo cui spettano allo stesso tutte le funzioni di gara non espressamente devolute dal legislatore ad altri soggetti;
  • quindi, se l'art. 77 del nuovo codice non attribuisce la competenza sull'anomalia alla commissione e il legislatore non la attribuisce ad alcun altro soggetto e/o organo, si applica la clausola di competenza residuale di cui all'art. 31 e, pertanto, deve essere il RUP a giudicare sulla remuneratività dell'offerta economica;
  • inoltre, nella stessa direzione vanno le Linee Guida 3, vincolanti, sul RUP, che stabiliscono chiaramente che, in caso di gara al minor prezzo, egli svolge autonomamente il giudizio sull'anomalia (potendo coinvolgere la Commissione solo in caso di ritenuta necessità), mentre, in caso di OEPV, il RUP resta competente, ma deve svolgere il suo compito obbligatoriamente con la Commissione.

Pertanto, posto che, nella specie, la gara era all'OEPV e che il RUP, correttamente, ha condiviso il suo giudizio con la Commissione, il procedimento di verifica dell'anomalia è stato riconosciuto come legittimo l'esclusione è stata dichiarata legittima.

(TAR Lazio, Latina, 6 giugno 2018, n. 323)


Linee Guida ANAC n. 2: aggiornamento e OEPV

Il 25 maggio 2018 sono state pubblicate in G.U. le nuove Linee Guida n. 2 in materia di Offerta Economicamente più Vantaggiosa, redatte dall'ANAC in seguito alle modifiche introdotte nel Codice dal decreto correttivo. L'atto è rivolto alle stazioni appaltanti, ma costituisce un valido indice di prassi anche per gli operatori economici.

Nei tratti più significativi, l'ANAC si è concentrata, fra l'altro, 1) sul criterio di aggiudicazione del minor prezzo, 2) su alcuni criteri di valutazione dell'offerta tecnica e 3) sui casi in cui non è possibile bandire una procedura con prezzo fisso.

Di seguito, dei passaggi centrali.

  1. L'ANAC ricorda che il criterio di aggiudicazoine dell'OEPV è la regola generale, mentre le stazioni appaltanti possono prescegliere quello del minor prezzo solo in alcuni tassativi casi previsti dal legislatore. Fra questi, vi sono le fattispecie di "forniture o servizi standardizzati" e di "forniture e servizi ad elevata ripetitività".

Secondo l'Autorità, sono "standardizzati" quei servizi e quelle forniture o dotate di caratteristiche tecniche fisse e immutabili per tutto il mercato in conseguenza del loro ciclo produttivo o comunque dotate di specifiche fisse e immodificabili in quanto obbligate dalla normativa regolatoria. In entrambi i casi, dunque, le stazioni appaltanti, in caso di gara, non potrebbero che recepire dette caratteristiche, senza poterle modificare in funzione del fabbisogno.

Invece, sono a "elevata ripetititività" i servizi e le forniture abitualmente oggetto di approvvigionamento da parte dell'Amministrazione, giacché rispondenti a un bisogno ticipo e continuativo della stessa.

In tali casi, l'Autorità conferisce pregio alla deroga ammessa dal legislatore in favore del minor prezzo, perché la gestione della gara tramite un criterio complesso come quello dell'OEPV, quando la concorrenza sulla qualità non potrebbe che riflettere i predeterminati assetti di mercato, rappresenterebbe solo un onere procedurale e economico ingiustificato.

2) Quanto ai criteri di valutazione delle offerte, l'ANAC, anzitutto, precisa come, ormai, si sia molto alleggerito il divieto di commimstione fra requisiti di partecipazione alla gara e criteri di valutazione. Infatti, fra questi ultimi ben possono, oggi, essere previste condizioni premiali soggettive, quando le stesse siano in grado di esprimere comunque un livello di qualità tecnica. L'Autorità, però, ricorda che resta un limite non superabile: nei criteri di valutazione delle offerte non possono essere introdotti elmenti quantitativi (ammessi solo a titolo di requisito di partecipazione). Ciò premesso, l'ANAC raccomanda alle stazioni appaltanti l'utilizzo di alcuni elementi ponderali, invitandole a prevedere punteggi migliiorativi in caso di CAM superiori ai limiti minimi, di soluzioni tecniche dotate di  Innovatività, nonché per le ditte con rating di impresa e/o di legalità (quest'ultimo, tuttavia, richiedibile solo alle società con almeno due anni di vita e con un fatturato minimo di 2 milioni di Euro).

Infine, per quanto di interesse, l'ANAC ricorda che, con il Codice, le stazioni appaltanti possono anche scegliere di appiattire le loro valutazioni sul solo elemento Qualità, bandendo una gara a c.d. prezzo fisso. L'Autorità non fornisce esempi pratici di quando ciò sia possibile, ma chiarsce quando ciò non sia invece legittiimo, ovvero se, all'esito di un'indagine di marcato sull'oggetto di gara, risulti che, da impresa a impresa, mutino o i costi di manutenzione o i costi di smaltimento o le esternalità ambientali o sociali.

(ANAC, Linee Guida n. 2 "Offerta economicamente più vantaggiosa", Delibera 2/05/2018, n. 424; G.U. 25/05/2018)


Lotto unico e principio attivo: un caso particolare

Terapia con "Fattore VIII coagulazione" per la cura dell'emofilia:

-  una Regione indiceva una gara inserendo, in un unico lotto, tutti i farmaci in commercio derivanti da tale principio attivo (in molecola intera Octocog Alfa).

Una ditta ha eccepito che, pur partendo dallo stesso principio attivo, nella specie, la stazione appaltante avrebbe illegittimamente accorpato in un unico lotto specialità farmaceutiche comunque diverse:

-  infatti, i prodotti oggetto del lotto si differenzierebbero per tipo di ciclo produttivo (animale o umano), linee cellulari e livello generazionale.

Tuttavia, il TAR ha rigettato il ricorso, poiché:

- mancavano le prove scientifiche a dimostrazione che tali differenze comportassero, anche, delle conseguenze sull'efficacia e/o sulla sicurezza del farmaco,

- l'ordinamento vieta di inserire in un unico lotto diversi principi attivi, ma non l'accorpamento di farmaci derivanti da un unico principio attivo e basati su processi produttivi differenti, sopratutto quando questi non conducano a differenze concrete sul piano clinico.

(TAR Sardegna, 26/4/18, 371)