Ristrutturazione tramite demoricostruzione su immobili “vincolati”: l’urgenza di un intervento normativo.
Molto si è detto circa la corretta interpretazione dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01 in tema di ristrutturazione edilizia tramite demoricostruzione su immobili “vincolati” ai sensi del d.lgs. 42/2004 (o, meglio, “tutelati”, come dice la norma a seguito del Decreto Semplificazioni 2020).
Ci riferiamo, chiaramente, alla questione del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (che abbiamo esaminato in questo contributo ospitato da LavoriPubblici.it) ed alla oggettiva difficoltà di fornire una interpretazione restrittiva della nozione di “immobili tutelati ai sensi del d.lgs. 42/2004“.
Interpretazione restrittiva peraltro seccamente rigettata dal Ministero della Cultura in sede di audizione parlamentare, in risposta proprio al “provocatorio” parere del CSLLPP, con una presa di posizione – sia consentito – per nulla convincente in punto di illustrazione della ratio della regola.
Ora, benché non manchino interessanti spunti interpretativi che, ancora oggi, continuano ad animare il dibattito (come quello pubblicato di recente da Legislazione Tecnica, dove si tenta di distinguere, nell’ambito dei vincoli ex art. 136 d.lgs. 42/2004 tra quelli “puntuali” e quelli “diffusi”, limitando solo ai primi l’operatività della regola ex art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01), a nostro avviso la questione dovrebbe essere affrontata più in radice, ossia al livello legislativo.
Al riguardo – si badi: senza che ciò possa implicare alcun “abbassamento” dei livelli di tutela del bene giuridico paesaggio – è nostra opinione che la previsione che impone, per gli immobili tutelati ai sensi del d.lgs. 42/2004, anche quando si tratti di mero vincolo paesaggistico diffuso, la demoricostruzione “fedelissima” è non solo “inutile” ed irragionevole, ma anche in forte odore di incostituzionalità.
Proviamo, di seguito, spiegare questa opinione.
I. La “inutilità” ed irragionevolezza del regime ex art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01 ai fini della tutela del paesaggio.
1. La disposizione incide – come è noto – non già sulla astratta ammissibilità dell’intervento di demoricostruzione (rimessa necessariamente alla pianificazione urbanistica e paesaggistica) ma sulla sua qualificazione quale ristrutturazione edilizia (quando “fedelissima”, ossia con identità di sagoma, volume, prospetti e caratteristiche tipologiche) ovvero quale nuova edificazione (allorquando venga mutato anche uno solo dei sopra citati parametri).
Per quale ragione una simile previsione (apparentemente ispirata ad una ratio di tutela del paesaggio) è, a nostro avviso, “inutile”?
E’ presto detto: la mera classificazione dell’intervento quale ristrutturazione edilizia o quale nuova edificazione non è di per sé portatrice di un maggior livello di tutela paesaggistica.
E ciò per varie ragioni
Innanzi tutto occorre ricordare che- lo si dimentica troppo spesso – ogni intervento in area paesaggisticamente vincolata deve essere vagliato ed autorizzato ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. 42/2004.
L’ostacolo che, allora si frappone, di tipo qualificatorio è meramente formale, ma con possibili (e frequenti) “interferenze” con la pianificazione paesaggistica: si pensi al caso in cui le norme di un dato Piano Territoriale paesaggistico ammettano solo interventi qualificabili come “ristrutturazione edilizia“. In casi del genere, l’art. 3, co. 1, lett. d), in combinato disposto con la norma “paesaggistica” renderebbe l’intervento non ammissibile e ciò anche in ipotesi in cui, nel merito, la demoricostruzione condurrebbe ad un organismo differente dal preesistente, ma in quanto non lesivo (o addirittura migliorativo: si pensi alla sostituzione edilizia di fabbricati abusivi in passato condonati) del contesto paesaggistico, in concreto conforme alla disciplina paesaggistica e, quindi, suscettibile di giudizio positivo ai sensi dell’art. 146 d.lgs. 42/2004.
A fronte di ciò, riteniamo che un dubbio di concreta “inutilità” della disposizione sia più che fondato.
2. E quanto precede rende evidente anche la irragionevolezza della norma, tale da frustrare le finalità di rigenerazione e riqualificazione urbana, oltre che di perseguimento delle finalità di tutela del paesaggio, e ciò impedendo (ad esempio quando il Piano Paesaggistico ammetta solo interventi di “ristrutturazione edilizia“, con rinvio “secco” al D.P.R. 380/01) o rendendo particolarmente gravosi tali interventi edilizi: si pensi ad esempio all’impossibilità di accedere ai benefici del superbonus110 o alle riduzioni del contributo di costruzione oggi previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 17 D.P.R. 380/2001.
II. Profili di possibile incostituzionalità
1. Venendo al nostro secondo “dubbio”, riteniamo che la norma sia suscettibile di un giudizio negativo di conformità a Costituzione.
Ciò, innanzi tutto, in quanto la “irragionevolezza” di una norma può rilevare, anche da sola, ai fini di una declaratoria di incostituzionalità.
Irragionevolezza che, peraltro, appare vieppiù evidente sol che si consideri come la riscrittura dell’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/2001 è avvenuta ad opera di una norma (l’art. 10, co. 1, D.L. 76/2020, conv. in L. 120/2020 c.d. Decreto Semplificazioni) la cui dichiarata finalità è quella di “semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonché di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo”.
2. Vi sono, poi, alcuni ulteriori profili che depongono nel senso della ipotizzata illegittimità costituzionale (o quantomeno che suggeriscono un ripensamento da parte del Legislatore).
Il primo attiene alla, per così dire, “incompetenza” della norma che prevede la regola “incriminata”.
Aver previsto simile regola nell’ambito del D.P.R. 380/2001 (T.U. dell’Edilizia) – senza che alla stessa corrisponda, come prima visto, una effettiva ratio di tutela dei beni paesaggistici – determina una possibile invasione di campo non solo del d.lgs. 42/2004 ma, soprattutto, delle prerogative “di merito” degli strumenti di pianificazione paesaggistica.
E ciò con un paradosso, insito nell’art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01: qui il Legislatore prevede oggi che la regola della necessaria ristrutturazione demoricostruttiva “fedelissima” (pena l’upgrade alla categoria della nuova costruzione) si applica inderogabilmente nelle aree tutelate ex d.lgs. 42/2004 mentre, per le zone A (e gli altri ambiti individuati dalla medesima norma) sono invece “fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici” (con interpretazione peraltro confermata dalla Circolare congiunta Funzione Pubblica -MIT).
Qui risiede, sempre a nostro avviso, una contraddizione difficilmente spiegabile, nella misura in cui il Legislatore (del Decreto Semplificazioni 2020) prevede un grado di elasticità della norma facendo salve solo le previsioni incidenti sull’urbanistica in senso stretto (che derivino da pianificazione o da legge) e non anche quelle di cui ai Piani Territoriali Paesaggistici.
Sarebbe stato opportuno (se non doveroso, vista la posizione al vertice della pianificazione territoriale di tali strumenti, ai sensi degli artt. 135 e ss. d.lgs. 42/2004) prevedere anche con riferimento ai Piani Paesaggistici una analoga forma di “salvezza“, così da consentire a tale atto di governo del territorio (peraltro approvato, come è noto, di concerto tra Stato e Regioni) di compiere ogni più opportuna e “concreta” (ossia: non aprioristica) scelta in ordine alla possibilità di “derogare” la rigida regola ex art. 3, co. 1, lett. d), D.P.R. 380/01, avuto riguardo ad una effettiva e graduata tutela del paesaggio.
3. D’altronde, sia anche consentito individuare un ulteriore termine di comparazione atto a corroborare il dubbio di coerenza e ragionevolezza della regola in esame.
L’art. 10, co. 1, lett. c), D.P.R. 380/01 – norma che si riferisce ad interventi di ristrutturazione edilizia non implicanti la integrale demolizione e ricostruzione – consente, senza che ciò determini un upgrade dell’intervento a nuova costruzione, di intervenire incidendo su sagoma, volumetria e prospetti di edifici sottoposti a tutela ai sensi del d.lgs. 42/2004.
Ora, se è vero che il campo di applicazione di tale disposizione non è sovrapponibile a quello dell’art. 3, co. 1, lett. d), è pur vero che la contraddizione appare, a nostro avviso, evidente (provocatoriamente: basterà eseguire un intervento di demolizione e ricostruzione “non integrale” per poter “aggirare” la regola dell’art. 3, co. 1, lett. d)? ).
In conclusione, quindi, riteniamo – in disparte la possibilità che simili questioni possano essere a breve sottoposte al vaglio della Corte costituzionale (ove ritenute rilevanti in sede di un giudizio amministrativo) – che esistano svariate ragioni per le quali il Legislatore dovrebbe intervenire, correggendo una norma che, ad oggi, rischia di compromettere seriamente, oltre che interventi di rigenerazione urbana, anche l’applicazione del superbonus110 tramite demoricostruzione in aree soggette a tutela paesaggistica.