La disciplina dei criteri ambientali minimi prevista dall'art. 34 del Codice appalti.

Gli appalti attraverso i quali la Pubblica amministrazione acquisisce ben e/o servizi, sempre più con maggiore frequenza, prevedono che i beni e/o servizi siano rispondenti a particolari caratteristiche tecnico-funzionali.

Si tratta di una chiara applicazione della previsione ex art. 34 del Codice appalti che stabilisce espressamente che le stazioni appaltanti contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione "attraverso l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare"

Nel sistema di pubblico acquisto, il legislatore ha previsto delle soluzioni standardizzate definite criteri ambientali minimi (C.A.M).

Essi sono solitamente definiti come un'insieme di requisiti previsti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.

Il (neo) Ministero della transizione ecologia (ex Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) fornisce a questo link una serie di informazioni inerenti i criteri ambientali minimi e le diverse categorie merceologiche in riferimento all'oggetto dell'affidamento.

La sentenza oggetto del presente contributo consente di esaminare come opera il sistema dei C.A.M. nell'ambito di una gara d'appalto.

La questione sottoposta all'esame del Giudice ammnistrativo verte su di una procedura di gara relativa all'affidamento della fornitura e posa in opera di attrezzature e arredi per una struttura sanitaria.

Alla procedura partecipano due operatori economici: la parte ricorrente, ovvero la società seconda classificata, insorge avverso le determinazioni assunte dall'Ente pubblico di aggiudicazione della fornitura in favore di altro operatore deducendo una serie di motivi, due dei quali interessano l'applicazione proprio dei criteri ambientali minimi.

La disciplina di gara non indicava, espressamente, l'applicazione dei criteri ambientali, bensì una serie di caratteristiche riconducibili a quelle tipiche stabilite dai C.A.M.

Con il primo motivo, in particolare, la società ricorrente contesta il mancato possesso in capo all'aggiudicataria del requisito dei criteri ambientali minimi ai prodotti oggetto dell'offerta (trattasi di prodotti d'arredo nello specifico) facendo leva sul principio della eterointegrazione quanto all'osservanza dei criteri ambientali minimi ex art. 34 Codice appalti.

Il secondo motivo, invece, verte sulla violazione del decreto ministeriale 11 gennaio 2017 (relativo all'adozione dei criteri ambientali minimi per gli arredi per interni, per l'edilizia e per i prodotti tessili) che, a ragion della ricorrente, impone ai fini della verifica dei prodotti ai criteri ambientali minimi specifici documenti, mentre nella procedura di gara in questione la stazione appaltante avrebbe esaminato solo ed esclusivamente una dichiarazione di impegno del concorrente e certificati non corrispondenti alla documentazione puntualmente prevista nel citato decreto.

La decisione assunta dal Tar campano è risultata favorevole per la ricorrente e, dunque, il ricorso fondato.

Nell'esaminare la questione, il Giudice amministrativo opera preliminarmente un richiamo al procedimento cautelare dello stesso giudizio, nell'ambito del quale era stato ritenuto che i C.A.M. erano elementi essenziali dell'offerta, la cui sussistenza era da verificarsi in un tempo antecedente all'aggiudicazione e come presupposto di questa.

Confermando il principio espresso in fase cautelare, per poter qualificare esattamente la natura giuridica dei C.A.M., il Tar opera preliminarmente una distinzione tra requisiti di partecipazione ed esecuzione, osservando in maniera puntuale che "... i criteri ambientali minimi non possono essere qualificati in senso proprio come requisiti, né di partecipazione, né di esecuzione; non di partecipazione, dal momento che questi afferiscono al concorrente, sia in quanto operatore economico (cd. requisiti generali), sia quale imprenditore del settore (cd. requisiti speciali); i requisiti di esecuzione sono invece condizioni soggettive ed oggettive dell’appaltatore, previsti onde assicurare il puntuale adempimento di obbligazioni inerenti al contratto pubblico per cui è stata indetta gara; in tal senso, essi sono esigibili non in capo al concorrente, e quindi fin dal momento della gara, ma solo dall’appaltatore ed al momento della stipulazione, essendo solo tale soggetto colui che deve assicurare la corretta esecuzione delle prestazioni contrattuali; l’esigenza di una verifica successiva alla conclusione della gara è ascrivibile ad esigenze di economia procedimentale, diversamente costituendo un ingiustificato aggravamento del procedimento un accertamento preventivo relativo a tutti i concorrenti, nonché al rispetto del principio di proporzionalità e di favor partecipationis; invero, costituirebbe un onere eccessivo imporre a chi è semplice concorrente il possesso di condizioni e requisiti che si rivelerebbero privi di concreta utilità in caso di mancata aggiudicazione ...".

Venendo poi alla disamina del caso, il Tar afferma che "si è in presenza di elementi essenziali dell’offerta, ossia di caratteristiche qualitative che la norma impone debbano essere possedute dalle cose oggetto di fornitura, nel caso di specie arredi ed attrezzature che, sebbene appartenenti ad un genus, devono essere identificate, presentate e comprovate come qualitativamente idonee dal punto di vista del soddisfacimento dei criteri ambientali minimi".

Nel giungere alla conclusione, il Giudice amministrativo acclara, dunque, l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione, disponendone l'annullamento, poiché la staziona appaltante non aveva preventivamente verificato l'osservanza dei criteri ambientali minimi relativamente ai beni che costituivano l'oggetto dell'offerta della società.

(Tar Campania Sez. II, 8.3.2021, n. 1529)


L'art. 95 Codice appalti, l' indicazione dei costi della sicurezza e l'uso della modulistica di gara.

Quando un'amministrazione indice un appalto pubblico, la disciplina di gara può prevedere un vincolo di utilizzazione dei moduli predisposti dalla stessa Stazione appaltante, modelli - tipo che ciascun concorrente può utilizzare per rendere le informazioni richieste dai documenti di gara e modificarli a seconda delle proprie esigenze.

Il tema dell'uso della modulistica è stato affrontato in una precedente news (consultabile a questo link).

Solitamente, i moduli sono resi sia in formato editabile (es. word), sia in formato non editabile.

Il Consiglio di Stato di recente è intervenuto a dirimere una controversia promossa da un operatore economico avverso la determinazione assunta da un'amministrazione per l'affidamento di un appalto di fornitura di veicoli speciali, lamentando, in particolare, l'erroneità della sentenza di primo grado con riguardo all'omessa indicazione da parte dell'aggiudicataria degli oneri di sicurezza aziendali ex art. 95, co. 10, d.lgs. 50/2016 nell'ambito di una procedura aperta indetta ai sensi dell'art. 60, Codice dei contratti pubblici.

Il giudice ha espressamente escluso che l'affidamento oggetto del contendere potesse essere ricondotto ad una fornitura senza posa in opera, ipotesi particolare che, per espressa volontà del legislatore, esonera l'offerente dall'indicazione degli oneri di sicurezza aziendale ex art. 95, co. 10, Codice dei contratti pubblici: "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l'adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera ...". L'affidamento, viceversa, avendo ad oggetto la fornitura di veicoli dotati di particolari accorgimenti tecnici, secondo la ricostruzione dell'organo giudicante, necessitava di manodopera e, dunque, dell'indicazione degli oneri di sicurezza aziendali.

Il giudice amministrativo si è soffermato sul terzo dei tre motivi di censura, con il quale la società appellante ha sostenuto che la sentenza di primo grado era da considerarsi errata nella parte in cui il Giudice ha affermato che vi fosse un'impossibilità materiale per l'aggiudicataria di assolvere all'obbligo di legge in considerazione dell'espresso vincolo di utilizzazione del modulo predisposto dall'Amministrazione.

Il Consiglio di Stato, ritenendo fondato l'appello, ha rilevato prioritariamente che nel caso di specie il modulo di offerta economica ove il concorrente avrebbe dovuto menzionare i costi della sicurezza era in formato modificabile, tanto è vero che l'operatore appellante aveva correttamente modificato il documento, compilandolo con la specificazione dei propri oneri di sicurezza aziendali.

A sostegno della propria decisione il giudice ha operato un richiamo alla pronuncia resa dall'Adunanza Plenaria che, con riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia del 2 maggio 2019, ha stabilito in materia di costi della manodopera e oneri della sicurezza che i principi generali degli appalti pubblici (certezza del diritto, parità di trattamento e trasparenza) non ostano ad una normativa nazionale che impone l'esclusione dell'offerta senza possibilità di soccorso istruttorio qualora l'operatore economico abbia omesso di indicare, separatamente, i costi della manodopera anche nell'ipotesi in cui "l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto", perchè tale possibilità di esclusione è prevista chiaramente dalla normativa nazionale; viceversa, se le disposizioni di gara non consentono agli operatori economici di indicare nelle loro offerte economiche i costi, in tal caso deve ritenersi ammissibile l'istituto del soccorso istruttorio.

Tra l'altro, il Consiglio di Stato ha confermato che l'automatismo espulsivo correlato al mancato scorporo nell'offerta economica dei costi inerenti alla manodopera e alla sicurezza interna derivanti dal combinato disposto degli artt. 95, co. 10, e 83, co. 9, Codice dei contratti pubblici, "è conforme al diritto europeo".

Il principio che il Giudice ha espresso nel caso si specie a sostegno della fondatezza del ricorso è il seguente: "Né rileva che, nel caso di specie, il bando non prevedesse espressamente l’obbligo di sperata evidenziazione dei costi in questione, essendo a tal fine sufficiente, in virtù del principio di eterointegrazione della lex specialis ad opera della lex generalis, che nella documentazione di gara fosse riportata una dicitura per cui per quanto non espressamente previsto nel bando, nel capitolato e nel disciplinare di gara dovesse farsi applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici (e quindi anche dell'art. 95, comma 10).… Sotto distinto profilo, nella fattispecie in esame non è dato ravvisare alcuna oggettiva impossibilità d’includere i predetti costi in offerta, dal momento che la modulistica di gara consentiva certamente una loro puntuale indicazione ... Deve, per tal via, escludersi, in conformità ai principi richiamati, la possibilità di recuperare l’omissione attraverso l’attivazione del soccorso istruttorio".

(Cons. St. Sez. V, 22 febbraio 2021, n. 1526)


L'art. 83 e i requisiti tecnico - professionali "ridotti" per le imprese neocostituite nell'affidamento dei servizi di raccolta differenziata.

Il caso che qui si esamina muove dall'obiezione sollevata da un operatore economico nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica indetta per l'affidamento dei servizi di igiene urbana di un comune siciliano, servizi relativi alla raccolta differenziata porta a porta nello specifico, da aggiudicarsi con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.

La tematica, sotto altri profili, è stata affrontata anche in una precedente news consultabile a questo link.

Si tratta di un tema, quello del possesso dei requisiti partecipativi, particolarmente dibattuto nell'ipotesi in cui all'affidamento concorrono imprese di nuova costituzione.

Se per un verso il legislatore ha previsto nell'ordinamento dei contratti pubblici diversi strumenti di compartecipazione, per altro verso, ci si interroga se tali operatori, benché privi di esperienza, possa concorrere autonomamente senza rischiare l'esclusione.

Il caso esaminato offre numerosi spunti riflessivi.

Il disciplinare di gara prevedeva, infatti, che il concorrente, per poter essere ammesso alla partecipazione, avrebbe dovuto dichiarare il possesso di una particolare capacità tecnica - professionale basata su due elementi (piuttosto ricorrenti negli appalti di servizi di igiene urbana) ovvero di aver eseguito nell'ultimo triennio:

  1. servizi analoghi a quelli oggetto di affidamento in o più comuni per un determinato numero di abitanti;
  2. un servizio specifico di raccolta rifiuti porta a porta in uno o più comuni per una popolazione complessivamente servita di un dato numero di abitanti, per un periodo continuativo di almeno 12 mesi e con una percentuale di raccolta differenziata media annua pari o superiore al 65%.

La stazione appaltante chiariva, a seguiva di un interpello, che il requisito del servizio "di punta" (n. 2) poteva essere dimostrato anche mediante la somma di più contratti con soggetti pubblici diversi., purchè nello stesso ambito temporale.

Un concorrente partecipava alla gara e successivamente risultava ammesso alla fase successiva di apertura e valutazione delle offerte tecniche, dichiarando il possesso degli specifici requisiti, poi comprovati (in parte) mediante esibizione di certificato di regolare esecuzione di servizi analoghi svolti per un periodo inferiore a quello prescritto dalla disciplina di gara.

A sostegno della dichiarazione resa, l'operatore affermava che trattandosi di società operante nel settore oggetto della gara solo dal 2018, il requisito della durata temporale dell'effettuazione del servizio di raccolta differenziata media non poteva essere rapportata all'anno, bensì doveva essere ridotta proporzionalmente; diversamente, il bando di gara era da ritenersi illegittimo perchè posto in violazione dei principi generali finalizzati a garantire la possibilità di concorrere alle gare d'appalto delle nuove imprese e di tutela del favor partecipationis.

L'Amministrazione, tuttavia, a seguito di verifica eseguita presso le amministrazioni ove i servizi (dichiarati) erano stati precedentemente svolti, disponeva l'esclusione del concorrente per mancata comprova del possesso dei requisiti.

Il giudizio di primo grado si concludeva con sentenza che, in parte acclarava il ricorso inammissibile, in parte lo rigettava nel merito.

La società, tuttavia, proponeva appello innanzi all'Organo siciliano di secondo grado deducendo molteplici profili di illegittimità fra i quali, quello centrale, concernente  la decisione con cui il Giudice di primo grado, riguardo i requisiti di capacità tecnico - professionali, che non aveva ritenuto valida l'interpretazione dedotta dalla società ricorrente in quanto "contraddice la necessità di assicurare che tra i partecipanti alla gara vi siano concorrenti con sufficiente esperienza e adeguate prestazioni e finirebbe per favorire imprese prive di adeguata professionalità, poiché ad absurdum un’impresa neocostituita potrebbe aggiudicarsi l’appalto dimostrando il raggiungimento del 65% della raccolta differenziata anche solo per un mese (o anche frazioni temporali inferiori)".

Secondo l'appellante, la deduzione del TAR sarebbe errata in quanto "non tiene conto del fatto che la riduzione in maniera proporzionale del requisito richiesto è finalizzata a garantire la partecipazione degli operatori economici da poco tempo operanti sul mercato così da aumentare la possibilità di scelta della Pubblica amministrazione".

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Sicilia, tuttavia, ha ritenuto non fondato il motivo, così da rigettarlo, affermando la piena legittimità della previsione del bando che prevedeva i requisiti relativi alla capacità tecnica.

Il Collegio, in particolare, ha ritenuto opportuno precisare che l'art. 83, Codice appalti, che disciplina i criteri di selezione, relativamente ai requisiti di capacità tecnico - professionali, opera una distinzione tra appalti di lavori e di servizi/forniture: in quest'ultimi il legislatore non ha contemplato un sistema unico di qualificazione, per cui "ne consegue la necessità di determinare per ogni singola gara i requisiti di capacità economica e professionale richiesti in ragione dello specifico oggetto della fornitura o del servizio".

Tra l'altro, rileva il medesimo Organo di giustizia, mentre la capacità economica - finanziaria è caratterizzata "da una previsione normativa specifica che ha l'effetto di limitare espressamente il margine di scelta discrezionale assegnato alla P.A.", relativamente ai requisiti tecnici la discrezionalità riservata alla stazione appaltante è più ampia, ma soggiace al principio generale secondo cui "cui i bandi di gara possono prevedere requisiti di capacità particolarmente rigorosi, purché non siano discriminanti e abnormi rispetto alle regole proprie del settore ... Il che in punto di adeguatezza corrisponde a un corretto uso del principio di proporzionalità nell’azione amministrativa: le credenziali e le qualificazioni pregresse debbono infatti ... essere attentamente congrue rispetto all’oggetto del contratto ...".

Sulla base di tale assunto il Giudice amministrativo ha ritenuto "logico e proporzionato il requisito speciale del raggiungimento del 65% di raccolta differenziata in 12 mesi attesa la natura del contratto, essendo il requisito finalizzato ad individuare operatori che attestino una pregressa esperienza, che consenta di ritenere che l’esigenza della collettività sarà adeguatamente soddisfatta".

Obblighi di risultato che si ricavano direttamente dalle disposizioni contenute nel codice dell'ambiente e relative agli aspetti specifici dell'attività di raccolta differenziata e alla programmazione che compete alle pubbliche amministrazioni.

Con ciò, il Giudice amministrativo ritiene non condivisibile l'interpretazione "alternativa" offerta dal concorrente ovvero di operare una sorta di riduzione "temporale" dei requisiti; ciò che sorprende è la motivazione espressa nella pronuncia in commento "... spetta solo alla legge di gara individuare eventuali modalità per consentire anche ai nuovi operatori economici di partecipare, e non può essere lasciato al singolo partecipante l’individuazione di criteri reputati in linea con le norme che regolano i pubblici contratti".

Si tratta di un'affermazione tutt'altro che generica: è agevole dedurre infatti che, secondo la prospettazione operata dal Supremo Consiglio, può ritenersi ammissibile nel sistema degli appalti pubblici la possibilità che una stazione appaltante preveda specifiche modalità atte a consentire ai nuovi operatori economici di partecipare, autonomamente, alle procedure di gara, senza il pieno possesso dei requisiti partecipativi.

Si tratterebbe, in buona sostanza, dell'applicazione del principio di più ampia partecipazione alle gare anche da parte delle imprese di nuova costituzione, da conciliarsi, nondimeno, con quello di assicurare che l’appalto sia eseguito da soggetto dotato di adeguata esperienza e professionalità.

Certamente, prosegue il Consiglio di Giustizia, "gli interessi delle imprese di nuova costituzione possono essere soddisfatti attraverso l’avvalimento, di cui l’odierna appellante non ha fatto uso".

Nel giungere alla conclusione, si tratta di una pronuncia che, certamente, pone l'attenzione sulla problematica della partecipazione a gara delle imprese neo costituite che, risultando prive dei requisiti di capacità tecnico - professionali relativi all'esperienza pregressa, necessitano di strumenti alternativi che prescindano dall'impiego di forme partecipative di tipo "associativo".

(C.G.A.R.S. 2.2.2021, n. 70)


Il divieto di abbandono dei rifiuti ex art. 192 del Codice dell'ambiente ed il ripristino ambientale.

La questione dell'abbandono incontrollato di rifiuti e degli obblighi di ripristino ambientale che gravano sul responsabile costituiscono un tema sempre attuale alla luce del quadro particolarmente complesso della disciplina della gestione dei rifiuti e, in generale, di quella ambientale.

In questa precedente news, in tema ambientale, è stata affrontata la questione dei lavori di bonifica (intesa quale operazione complessa di ripristino ambientale), analizzando gli aspetti amministrativi della partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica.

Il caso che qui si esamina verte, in particolare, su di un'ordinanza di smaltimento di un deposito d rifiuti; la particolarità sta nel fatto che il destinatario di tale provvedimento amministrativo è la Curatrice fallimentare della società fallita, la quale impugna innanzi al Tribunale amministrativo prima, al Consiglio di di Stato poi, l'ordine di rimozione dei rifiuti asserendo l'insussistenza di un obbligo di rimozione.

La questione giunge innanzi all'Adunanza plenaria su richiesta del Consiglio di Stato al fine di chiarire se a seguito della dichiarazione di fallimento perdano giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita ai sensi dell'art. 192, d.lgs. 152/2006, pur se il curatore fallimentare gestisce in proprio il patrimonio del bene della società fallita e ne ha disponibilità materiale.

Al di là del caso specifico e degli aspetti che abbracciano anche la disciplina fallimentare, degli obblighi giuridici cui era tenuta la società fallita in particolare,, il Giudice amministrativo opera una ricostruzione dell'istituto dell'abbandono dei rifiuti in guisa con i principi ambientali, prevenzione e responsabilità in particolare, di derivazione europea.

L'art. 192 del Codice dell'ambiente sancisce il divieto generale di abbandono dei rifiuti, anche nell'ipotesi di deposito incontrollato di materiali sul suolo e nel suolo; la violazione del divieto comporta, oltre all'applicazione delle sanzioni ivi previste, l'obbligo della rimozione all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi . La previsione legislativa prevede che il sindaco provvede con ordinanza alle operazioni necessarie, fissando il termine entro cui provvedere, decorso il quale si procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.

Detta disposizione prevede una cd. esimente "interna", dovendosi configurare una responsabilità nei casi in cui la violazione dell'obbligo sia imputabile a titolo di dolo o colpa.

In estrema sintesi, dunque, al generale divieto di abbandono e di deposito incontrollato la legge riconnette gli obblighi di rimozione, di avvio al recupero oppure smaltimento ed il ripristino dello stato dei luoghi.

Prescindendo dalla sfera soggettiva sul quale grava l'obbligo, la soluzione alla questione passa necessariamente dall'enunciazione del principio, di derivazione comunitaria, in forza del quale, per la salvaguardia dell'ambiente, i rifiuti devono essere rimossi quando è cessata l'attività che li ha originati.

Si tratta, in questo caso, di stabilire su quale soggetto grava l'obbligo di rimozione, nell'ipotesi in cui l'imprenditore sia fallito e la gestione del patrimonio sia sottoposta ad un curatore.

Orbene, il giudice amministrativo muove le considerazioni distinguendo tra il soggetto che ha prodotto materialmente i rifiuti, da colui che ne abbia materialmente acquisita la detenzione o la disponibilità giuridica, prescindendo dalla natura giuridica del titolo sottostante.

Muovendo dal principio "chi inquina paga", che costituisce regola generale in materia ambientale, nonché dalla normativa comunitaria, si è solito affermare che i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o ancora dai detentori precedenti dei rifiuti.

L'iter motivazionale appare appare complesso, ma al contempo, rispondente al nesso di causalità tra condotta e danno contestato: "... poiché l’abbandono di rifiuti e, più in generale, l’inquinamento, costituiscono ‘diseconomie esterne’ generate dall’attività di impresa (cd. “esternalità negative di produzione”), appare giustificato e coerente con tale impostazione ritenere che i costi derivanti da tali esternalità di impresa ricadano sulla massa dei creditori dell’imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti dell’ufficio fallimentare della curatela in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento. Seguendo invece la tesi contraria, i costi della bonifica finirebbero per ricadere sulla collettività incolpevole, in antitesi non solo con il principio comunitario "chi inquina paga",

Da tale assunto, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato giunge a fissare il principio secondo il quale sia logico ritenere che ricada sulla curatela fallimentare "l'onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all'art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare".

(Cons. St. Ad. Plen. 26.1.2021, n. 3)


La valutazione di impatto ambientale ex art. 19, d.lgs. 152/2006 è espressione di ampia discrezionalità.

La valutazione di impatto ambientale è, per definizione, un procedimento amministrativo finalizzato all'individuazione, descrizione e quantificazione degli effetti che un determinato progetto potrebbe avere sull'ambiente, inteso come insieme delle risorse naturali, e sulle attività antropiche in esso presenti, al fine di accertare la sostenibilità ambientale del singolo intervento e realizzare la migliore mediazione possibile tra le esigenze funzionali dell'intervento stesso e l'impatto che la sua esecuzione effettivamente produce.

Si tratta, quindi, di una procedura complessa che trova applicazione riguardo quelle proposte progettuali (o modifiche a impianti già esistenti) che possono avere impatti ambientali significativi e negativi: esso è espressione del principio di precauzione di derivazione comunitaria.

La disciplina è contenuta, prevalentemente, nel Titolo III del d.lgs. 152/2006 e s.m.i., il Codice dell'ambiente, integrata dalla normativa regionale per taluni aspetti di dettaglio.

Il tema della procedura di valutazione di impatto ambientale è stato affrontato anche in questa news.

Il caso che qui si affronta consente di analizzare uno degli aspetti più dibattuti dell'istituto, ovvero quello concerne le valutazioni tecniche espresse dagli enti preposti durante la conferenza di servizi, soggetti chiamati ad esaminare il progetto e le relative ripercussioni prima dell'adozione del provvedimento definitivo, valutazioni che costituiscono certamente gli elementi imprescindibili per una decisione sufficientemente ponderata.

La vicenda trae origine da un ricorso proposto da un operatore economico proprietario di un giacimento di cava con finalità estrattive; nell'ambito del procedimento amministrativo autorizzativo, l'Ente regionale manifestava la necessità di sottoporre a procedura di V.I.A. il progetto definitivo per l'esercizio dell'attività estrattiva.

L'iter istruttorio di verifica della compatibilità ambientale si concludeva con esito positivo; tuttavia, la società istante decideva di impugnare dinanzi al Tribunale amministrativo regionale l'esito favorevole del procedimento, poiché il giudizio in ordine alla compatibilità del progetto imponeva il rispetto di specifiche prescrizioni.

Innanzitutto, il Giudice amministrativo opera una ricostruzione precisa dell'istituto della valutazione di impatto ambientale affermando che  l'intervento in oggetto era stato sottoposto a V.I.A. in quanto "ricompreso nell'Allegato IV alla Parte II al d.lgs. n. 152 del 2006, e appartenente alla categoria progettuale punto 8, lett. t) e tipologia progettuale «modifiche o estensioni di progetti di cui all'allegato III o all'allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente ... tipologia progettuale "Cave e torbiere".

Si tratta, in particolare, del richiamo dell'allegato tecnico al d.lgs. 152/2006 e s.m.i. che individua, con estremo rigore, le categorie di progetti che, per la loro approvazione, devono essere sottoposti alla procedura di compatibilità ambientale.

Il T.A.R., nella disamina del caso, giunge tra l'altro a precisare la funzione tipica della V.I.A. ovvero "quella di esprimere un giudizio sulla compatibilità di un progetto valutando il complessivo sacrificio imposto all'ambiente rispetto all'utilità socio - economica perseguita, che non è dunque espressione solo di discrezionalità tecnica, ma anche di scelte amministrative discrezionali, con la conseguenza della sottrazione di talune scelte al sindacato del G.A. se non laddove ricorrano evidenti profili di illogicità, irragionevolezza o errore di fatto".

Nell'affrontare la disciplina, il Giudice di primo grado giunge col delineare l'aspetto significativo della procedura di compatibilità ambientale ovvero la natura intrinseca delle scelte operate dai soggetti chiamati ad esprimere un parere nel corso dell'iter di valutazione della compatibilità del progetto, definendo inoltre il ruolo che assume il Giudice nell'ambito delle valutazioni espresse: "la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) si caratterizza quale giudizio espressione di ampia discrezionalità oltre che di tipo tecnico, anche amministrativa, sul piano dell'apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all'interesse all'esecuzione dell'opera ... Il sindacato del giudice amministrativo in subiecta materia, come noto, è limitato alla manifesta illogicità, incongruità, travisamento o macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria ... Difatti, le valutazioni tecniche complesse rese in sede di V.i.a. sono censurabili per macroscopici vizi di irrazionalità proprio in considerazione del fatto che le scelte dell'amministrazione, che devono essere fondate su criteri di misurazione oggettivi e su argomentazioni logiche, non si traducono in un mero a meccanico giudizio tecnico, in quanto la valutazione d'impatto ambientale, in quanto finalizzata alla tutela preventiva dell'interesse pubblico, presenta profili particolarmente elevati di discrezionalità amministrativa, che sottraggono al sindacato giurisdizionale le scelte effettuate dall'amministrazione che non siano manifestamente illogiche e incongrue".

Con tale affermazione, il Giudice amministrativo evidenzia quindi che le valutazioni rese nel corso dell'iter autorizzativo sono dotate di ampia discrezionalità amministrativa, ragion per cui il sindacato del giudice è limitato esclusivamente ove sussistano macroscopici difetti di motivazione o di istruttoria.

Esaminate le singole censure, il T.A.R. si sofferma su uno degli aspetti oggetto del contenzioso ovvero la previsione di un obbligo in capo al proponente di stipulare una convenzione con l'Ente provinciale al fine di prevedere un contributo congruo per la manutenzione della viabilità di accesso alla cava per il tratto di competenza dell'Ente provinciale medesimo.

Orbene, accogliendo lo specifico motivo di ricorso, il Giudice amministrativo giunge condivisibilmente ad affermare che "... la citata prescrizione si risolve in una duplicazione, seppur con riferimento ad uno specifico tratto di strada, dell’onere aggiuntivo già previsto dall’art. 34 del Codice della strada specificamente per l’indennizzo dell’usura delle strade. La prescrizione, inoltre, non trovando giustificazione in alcuna fonte normativa, si pone in contrasto con l’art. 23 Cost. per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge".

(TAR Umbria Sez. I, 13.1.2021, n. 7)


Formulario rifiuti, omessa o incompleta compilazione casella di competenza del destinatario: no a responsabilità del produttore.

Formulario rifiuti, omessa o incompleta compilazione casella di competenza del destinatario: no a responsabilità del produttore.

Formulario rifiuti, omessa o incompleta compilazione casella di competenza del destinatario: no a responsabilità del produttore.La Suprema Corte affronta, con una recente pronuncia, il tema della omessa o incompleta compilazione nei formulari rifiuti della casella di competenza del destinatario chiedendosi se sussiste o meno la responsabilità del produttore.

Un caso diverso rispetto a quelli in riferimento ai quali la Corte di Cassazione è intervenuta in passato e che riguardavano incompletezze dei formulari all'atto della partenza, quindi imputabili al produttore in quanto soggetto tenuto a redigere e sottoscrivere i documenti a quell'atto e quindi direttamente sanzionabile per dette incompletezze.

Vale ricordare infatti, a titolo esemplificativo, che:

  • sussiste la pari e diretta responsabilità del trasportatore, anch'egli obbligato a verificare i dati dei rifiuti in partenza e a redigere, pro parte, il formulario (Cass., n. 20862/2009 e Cass. 34031/2019, in relazione all’art. 193, d.lgs. 152/2006 sostanzialmente riproduttivo di quanto previsto nel decreto Ronchi – d.lgs. 22/1997);
  • l'omessa indicazione, imputabile al produttore del peso dei rifiuti poi verificato a destino - con conseguente elusione della normativa, che ha la funzione di consentire un esatto controllo sulla natura e sulla quantità dei rifiuti trasportati, cosi da garantire una completa tracciabilità di tale attività - non può intendersi supplita dall'avvenuta accettazione per intero del carico da parte del destinatario, inidonea al fine di ritenere comunque ricostruibile l'informazione omessa (Cass., n. 34038/2019).

In dettaglio, accadeva che i formulari di 169 trasporti di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da una società mancavano dei dati obbligatori della casella 11, riservata al destinatario. A seguito di tale accertamento, la Provincia emetteva a carico della suddetta società produttrice e del relativo rappresentante legale una ordinanza di ingiunzione per il pagamento della sanzione prevista per concorso con il destinatario e con il trasportatore nell'illecito di cui all’art. 52, comma 3, del decreto Ronchi, applicabile ratione temporis.

L'impugnazione proposta avverso tale ordinanza di ingiunzione dalla produttrice respinta dal Tribunale di primo grado.

In secondo grado, l’appellante eccepiva, tra le altre, che nella sostanza era da applicarsi l’art. 52, comma 4, e non il comma 3, con conseguente riduzione della sanzione giacché le indicazioni erano formalmente incomplete o inesatte ma i dati riportati nella comunicazione al catasto, nei registri di carico e scarico, nei formulari di identificazione dei rifiuti trasportati e nelle altre scritture contabili tenute in base a legge consentivano di ricostruire le informazioni dovute.

Eccezione che veniva accolta dalla Corte di Appello.

La questione finisce in Cassazione su iniziativa della Città Metropolitana (già Provincia) e, in via incidentale, della società produttrice.

Ad avviso della Corte, tra le questioni pregiudiziali poste in ricorso incidentale - pregiudiziali rispetto a quelle sollevate con il ricorso principale - fondata e assorbente è quella relativa alla dedotta insussistenza dei presupposti del concorso nella consumazione dell'illecito di indicazione di dati incompleti nei 169 formulari, commesso dalla società destinataria dei rifiuti, omettendo di compilare la casella 11 dei formulari.

La Corte di Appello ha aderito, erroneamente ad avviso della Suprema Corte, alla tesi sostenuta dalla Provincia affermando che la relativa sanzione “può essere comminata anche al produttore che, come nel caso, abbia conferito incarico al vettore in caso di trasporto con uso di formulario contenente dati incompleti”.

Ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 22/1997: “1.Durante il trasporto i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare, in particolare, i seguenti dati: a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore; b) origine, tipologia e quantità del rifiuto; c) impianto di destinazione; d) data e percorso dell'istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario.

  1. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal detentore dei rifiuti, e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore il quale provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni (...)
  2. Il modello uniforme di formulario di identificazione di cui al comma 1 è adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Il modello è stato adottato con decreto del ministero dell'ambiente n. 145/1988 ed è riportato nell'allegato B dello stesso decreto.

Il modello si articola in cinque sezioni contenenti 11 caselle.

Le caselle da uno a dieci, che compongono le prime quattro sezioni, devono essere compilate dal produttore o detentore dei rifiuti e dal vettore e recano le indicazioni identificative del produttore o detentore dei rifiuti, i dati relativi ai rifiuti, le indicazioni concernenti il vettore, nonché (casella 10) il nome del conducente del mezzo di trasporto, i dati identificativi del mezzo, la data e l'ora di partenza.

La casella 9 contiene la firma del produttore o del detentore e quella del vettoreper l'assunzione della responsabilità delle informazioni riportate nel formulario”.

La sezione quinta, con la casella 11, è riservata al destinatario ed è da lui sottoscritta.

Il destinatario vi deve indicare se il carico di rifiuti è stato accettato o respinto e, nel primo caso, la quantità di rifiuti ricevuta, nonché la data e l'ora del ricevimento.

L'art. 52, comma 3, del predetto decreto Ronchi stabilisce che “Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il prescritto formulario di cui all'art. 15 ovvero indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire diciotto milioni” mentre il comma 4 prevede che “se le indicazioni di cui ai commi 2 e 3 sono formalmente incomplete o inesatte ma contengano tutti gli elementi indispensabili per ricostruire le informazioni dovute per legge si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquecentomila a lire tremilioni”.

L'art. 52 prevede dunque due ipotesi di illecito.

La prima è quella di effettuazione di trasporto di rifiuti senza il prescritto formulario, la seconda è quella di indicazione nel formulario di dati incompleti o inesatti.

L'affermazione della Corte di Appello pare riferita alla prima ipotesi che però non è quella a cui è riferita la contestazione effettuata dalla Provincia a carico della società produttrice.

Di certo l'affermazione non è logicamente riferibile alla seconda ipotesi e non vale a giustificarne l'avvenuta contestazione. L'incompletezza relativa alla casella 11 è imputabile al destinatario dei rifiuti posto che quella casella è espressamente riservata al destinatario e deve essere da lui compilata al termine del trasporto (il produttore dei rifiuti dovendo redigere le caselle da uno a dieci del formulario ed essendo responsabile, in prima persona, solo della completezza di queste caselle).

Quanto al concorso di persone, l'applicazione della sanzione si estende dall'autore dell'infrazione a coloro che abbiano comunque dato un contributo causale, pure se esclusivamente sul piano psichico, alla realizzazione della infrazione (Cass. n. 13134/2015).

Nel caso in esame, non essendo stato contestato dalla Provincia alla società produttrice il concorso psichico nella condotta omissiva consumata dalla destinataria al momento della ricezione dei carichi (ed essendo non prospettabile, prima ancora che non contestato, il concorso materiale in un'omissione commessa dalla destinataria all'arrivo dei carichi, in luogo diverso e in tempo successivo rispetto a quelli in cui ha operato la società produttrice, alla partenza dei carichi, l'applicazione della sanzione non è giustificata e si porrebbe inoltre in contrasto con il principio per cui “in tema di illeciti amministrativi, posto che è configurabile un apporto esterno alla consumazione dell'illecito anche mediante azioni od omissioni, che, pur senza integrare la condotta tipica di esso, ne rendano possibile o ne agevolino la consumazione, la condotta omissiva può assumere rilevanza quale elemento concorrente nell'illecito altrui solo nel caso in cui si ponga in violazione di uno specifico obbligo di garanzia” (Cass., Sez. II, n. 28929/2011).

Conclude al Corte affermando il principio secondo cui l'omessa o incompleta compilazione dei formulari di accompagnamento di cui al decreto Ronchi - ed oggi all'analogo art. 139, d.lgs. 152/2006 - e al d.M. 145/1998, per la parte relativa alla casella di competenza del destinatario, non dà luogo a responsabilità del produttore ai sensi dell’art. 52 del decreto Ronchi - ed oggi art. 258, d.lgs. 152/2006 - salva l'eventualità di suo specifico concorso.

(Cass. civ., Sez. Trib. 15/12/2020, n. 28569)


Gli appalti di lavori di bonifica di ex discariche: la gestione dei rifiuti, il trasporto a discarica come subappalto e la sottoscrizione della proposta migliorativa.

Appalti di lavori di bonifica di ex discariche: la gestione dei rifiuti, il trasporto a discarica come subappalto e la sottoscrizione della proposta migliorativa.

Gli appalti di lavori di bonifica di ex discariche: la gestione dei rifiuti, il trasporto a discarica come subappalto e la sottoscrizione della proposta migliorativa.Il Consiglio di Stato affronta alcuni aspetti, i quali assumono una portata di carattere generale nell’ambito della disciplina ambientale, che nella specie rilevano negli affidamenti di appalti pubblici aventi ad oggetto i lavori di bonifica e di messa in sicurezza di ex discariche di rifiuti solidi urbani, chiedendosi in primis se il trasporto a discarica rappresenti un subappalto.

Il caso sottoposto all’esame del Consiglio di Stato verte, in particolare, sull’aggiudicazione dell’appalto di lavori effettuato dalla stazione appaltante in favore di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI), affidamento che, secondo la tesi esposta dall’operatore secondo classificato, sarebbe illegittimo per plurime violazioni di legge.

Il Giudice di primo grado, accogliendo il ricorso principale proposto dal secondo graduato, disponeva l’annullamento dell’aggiudicazione sul rilievo della mancata sottoscrizione dell’offerta tecnica migliorativa da parte di tecnico abilitato.

Avverso tale pronuncia, il RTI proponeva appello, invocando l’integrale riforma della sentenza.

Ritenendolo infondato, il Consiglio di Stato rigetta il gravame, confermando la validità della statuizione di primo grado con argomentazioni puntuali sotto il profilo logico e giuridico.

Il trasporto a discarica come subappalto

Il primo aspetto affrontato dal Giudice amministrativo di secondo grado riguarda la presunta violazione della legge di gara commessa, secondo la prospettazione del RTI appellante, dall’operatore secondo classificato, a suo dire erroneamente non escluso dalla stazione appaltante stante la mancata indicazione del subappalto ex art. 105 codice dei contratti pubblici per l’attività di trasporto dei rifiuti.

In particolare, l’impresa seconda classificata avrebbe dovuto essere esclusa dalla competizione per non aver dichiarato il ricorso al subappalto per quanto concerne il trasporto dei rifiuti in discarica: secondo la tesi dell’appellante “la designazione di un’altra impresa per tale attività costituirebbe un subappalto non dichiarato di una categoria prevalente (OG 12) e tale mancanza non sarebbe suscettibile di soccorso istruttorio”.

Il Consiglio di Stato ritiene l’assunto palesemente infondato ed evidenzia che l’impresa era comunque in possesso del requisito di iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, nonché dell’autorizzazione specifica per gli automezzi adibiti al trasporto dei rifiuti; in quanto tale, essa era quindi idonea allo svolgimento in proprio del servizio di trasporto in discarica del materiale di risulta.

Il ragionamento deduttivo operato dal Giudice amministrativo muove dalla seguente considerazione: “La designazione di altra impresa per il trasporto dei rifiuti (…) non rientrava (…) nella previsione del Disciplinare di cui parte appellante invoca l’applicazione: detta previsione, come si evince dal suo tenore testuale, richiedeva la preventiva dichiarazione, a pena di esclusione, soltanto per il diverso caso di subappalto necessario, per l’ipotesi in cui l’operatore economico intendesse subappaltare lavori/servizi appartenenti alle categorie a qualificazione obbligatoria (OG12) per le quali non fosse stato autonomamente in possesso della corrispondente qualificazione”.

Condividendo le argomentazioni del TAR, il Consiglio di Stato giunge a precisare che “l’appalto in parola ha ad oggetto esclusivamente lavori e che, di conseguenza, l’affidamento a soggetti terzi del servizio di trasporto a discarica, non attenendo alle prestazioni oggetto di gara, non integrava affatto un subappalto”.

Secondo il Collegio, la questione non era da ricondursi ad un’ipotesi di subappalto, semmai alla diversa fattispecie del cd. subcontratto: “il conferimento in discarica non configurava, infatti, un segmento delle prestazioni oggetto del contratto, ma un servizio collaterale prestato dal terzo in una fase ormai finale delle opere di cui all’appalto (…) l’affidamento a terzi veniva dunque a configurare un’ipotesi di subcontratto, dal quale sorgeva unicamente l’obbligo di comunicazione alla Stazione appaltante ai sensi dell’art. 105, comma 2, del D.lgs. n. 50/2016, in base al quale <<L’affidatario comunica alla stazione appaltante, prima dell’inizio della prestazione, per tutti i sub-contratti che non sono sub-appalti, stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub-contraente, l’importo del sub-contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati>>”.

La sottoscrizione dell’offerta tecnica migliorativa da parte di tecnico abilitato

Un altro aspetto certamente meritevole di attenzione esaminato dal Consiglio di Stato riguarda la possibilità che l’offerta migliorativa di un appalto di opere pubbliche avente ad oggetto lavori di realizzazione e bonifica di discarica comunale potesse essere sottoscritta da un architetto redattore: l’ipotesi è espressamente esclusa dal Giudice poiché, trattandosi di interventi di tipo impiantistico o di bonifica, dette proposte migliorative sono da ricondursi “nella competenza esclusiva di un ingegnere abilitato, e non possono rientrare anche nella competenza di un architetto abilitato, secondo quanto stabilito dal R. D, 23 ottobre 1925, n. 2537 Regolamento per le professioni di ingegnere ed architetto”.

(Cons. St., Sez. V, 15/12/2020, n. 8027)


Gli aspetti procedimentali della valutazione di impatto ambientale: discrezionalità, partecipazione e potere-dovere dell'Amministrazione.

L'istituto della valutazione d'impatto ambientale, che trova il proprio specifico fondamento normativo nel d.lgs. 152/2006 e s.m.i. recante "Norme in materia ambientale", presenta numerosi aspetti di complessità, alcuni dei quali trattati nella pronuncia in commento: la discrezionalità amministrativa, la partecipazione dei (potenziali) soggetti interessati ed infine il potere - dovere, quale situazione soggettiva riconosciuta alla P.A. nei procedimenti ambientali.

Alcuni aspetti caratteristici della valutazione ambientale sono stati trattati in una precedente news, qui consultabile.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, ha affrontato la questione relativa alla costruzione/ampliamento di una centrale di produzione di energia elettrica a combustione di rifiuti non pericolosi, cd. termovalorizzatore, ubicato in un comune lombardo.

A fronte della reiezione del ricorso in primo grado, alcuni comuni ed alcuni cittadini hanno impugnato la decisione assunta dal Giudice di primo grado, chiedendone la riforma; il Collegio, tuttavia, ha ritenuto infondati i motivi d'appello.

Il primo aspetto affrontato dal Supremo Consesso amministrativo verte sul concetto di discrezionalità amministrativa, relativamente al provvedimento di VIA: secondo la logica del Giudice amministrativo, "è espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa: con esso, infatti, l’Amministrazione non è chiamata, in via per così dire notarile e “passiva”, a riscontrare la sussistenza di possibili impatti ambientali dell’opera ... bensì a ricercare attivamente, nella ponderazione comparativa di istanze potenzialmente confliggenti, un complessivo bilanciamento fra gli interessi perseguiti con la realizzazione dell’opus, da un lato, e le contrapposte esigenze di preservazione (recte, di contenuta o, comunque, non eccessiva e sproporzionata incisione) del contesto ambientale lato sensu inteso, dall’altro.

Il punto esaminato consente al Consiglio di Stato di precisare l'aspetto partecipativo "... il relativo procedimento è aperto alla partecipazione di “chiunque vi abbia interesse” (art. 24 d.lgs. n. 152 del 2006), eventualmente anche mediante una “inchiesta pubblica”: la partecipazione procedimentale è, quindi, estesa oltre gli ordinari confini apprestati dagli articoli 7 e ss. l. n. 241 del 1990, non essendo necessario comprovare, da parte del soggetto che aspira alla partecipazione, che “dal provvedimento possa derivare un pregiudizio”.

Da ciò si ricavano i principi cardini che governano l'istituto "... proprio in considerazione del peculiare oggetto sostanziale, lo statuto procedimentale della VIA è speciale: invero, lo scrutinio discrezionale circa il quomodo (e, prima ancora, circa lo stesso an – cosiddetta “opzione zero”) dell’incisione dell’assetto ambientale recata dal progetto viene svolto coram populo, al fine di rendere quanto più possibile democratica, partecipata e condivisa una scelta che, inevitabilmente, si ripercuote sulla vita quotidiana di tutti gli attori (economici, sociali, collettivi, istituzionali) presenti sul territorio. Trattandosi, dunque, di atto che non veicola un mero accertamento tecnico, ma esprime, in forme procedimentali speciali, una potestà amministrativa sostanziale stricto sensu intesa, il conseguente sindacato giurisdizionale incontra i noti limiti, arrestandosi alla soglia dell’illogicità, della contraddittorietà, dell’irragionevolezza, senza poter accedere alla diretta valutazione del merito delle scelte, ex lege riservata alle valutazioni dell’Amministrazione".

L'ulteriore aspetto che può certamente interessare la questione della compatibilità ambientale concerne la previsione di specifiche prescrizioni e condizioni (certamente legittime) al quale può essere subordinato il rilascio dei titoli autorizzativi.

Il Giudice amministrativo muove le proprie deduzioni sostenendo che "l’Amministrazione non ha il dovere di prendere puntualmente, specificamente ed analiticamente posizione su ciascuno dei singoli rilievi formulati nel corso del procedimento (ciò che potrebbe essere de facto impossibile e che, comunque, potrebbe collidere con il principio di economicità dell’azione amministrativa), ma deve confezionare un provvedimento che, nell’ambito di una valutazione necessariamente di sintesi, affronti con un sufficiente grado di approfondimento tutte le questioni problematiche emerse nel corso del procedimento".

Esprimendosi n termini generali, il Consiglio di Stato sostiene che "è legittima una VIA che dichiari la compatibilità ambientale di un progetto subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni e condizioni, da verificare all’atto del successivo rilascio dei titoli autorizzatori necessari per la concreta entrata in funzione dell’opus ... Invero, niente osta, in linea di principio, a che l’Amministrazione attesti che, a seguito dell’adozione futura di ben precisi accorgimenti, l’opera possa risultare compatibile con le esigenze di tutela ambientale".

Detto ragionamento si basa, secondo il Consiglio di Stato, sul seguente assunto, che conduce a definire i ruoli dell'Amministrazione nei procedimenti: "I limiti alla legittimità di tale modus procedendi attengono al grado di dettaglio e di specificità delle prescrizioni, nonché al numero ed alla complessiva incidenza delle stesse sui caratteri dell’opera: invero, la formulazione di prescrizioni eccessivamente generiche, ovvero relative a pressoché tutti i profili di possibile criticità ambientale dell’opus, potrebbe risolversi in una sostanziale pretermissione del giudizio. Una simile evenienza, da accertarsi nel caso concreto, ha carattere patologico e lumeggia l’illegittimità dell’azione amministrativa, che, in casi siffatti, rinviene non dalla presenza di prescrizioni in sé e per sé considerate, ma dal fatto che il carattere abnorme (qualitativamente, tipologicamente o numericamente) di tali prescrizioni disvela, a monte, l’assenza di un’effettiva, concreta ed attuale valutazione di impatto ambientale, ossia il sostanziale rifiuto dell’esercizio del potere, pur nella formale spendita dello stesso ... Non è superfluo, in proposito, ricordare che la situazione soggettiva comunemente nota come potestà, di cui è investita l’Amministrazione nell’esercizio di poteri discrezionali, presenta, oltre all’aspetto del “potere” (ossia della capacità di modificare unilateralmente ed autoritativamente la sfera giuridica degli amministrati), il contestuale e parallelo tratto del “dovere” (da intendersi tanto come dovere dell’esercizio, posto che tale situazione è indisponibile, quanto come dovere della finalizzazione teleologica di tale esercizio, che deve essere volto a conseguire gli scopi indicati dalla legge): tale situazione, del resto, è altresì nota come potere-dovere".

(Cons. St. Sez. IV, 11.12.2020, n. 7917)


Il ruolo degli enti locali nei procedimenti di compatibilità ambientale di cui al d.lgs. 152/2006 e s.m.i.

In precedenza, con la news consultabile a questo link, è stata affrontata la tematica dei procedimenti di compatibilità ambientale ai fini del rilascio dei titoli propedeutici per la costruzione e gestione di impianti di rifiuti, procedimenti che prevedono forme partecipative speciali dei soggetti interessati.

Il caso che invece si appresta a commentare riguarda, nello specifico, l'aspetto partecipativo delle amministrazioni (due comuni piemontesi nello specifico) nell'ambito di una conferenza di servizi avente ad oggetto la richiesta avanzata da un operatore del settore ambientale privato di rilascio di autorizzazione integrata ambientale per la costruzione e gestione di una discarica di rifiuti speciali (materiali di costruzione contenente amianto).

Trattandosi di impianto complesso, la società istante aveva avanzato una duplice richiesta ovvero di valutazione dell'impatto ambientale (VIA) e, contestualmente, rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA).

La pronuncia merita un commento approfondito in quanto i temi affrontati dal Giudice amministrativo presentano aspetti di indubbia attualità, specie in ambito amministrativo - legale, di portata generale.

Tra i temi rilevanti, infatti, assume particolare rilievo l'aspetto soggettivo - partecipativo al procedimento conferenziale in relazione alle "amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate" di cui all'art. 27bis, co. 7, d.lgs. 152/2006.

Si tratta, come condivisibilmente asserito dal Consiglio di Stato, di una disposizione che mira a favorire la partecipazione procedimentale di tutte le amministrazioni portatrici di un legittimo interesse o anche di quelle soltanto potenzialmente interessate all'opera da realizzare.

Nel caso di specie, il Giudice di secondo grado, nel circoscrivere la portata applicativa della fattispecie, ha sancito che "tale interesse ... sussisterebbe in capo ai Comuni appellanti con riferimento alla tutela della falda acquifera destinata al consumo umano che si trova al di sotto dell'area sulla quale è prevista la realizzazione della discarica": trattasi di un'interpretazione certamente intesa in senso "ampio" e che troverebbe il suo fondamento, secondo la prospettiva delineata dal Giudice, nella direttiva VIA 2014/52/UE (dal cui recepimento è stato introdotto il sistema partecipativo di cui all'art. 27bis) e nella nota Convenzione di Aarhus "che va nella direzione dell'ampliamento della dimensione partecipativa e non della sua compressione".

Sul piano pratico - operativo, il Consiglio di Stato, tuttavia, ha operato una serie di precisazioni fondamentali che consentono di definire il ruolo dei soggetti istituzionali e territoriali interessati nella conferenza di servizi, precisazioni che rivestono importanza sul piano valutativo e decisionale delle determinazioni da assumere in ambito conferenziale.

Dalla lettura sistematica delle disposizioni sancite per i procedimenti di compatibilità ambientale è agevole desumere, a ragion del Giudice d'appello, che "i Comuni appellanti, in quanto non direttamente interessati con riferimento al loro ambito territoriale rispetto alla realizzazione della discarica  ... sono stati legittimamente invitati a partecipare alla conferenza di servizi, e tuttavia la loro partecipazione ha assunto una valenza meramente istruttoria poiché gli stessi non sono titolari di poteri in ordine al rilascio di un particolare titolo abilitativo (pareri, nulla osta permessi o altri atti di assenso o autorizzativi) rispetto all’opera della quale è necessario valutare l’impatto".

Detta affermazione consente al Consiglio di Stato di precisare, in via ulteriore, che "... poiché la partecipazione del Comuni ha una mera valenza istruttoria, un eventuale parere contrario di tale ente all’intervento oggetto della Conferenza non è idoneo, di per sé, ad impedire la conclusione del procedimento solo perché quel parere è stato acquisito nell’ambito di una conferenza di servizi”.

Sempre sul ruolo partecipativo degli enti territoriali, il Consiglio di Stato ha sottolineato altresì che "A maggior ragione tali considerazioni valgono, nel caso di specie, per i Comuni appellanti, la cui convocazione è avvenuta non già per un obbligo previsto ex lege, ma per una autonoma determinazione della Provincia, assunta in base all’art. 9 della legge regionale sopra citata. In tal caso, è ancora più evidente che una partecipazione discrezionalmente decisa dall’autorità procedente, al solo fine di arricchire il quadro conoscitivo utile alla decisione, non può incidere sulla natura e sulla struttura della Conferenza, quale tipizzata ex lege".

In quest'ottica, la pronuncia osserva condivisibilmente che anche nelle conferenze cd. "decisorie", è necessario valutare attentamente (caso per caso) su quali basi un comune "costituisca una amministrazione specificatamente preposta <<alla tutela ambientale, paesaggistico - territoriale, del patrimonio storico - artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità>>".

Operando un raffronto con le previsioni del TUEL, il Consiglio di Stato sancisce che "... a ben vedere è proprio la natura, ad un tempo generale ma territorialmente delimitata, delle competenze comunali, ad escludere che tale ente possa essere tout court annoverato tra le amministrazioni specificamente preposte alla tutela di interessi sensibili, nel senso fatto proprio dall’art. 14 quater della l. n. 241 del 7 agosto 1990 (nel testo anteriore alle modifiche apportata dal d.lgs. n. 127 del 2016). E’ poi evidente che l’interpretazione prospettata dagli appellanti finirebbe per conferire al Comune, in ogni procedimento in cui venga in rilievo uno dei variegati interessi rimessi, in sede locale, alle sue cure (anche considerando che, ai sensi dell’art. 118, comma 1 della Costituzione, è proprio ai Comuni che è attribuita la generalità delle funzioni amministrative, salvo diversa allocazione “sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”), una sorta di potere di veto, laddove invece, nell’ambito della Conferenza decisoria, sia nel previgente che nell’attuale modello, lo scopo del legislatore è stato quello di semplificare il processo decisionale".

 

(Cons. St. Sez. IV, 9.12.2020, n. 7792)


La questione sottoposta all'esame del Consiglio di Stato concerne l'escussione della garanzia fideiussoria in esito ad una gara per l’affidamento del servizio di raccolta differenziata per la mancata stipulazione del contratto d’appalto nonostante l’intervenuta aggiudicazione definitiva in favore di un operatore economico.

Deve premettersi che nell'ambito dei servizi di igiene urbana, uno degli aspetti che riveste un'importanza fondamentale è quello delle particolari condizioni di esecuzione dei servizi.

La disciplina settoriale prevede che sia posto in capo all’azienda subentrante l’obbligo di procedere, in presenza di condizioni di equivalenza nell’erogazione del servizio e nel doveroso rispetto della disciplina generale, all’assunzione ex novo di tutto il personale addetto allo specifico appalto/affidamento in forza presso l’azienda cessante: trattasi della cd. "clausola impositiva di manodopera" nota anche come "clausola sociale".

Il tema, in altro settore e sotto diversi profili giuridici, è stato approfondito anche in questa news.

Si tratta, come noto, di un previsione "rigida" espressamente prevista dall'art. 50 del d.lgs. n. 50/16 al fine di garantire la stabilità occupazionale del personale alle dipendenze dell'impresa uscente qualora trattasi di servizi "ad alta intensità di manodopera", quale è da considerarsi il servizio di igiene urbana.

Se la clausola impositiva di manodopera risponde all'esigenza di garantire la continuità occupazionale, tuttavia essa non può essere perseguita in maniera "rigida", aprioristica ed incondizionata, necessitando di un adeguato bilanciamento con i valori della libera concorrenza e della libertà imprenditoriale: ciò significa che, in linea di principio, la clausola sociale può obbligare l'appaltatore subentrante unicamente ad assumere in via prioritaria i lavoratori che operavano alle dipendenze dell'impresa uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l'organizzazione d'impresa prescelta.

Il caso affrontato dalla pronuncia in commento, come già anticipato, verte sulla richiesta di escussione della garanzia fideiussoria da parte dell'ente comunale che avevo indetto la procedura per l'affidamento dei servizi per la mancata stipulazione del contratto d’appalto da parte dell'operatore economico risultato quale migliore offerente a seguito dell’intervenuta aggiudicazione definitiva in esito ad una gara per l’affidamento del servizio di raccolta differenziata.

Si tratta, in estrema sintesi, della verifica circa l’imputabilità o meno all'operatore aggiudicatario della mancata sottoscrizione del contratto di appalto con l'Amministrazione.

Secondo la prospettazione dell'ente civico, l'operatore avrebbe dovuto impugnare tempestivamente gli atti della disciplina di gara e non avrebbe dovuto, invece, dichiarare, ai sensi del d.P.R. n. 445 del 2000, di accettare, senza condizione o riserva alcuna, tutte le norme e disposizioni contenute nel bando di gara e relativi allegati, nel capitolato speciale d’appalto nonché in tutti i rimanenti elaborati inerenti il servizio, e di giudicare remunerativa l’offerta economica presentata.

Dal canto suo, l'aggiudicatario lamenta la modifica delle condizioni attinenti ai rapporti di lavoro ad opera della stazione appaltante, tali da porre in essere un "ripensamento" delle condizioni di convenienza dell'appalto.

La disamina della questione operata dal Supremo Consesso amministrativo appare precisa e puntuale: nel confermare le deduzioni rese dal giudice di primo grado, il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello evidenziando come "a fronte di una incertezza sui costi di manodopera del servizio, la mancata stipula del contratto non appare “fatto riconducibile all’affidatario” ai sensi dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016".

Il Giudice di secondo grado, nell'esaminare la disciplina applicabile al caso di specie, premette la funzione a cui assolve la garanzia fideiussoria provvisoria sancendo che "L’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che la garanzia fideiussoria per la partecipazione alla procedura di gara copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione “dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario” o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del d.lgs. n. 159 del 2011".

Orbene, nel caso esaminato, il Giudice adito deduce che "la ragione del “ripensamento” dell’aggiudicataria ... non sembra rinvenibile né in una prospettata illegittimità delle condizioni previste dalla disciplina di gara, nel qual caso l’interessata avrebbe dovuto effettivamente dolersi tempestivamente, né in una mutata considerazione delle condizioni previste dalla lex specialis di gara ed accettate in sede di presentazione dell’offerta, il che avrebbe indubbiamente comportato l’inveramento di un fatto riconducibile all’affidataria, tale da legittimare l’escussione della garanzia".

Viceversa, sostiene il Giudice d'appello, "La mancata sottoscrizione del contratto, invece, sembra più propriamente riconducibile alla modificazione postuma di alcune condizioni attinenti ai rapporti di lavoro ad opera della stazione appaltante, modificazioni tali da determinare una diversa, e questa volta legittima, valutazione di convenienza dell’aggiudicataria in ordine alla stipulazione del contratto e allo svolgimento della prestazione".

Nel giungere alla definizione del caso, il Consiglio di Stato afferma il principio secondo il quale "la condizione del “fatto riconducibile all’affidatario”, cui la norma di legge subordina l’escussione della garanzia fideiussoria, nel caso di specie, non può ritenersi sussistente".

Precisa, conclusivamente, che "al momento della mancata conclusione del contratto di appalto e dell’adozione dell’atto di escussione della garanzia fideiussoria, sussisteva un evidente margine di incertezza sulla sostenibilità economica dell’offerta che, afferendo in particolare a circostanze sopravvenute allo svolgimento della gara, non può ridondare in danno dell’aggiudicataria, riconducendo ad essa il fatto della mancata sottoscrizione del contratto".

I principi espressi trovano certamente larga applicazione, come preannunciato, in tutte quelle procedure di gara (tra cui quelle concernenti l'affidamento dei servizi di igiene urbana) nelle quali le modifiche delle condizioni intervengono in una fase successiva alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, determinando certamente conseguenze sul piano della valutazione della convenienza dell'appalto.

Non può sottacersi, pertanto, che tra le circostanze che possono sopravvenire e modificare le condizioni di gara, assumono un rilievo fondamentale quelle che riguardano le condizioni di esecuzione dell'appalto quali quelle attinenti i rapporti di lavoro, specie per quelle tipologie contrattuali (come i servizi di igiene urbana) considerate ad alta intensità di manodopera, il cui costo può certamente incidere significativamente sulla valutazione economica dell'offerta, appalti ove trova piana applicazione la cd. "clausola sociale" seppur con le limitazioni discendenti dai principi costituzionali della libera concorrenza e della libertà d'impresa.

(Cons. St. Sez. IV, 29.10.2020, n. 6620)