Piano Regolatore Generale: variante o interpretazione autentica?
Il “governo del territorio” rappresenta una delle più gravose – e complesse – competenze di cui sono investiti i diversi Enti territoriali, e proprio a causa della molteplicità di interessi coinvolti, è spesso foriera di contenziosi.
Un recente esempio è offerto dalla sentenza del TAR Milano n. 3215 del 29.12.2023, con la quale il Tribunale Amministrativo per la Lombardia si è confrontato con i limiti che un Comune incontra nella possibilità di offrire un’interpretazione autentica del proprio Piano Regolatore Generale.
I. Intendiamoci sui termini
Una brevissima, ma doverosa, premessa terminologica.
Sin dalla Legge Urbanistica del 1942 è stato stabilito (art. 4) che “La disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali, dei piani regolatori comunali e delle norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti”: lo strumento locale “prediletto” era, insomma il Piano Regolatore Generale (abbreviato, PRG); e ad esso si è sempre genericamente fatto “volgarmente” riferimento anche allorquando, negli anni successivi, la terminologia si è poi evoluta (insieme alla struttura del Piano stesso).
Ad esempio, oggi il PRG è sostanzialmente “superato” dal Piano Urbanistico Comunale (cd. PUC); ma anche nelle diverse regioni italiane, il Piano Generale ha ricevuto diverse nomenclature.
Nel caso della Regione Lombardia, in particolare, lo strumento offerto ai Comuni per il “governo del territorio” è rappresentato Piano di Governo del Territorio (o PGT), definito dagli artt. 6 e ss. LR Lombardia n. 12/2005.
II. La fattispecie concreta
Venendo al caso esaminato dal TAR Milano, oggetto di impugnazione è una delibera comunale con cui l’Ente territoriale – a suo dire – ha reso un’interpretazione autentica di un articolo del Piano delle Regole del vigente PGT.
Nello specifico, i ricorrenti avevano presentato all’ufficio tecnico comunale una richiesta di Permesso di Costruire convenzionato, ai sensi dell’art. 28-bis DPR 380/2001 e art. 14, comma 1-bis, LR 12/2005, poiché nell’area da edificare non era possibile (proprio alla luce delle norme del PGT) realizzare opere con titolo diretto.
Tuttavia, l’Amministrazione ha segnalato loro che, secondo l’art. 120-bis del Piano delle Regole, l’accordo sotteso al PdC non doveva essere sottoscritto dai soli ricorrenti, bensì anche da tutti i proprietari delle aree confinanti con i loro terreni, perché facenti parte di una più ampia “Area di Trasformazione”, che doveva essere coinvolta nel suo complesso dal PdC convenzionato.
Soprattutto, nelle more di tale procedimento amministrativo, il Comune ha adottato una deliberazione di Consiglio Comunale recante un’interpretazione autentica del citato art. 120-bis, con la quale ha “formalizzato” questa sua interpretazione.
Da qui il ricorso dei richiedenti il PdC convenzionato, che hanno chiesto al TAR di annullare la deliberazione comunale.
III. Le argomentazioni del ricorso
Secondo le difese dei ricorrenti, la deliberazione impugnata sarebbe illegittima perché attraverso di essa sarebbe stata modificata la vigente disciplina pianificatoria, facendo un improprio ricorso all’istituto della rettifica e dell’interpretazione autentica degli atti del PGT, peraltro in contrasto con la disciplina del Permesso di Costruire convenzionato.
I profili di illegittimità sollevati riguardano, quindi, il procedimento utilizzato dal Comune resistente per modificare l’art. 120-bis: nel caso di specie è stato utilizzato il procedimento semplificato di cui all’art. 13, comma 14-bis, LR 12/2005, il quale prevede che “i comuni, con deliberazione del consiglio comunale analiticamente motivata, possono procedere alla correzione di errori materiali, a rettifiche e a interpretazioni autentiche degli atti di PGT non costituenti variante agli stessi”; per contro, secondo i ricorrenti ci si troverebbe dinanzi ad una vera e propria variante puntuale al PGT, che necessiterebbe di un procedimento “aggravato”, molto più complesso.
Ebbene, il TAR Milano ha dato ragione ai ricorrenti.
IV Variante o interpretazione autentica?
Dall’analisi della disciplina condotta dai Giudici amministrativi è emerso che le prescrizioni urbanistiche vigenti prima della modifica contestata consentivano l’edificazione dell’area mediante un “semplice” Permesso di Costruire convenzionato “esteso ad almeno un mappale”; per contro, in seguito alla deliberazione impugnata, il Comune ha, di fatto, “implementato” la disposizione di cui all’art. 120-bis, aggiungendovi una prescrizione più stringente, e dunque limitativa dello ius aedificandi, quale la compartecipazione all’accordo di un più ampio numero di soggetti.
Per questo motivo, secondo il Tribunale
l’intervento di modifica della disciplina contenuta nell’art. 120-bis del PdR non può essere ricondotto né a una rettifica/correzione di errore materiale, né ad attività di interpretazione autentica, secondo quanto imposto dall’art. 13, comma 14-bis, della legge regionale n. 12 del 2005; nella specie, si è proceduto a dar corso a una vera e propria Variante, seppure puntuale, allo strumento urbanistico, senza tuttavia rispettare il procedimento ordinario di cui al citato art. 13 della legge regionale n. 12 del 2005 (molto più lungo, articolato e complesso).
Richiamando anche Consiglio di Stato, sez. VI, 5.3.2014, n. 1036, è stato chiarito che “una rettifica delle previsioni urbanistiche comunali risulta ammissibile solo in presenza di un errore materiale che emerga in modo manifesto e immediato dalla lettura della documentazione del Piano, senza che si debba ricorrere ad alcuna attività di interpretazione della volontà dell’Amministrazione”.
D’altro canto, sul tema delle leggi interpretative, si è diffusamente soffermata anche la giurisprudenza costituzionale (ex multis, Corte costituzionale, 17.12.2013, n. 314), stabilendo che possono essere definite come “interpretative” solo quelle norme che
hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo (sentenza n. 424 del 1993). Ed ha chiarito che il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (ex plurimis: sentenze n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010)
V. Conclusioni
Tirando le fila del discorso, il TAR Milano ha affermato che i chiari principi giurisprudenziali richiamati possono essere pacificamente applicati sia alle norme di legge in senso stretto, sia a tutte le ulteriori fonti normative ed agli atti amministrativi generali.
E, dunque, “nella specie non si è scelto uno dei vari significati interpretativi riconducibili alla disciplina oggetto di intervento, ma si è provveduto a modificarla nella sua portata oggettiva, aggiungendo un nuovo onere a carico di coloro che intendono edificare all’interno dell’Area Speciale”.
Pertanto, può definirsi come “interpretazione autentica” solo quell’attività volta semplicemente a “chiarire” la portata di una certa disciplina; ogniqualvolta tale attività determina un aggravio nel procedimento, ed un maggior “restringimento” della capacità edificatoria di un’area, si è in presenza di una variante, tale da necessitare di un procedimento amministrativo ben più gravoso.