Revisione dei prezzi prima della stipula del contratto: il Consiglio di Stato conferma l’inammissibilità

Revisione dei prezzi prima della stipula del contratto: il Consiglio di Stato conferma l’inammissibilità

Revisione dei prezzi prima della stipula del contratto: il Consiglio di Stato conferma l’inammissibilitàÈ legittimo formulare una istanza di revisione dei prezzi ex art. 106, comma 1, lett. a), d.lgs. 50/2016 in un momento antecedente la stipula del contratto d’appalto?

Il quesito era stato oggetto di una sentenza del TAR Lombardia, sede di Brescia, n. 239/2022 (di cui abbiamo parlato in questa news) che aveva ritenuto inammissibile una istanza di revisione prezzi avanzata prima della stipula del contratto.

Secondo il TAR Lombardia, l’istanza di revisione dei prezzi veniva formulata ancor prima della sottoscrizione del contratto (momento in cui “non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto”). Tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, infatti, una volta cessata la vincolatività dell’offerta, l’impresa aggiudicataria può unicamente svincolarsi dal contratto e rifiutarne la sottoscrizione.

Il TAR aveva inoltre precisato che, sebbene la lex specialis escludesse in maniera espressa la revisione dei prezzi, l’impresa, al fine di far fronte agli aumenti imprevedibili dei costi, tali da squilibrare il sinallagma contrattuale, avrebbe potuto “sempre esperire il rimedio civilistico di cui all’art. 1467 c.c., chiedendo la risoluzione del contratto d’appalto per eccessiva onerosità sopravvenuta”.

La società ricorrente ha promosso appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso.

Il Consiglio di Stato, investito dell’appello, ha confermato le conclusioni cui era giunto il TAR Lombardia.

In particolare, secondo i giudici di Palazzo Spada, la previsione di lex specialis che esclude la possibilità di revisione dei prezzi “reca una chiara e non irragionevole manifestazione della volontà della stazione appaltante circa l’esclusione, da parte di quest’ultima, della possibilità di procedere all’adeguamento del contratto da stipulare relative al corrispettivo, in caso di sopravvenienze che incidano su di esse, salvo che negli stringenti limiti indicati dalla disposizione”.

Nonostante la preclusione contenuta nella legge di gara, nel caso di specie non poteva comunque trovare applicazione l’art. 106, d.lgs. 50/2016: più precisamente, non era applicabile né il meccanismo di revisione prezzi di cui all’art. 106, comma 1, lett. a) (non essendo contemplata dal bando una clausola revisione prezzi), né l’art. 106, comma 1, lett. c) che “fa testuale ed espresso riferimento a quelle “modifiche dell’oggetto del contratto” che si correlano alle “varianti in corso d’opera””. Precisa il Collegio che la lett. c) dell’art. 106, comma 1 del Codice disciplina le modifiche che riguardano l’oggetto del contratto con riferimento alle prestazioni in esso dedotte, mentre le modifiche dell’oggetto del contratto sul versante del corrispettivo che l’appaltatore va a trarre dall’esecuzione del contratto vanno ricondotte alla fattispecie di cui alla lett. a), che disciplina gli aspetti economici del contratto con testuale riferimento alle “variazioni dei prezzi e dei costi standard”.

Ciononostante, precisa il Consiglio di Stato, le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono in ogni caso riferite ai contratti, “dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica”.

Nel caso di specie, invece, la società istante aveva chiesto la modifica delle pattuizioni prima ancora di procedere alla stipulazione del contratto, sicché è legittima, in conclusione, la reiezione dell’istanza da parte dell’Amministrazione appaltante.

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(Cons. St., Sez. IV, 31.10.2022, n. 9426)


Appalti verdi: il Consiglio di Stato fa il punto sui CAM, si tratta di veri e propri obblighi per le stazioni appaltanti

Appalti verdi: il Consiglio di Stato fa il punto sui CAM, si tratta di veri e propri obblighi per le stazioni appaltanti

Appalti verdi: il Consiglio di Stato fa il punto sui CAM, si tratta di veri e propri obblighi per le stazioni appaltanti In tema di appalti verdi, con l’espressione “criteri ambientali minimi” – i c.d. CAM – si intendono i requisiti minimi attraverso cui le stazioni appaltanti individuano le soluzioni progettuali, i prodotti o i servizi migliori dal punto di vista ambientale.

A tal riguardo, l’art. 34 d.lgs. 50/2016 stabilisce come le amministrazioni appaltanti debbano indicare, negli atti di gara, non solo le specifiche tecniche e le clausole contrattuali connesse ai criteri ambientali minimi, ma anche che le predette specifiche tecniche e clausole contrattuali debbano essere tenute nella dovuta considerazione al momento della redazione degli atti di gara (nel caso in cui la procedura sia aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa).

Nella fattispecie oggetto della pronuncia in commento, il Consiglio di Stato interviene a ricordare come la ratio sottesa ai CAM è garantire che la politica in tema di appalti c.d. verdi sia non solo quella di ridurre l’impatto ambientale delle procedure, ma anche quella di promuovere modelli di occupazione più sostenibili.

Più nel dettaglio, nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici, a seguito dell’aggiudicazione di una gara per il servizio di ristorazione collettiva, l’impresa quarta classificata aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione unitamente agli atti di gara ad esso connessi (nello specifico, il bando di gara). La ricorrente lamentava che la lex specialis di gara fosse in contrasto con il dettato dell’art. 34 d.lgs. 50/2016, nonché con il decreto del Ministero dell’Ambiente del 10 marzo 2020 (titolato “Criteri ambientali minimi per il servizio di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari”). Secondo la ricorrente, infatti, le disposizioni della lex specialis di gara erano state redatte senza tenere nella dovuta considerazione né le specifiche tecniche e le clausole contrattuali contenute nel citato D.M, né l’applicazione dei CAM.

Il ricorso era stato dichiarato inammissibile dal TAR, secondo cui la ricorrente avrebbe avuto, da un lato, l’onere di impugnare immediatamente il bando di gara, dall’altro avrebbe dovuto formulare specifiche censure nei confronti delle partecipanti che la precedevano in graduatoria (essendosi, la ricorrente, classificata quarta).  Il Collegio concludeva, pertanto, che: 1) “l’omesso rispetto dei CAM per il servizio posto in affidamento non ha integrato una condizione direttamente impeditiva per la partecipazione alla gara, non ne ha precluso l’utile partecipazione, né l’omesso rispetto dei CAM ha reso impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla procedura”; 2) “dolersi solo in seguito all’aggiudicazione di carenze del bando facilmente rilevabili per un operatore professionale del settore (…) costituisce all’evidenza una chiara ipotesi di “venire contra factum proprium” (così TAR Puglia Bari, Sez. II, 23.11.2021, n. 1702).

I giudici di Palazzo Spada non hanno condiviso le conclusioni del Collegio di prime cure.

In primo luogo, secondo i giudici, non merita condivisione l’assunto secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile: per costante giurisprudenza, le uniche due circostanze che richiedono una immediata impugnazione della lex specialis di gara sono quelle della presenza, in tali atti, di una clausola immediatamente escludente ovvero che non consenta la presentazione di alcuna offerta (ex multis, cfr. Cons. St., A.P., 26.4.2018 n. 4).

Con specifico riguardo al caso di specie, quindi, il Consiglio di Stato ha riconosciuto come la non conformità della lex specialis di gara al dettato dell’art. 34 d.lgs. 50/2016 non sia tale da determinare l’obbligo di una immediata impugnazione del bando di gara “non ricadendosi nei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive che, sole, consentono l’immediata impugnazione della lex specialis di gara” (in questi termini, cfr. Cons. St., Sez. V, 3.2.2021 n. 972).

Ne deriva, pertanto, che la presentazione di un’offerta in una simile ipotesi non determina acquiescenza alle disposizioni di gara: il partecipante ben potrà, infatti, impugnare il bando di gara all’esito della procedura stessa.

Tanto premesso, il Consiglio di Stato ha evidenziato come la lex specialis di gara fosse stata formulata in maniera non rispettosa della normativa vigente: i CAM erano stati utilizzati unicamente sul piano dei punteggi aggiuntivi per i servizi migliorativi.

Secondo i giudici, relegare i CAM a mero elemento utile per l’attribuzione di punteggi aggiuntivi significa legittimare la possibilità di aggiudicare la gara ad un operatore la cui offerta sia in toto non rispettosa dei criteri di cui all’art. 34 d.lgs. 50/2016.

Il Consiglio di Stato ha infatti ricordato che le disposizioni in materia di CAM non costituiscono un mero impegno programmatico, ma costituiscono dei veri e propri “obblighi immediatamente cogenti per le stazioni appaltanti, che sono tenute ad inserire il requisito ambientale sin dalla definizione dell’oggetto dell’appalto, garantendo così il rispetto dei CAM a tutti gli offerenti.

La ratio di tale obbligatorietà è riconducibile all’esigenza di garantire che “la politica nazionale in materia di appalti pubblici sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumi più sostenibili” (così, Cons. St., Sez. V, 5.8.2022, n. 6934). Ricorda a tal proposito il Collegio che la disciplina dei CAM contribuisce a connotare “l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare””.

Nel caso in esame, dunque, ciò che rappresenta un obbligo di legge era stato relegato dalla stazione appaltante ad una mera possibilità rimessa agli offerenti, rientrante nell’alea delle offerte migliorative.

Sicché il fatto che l’aggiudicataria avesse comunque offerto in gara prodotti biologici e avesse dichiarato di possedere certificazioni idonee a minimizzare l’impatto ambientale nella fase esecutiva della commessa, non è stato ritenuto idoneo a superare l’invalidità a monte del bando di gara.

Il Consiglio di Stato ha così accolto il ricorso e la relativa domanda volta alla declaratoria di inefficacia di tale contratto, con conseguente obbligo di rinnovo della gara, ritenendo “necessario ai fini della tutela dell’interesse pubblico portato dalle norme violate ripetere la procedura di gara, previa emenda del vizio”.

(Cons. St., Sez. III, 14.10.2022, n. 8773)


opere

Opere non amovibili su suolo demaniale. L’art. 49 cod. nav. vale anche per il rinnovo senza soluzione di continuità? Il quesito all’esame della Corte di Giustizia

opereIn tema di opere non amovibili costruite su suolo demaniale, con una recentissima ordinanza, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia UE di pronunciarsi sulla compatibilità con gli artt. 49 e 56 TFUE dell’art. 49 cod. nav.

L’art. 49 cod. nav. prevede che: “Salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, re stano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato.

In quest'ultimo caso, l'amministrazione, ove il concessionario non esegua l'ordine di demolizione, può provvedervi d'ufficio a termini dell'articolo 54”.

La Corte di Giustizia sarà così chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della cessione, a titolo non oneroso e senza indennizzo in favore del concessionario, alla scadenza della concessione, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale per l’esercizio dell’impresa balneare, quando la concessione, benché rinnovata in forza di un nuovo provvedimento, non ha trovato mai soluzione di continuità.

I fatti all’origine della controversia

La società ricorrente è titolare, sin dal 1928, di uno stabilimento balneare situato su demanio marittimo in Toscana. In costanza dei titoli concessori prorogatisi nel tempo, la ricorrente aveva costruito legittimamente dei manufatti sul suolo demaniale, parte dei quali erano stati incamerati negli anni ’50-’60.

Nel 2007 il Comune aveva riqualificato alcune di queste opere come pertinenze demaniali, in ragione della loro difficile rimozione, reputandole acquisite al patrimonio dello Stato ex lege.

Nel 2008 il Comune aveva poi comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento per l’incameramento di altri manufatti non ancora acquisiti, senza tuttavia mai concludere l’iter di incameramento. Allo stesso tempo, tuttavia, il Comune aveva continuato a rinnovare la concessione demaniale.

Nel 2014 la ricorrente aveva dichiarato al Comune che tutte le opere incidenti sull’area demaniale, potendo essere rimosse entro 90 giorni, erano da considerarsi di facile rimozione, così come previsto dalla modifica intervenuta nel settembre 2013 al Regolamento di attuazione del Testo unico delle leggi regionali in materia di turismo della Regione Toscana.

Il Comune aveva disatteso la dichiarazione sul presupposto che sull’area demaniale data in concessione insistessero dei beni già acquisiti dal patrimonio statale in base all’art. 49 cod. nav. Sulla base di ciò, in sede di proroga della precedente concessione oggetto di rinnovo, il Comune, riaffermando la qualificazione di pertinenze demaniali dei fabbricati presenti sull’area oggetto di concessione, procedeva altresì alla rideterminazione, in aumento, dei canoni concessori.

La società concessionaria impugnava tutti gli atti del Comune. Il TAR Toscana, tuttavia, respingeva le censure promosse. La società, dunque, ricorreva al Consiglio di Stato.

La posizione della Società e del Comune

Secondo il concessionario, l’incameramento di opere difficilmente amovibili realizzate su porzioni del suolo demaniale oggetto della concessione ex art. 49 cod. nav. (in ipotesi di rinnovo del titolo concessorio senza soluzione di continuità), senza riconoscere al concessionario medesimo alcun indennizzo, sarebbe in contrasto con il diritto eurounitario e con il principio di proporzionalità delle restrizioni delle libertà fondamentali sancite dagli artt. 49 e 56 TFUE.

Nel caso di rinnovo del titolo concessorio senza soluzione di continuità, come quello in esame, il provvedimento con cui viene disposto l’incameramento dei manufatti sarebbe, secondo il ricorrente, abnorme in quanto produrrebbe un duplice effetto sfavorevole: da un lato, il bene oggetto di concessione diverrebbe meno attrattivo per gli operatori economici di altri Stati membri; dall’altro, restringerebbe in maniera eccessiva i diritti del concessionario determinando, in altri termini, una cessione non onerosa di beni di sua proprietà in favore dello Stato, in un momento in cui non sussisterebbero le condizioni previste dall’art. 49 cod. nav., non essendo di fatto mai cessata la concessione.

Il Comune costituitosi in giudizio, di contro, ha evidenziato che la concessione non era stata priva di soluzioni di continuità e che la mancata apposizione alla concessione di una clausola specificamente contraria all’incameramento aveva permesso al concessionario di valutare la perdita della proprietà delle opere da esso realizzate e di ritenere comunque sussistente un equilibrio economico della concessione (ritenuta sufficientemente remunerativa “essendo ubicata, fra l’altro, in una località tra le più rinomate d’Italia”).  In tal senso, dunque, l’art. 49 cod. nav. non solo sarebbe pacificamente applicabile al caso di specie ma sarebbe, secondo il Comune, compatibile con il diritto europeo.

Le ragioni del rinvio pregiudiziale

Il percorso argomentativo seguiti dai giudici d’appello muove essenzialmente dal campo di applicazione dell’art. 49 cod. nav.

L’art. 49 cod. nav., ribadiamo, stabilisce che “Salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.

Richiamando la giurisprudenza maggioritaria in materia, i giudici ricordano che l’art. 49 cod. nav. presenta delle analogie con  l'istituto dell'accessione di cui all'art. 934 c.c., ed è stato interpretato nel senso che l'acquisto si verifica, ipso iure, al termine del periodo di concessione e va applicato anche in caso di rinnovo della concessione stessa: dopo l'estinzione della concessione precedente alla relativa scadenza, infatti, il rinnovo, a differenza della proroga, implica una nuova concessione in senso proprio, con automatica produzione degli effetti di cui al predetto art. 49 cod. nav. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6852).

Solo nel caso in cui il rinnovo intervenga prima della scadenza naturale della concessione, configurandosi una sorta di vera e propria proroga, l’art. 49 cod. nav. può essere escluso. In tal caso, infatti, la giurisprudenza ritiene che le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale, ai sensi dell’art. 952 c.c., restano di esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell’effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione e per esse non è dovuto un canone ulteriore (cfr. Cons. St., Sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 229).

I giudici hanno tuttavia ritenuto necessario disporre un rinvio pregiudiziale alla CGUE al fine di rintracciare una corretta interpretazione dell’art. 49 cod. nav. in rapporto agli artt. 49 e 56 TFUE, con particolare riferimento ai casi di rinnovo senza soluzione di continuità.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha formulato il seguente quesito: “Se gli artt. 49 e 56 TFUE ed i principi desumibili dalla sentenza Laezza (C-375/14) ove ritenuti applicabili, ostino all’interpretazione di una disposizione nazionale quale l’art. 49 cod. nav. nel senso di determinare la cessione a titolo non oneroso e senza indennizzo da parte del concessionario alla scadenza della concessione quando questa venga rinnovata, senza soluzione di continuità, pure in forza di un nuovo provvedimento, delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa balneare, potendo configurare tale effetto di immediato incameramento una restrizione eccedente quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito dal legislatore nazionale e dunque sproporzionato allo scopo”.

(Cons. St., Sez. VII, 15.9.2022, n. 8010)

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Obbligo di seguire le Linee guida n. 1 per la redazione dei bandi: l’ANAC ammonisce le stazioni appaltanti

Una recente nota del Presidente dell’ANAC ha tratteggiato i contorni applicativi Linee guida n. 1, chiarendo come non sia in nessun caso consentito alle Stazioni appaltanti derogare ai principi in esse dettati.

Come noto, infatti, le Linee guida n.1 di attuazione del d.lgs. 50/2016 - approvate con delibera n. 973 del 14.9.2016 e aggiornate al d.lgs. 56/2017 con delibera del Consiglio dell’Autorità n. 138 del 21.2.2018 – hanno la precisa finalità di fornire “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”.

Nell’ambito di una gara predisposta dal Comune di Firenze, l’OICE (associazione delle organizzazioni di categoria di ingegneri ed architetti) formulava una segnalazione all’ANAC, lamentando come una disposizione della lex specialis non consentiva una corretta valutazione dell’offerta economica dei partecipanti alla gara in questione, ponendosi così in contrasto con le succitate Linee guida n. 1.

Secondo l’associazione di categoria, in particolare, vi era una disposizione della lex specialis di gara lesiva del principio di massima partecipazione e non prevista dalla Linee guida n. 1 o dal Bando tipo n. 3. La clausola in parola prevedeva che gli operatori economici dovevano indicare (al fine di comprovare la propria professionalità e l’adeguatezza dell’offerta presentata) “un numero massimo di tre servizi relativi a interventi ritenuti dal concorrente significativi della propria capacità a realizzare la prestazione sotto il profilo tecnico, scelti tra interventi qualificabili affini a quelli oggetto dell’affidamento” eseguiti nei dieci anni antecedenti la data di pubblicazione del bando.

Secondo l’OICE, dunque, tale disposizione era da considerarsi illegittima. Ricorda l’associazione che l’ANAC, con delibera n. 417 del 15.5.2019, aveva modificato tanto le Linee guida n. 1 quanto il correlato Bando tipo n. 3, eliminando da ambo i documenti il riferimento al limite temporale entro cui le lavorazioni dovevano essere eseguite. Di contro, l’amministrazione aveva ritenuto legittimo discostarsi dalle Linee guida e dal collegato Bando tipo in quanto era necessario “individuare sul mercato operatori economici che abbiano svolto servizi affini in anni recenti e che dimostrino di essere soggetti attivi in ambito professionale”.

L’ANAC ha condiviso la tesi di OICE.

Secondo l’Autorità, l’art. 71 del D.Lgs. 50/2016, sancisce espressamente due principi:

1) i bandi di gara devono essere redatti in maniera conforme ai bandi tipo predisposti dall’Autorità, in ossequio al dettato di cui all’art. 213 del Codice;

2) ove le stazioni appaltanti intendano derogare ai Bandi tipo, dovranno fornire una puntuale motivazione circa le ragioni che le hanno indotte a predisporre bandi con disposizioni difformi da quelle contenute nei succitati Bandi tipo.

Nel caso specifico, la stazione appaltante aveva inserito nella lex specilais di gara una disposizione limitativa, senza tuttavia esplicitare le ragioni che l’avevano condotta a una simile decisione, così determinando un inaccettabile restringimento della concorrenza. Ciò è ancor più grave laddove si consideri che – come si è poc’anzi ricordato – la stessa ANAC aveva espunto il preesistente limite temporale di dieci anni tanto dalle Linee guida n. 1, quanto dal Bando tipo n. 3.

Tale decisione è stata presa, come ricorda il Presidente ANAC, al preciso fine di “estendere quanto più possibile la massima partecipazione alle procedure di gara, in applicazione del principio di libera concorrenza” e per consentire alle stazioni appaltanti di “disporre in questo modo di un’ampia scelta circa l’offerta più vantaggiosa e più rispondente ai bisogni da questa perseguiti”.

In conclusione, secondo l’ANAC, è errato l’operato della stazione appaltante in quanto questa avrebbe dovuto, ove intendeva discostarsi dalle Linee guida n. 1 e dal collegato Bando tipo n. 3, “motivare adeguatamente in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni di pubblico interesse che l’hanno spinta a reintrodurre il limite temporale dei dieci anni nella presentazione dei servizi affini”: ovvia conseguenza della mancata puntuale motivazione circa le ragioni sottese all’inserimento di una clausola derogatoria alle Linee guida n. 1 ed al Bando tipo n. 3 è l’inammissibilità della clausola stessa, in quanto in contrasto con il principio del favor partecipationis.

(ANAC, Atto del presidente 14 settembre 2022 - prot. n. 73809/2022)


Concessioni balneari e servizi analoghi nelle

Concessioni balneari e servizi analoghi nelle "gare": massima apertura alla concorrenza da parte dell’ANAC

LConcessioni balneari e servizi analoghi nelle "gare": massima apertura alla concorrenza da parte dell’ANACe difficoltà per gli operatori economici e per le amministrazioni nel gestire le “gare” per l’affidamento di concessioni balneari sono molteplici.

Il settore è nuovo a questo tipo di procedura e sconta spesso la carenza di indicazioni precise in merito alla procedura ad evidenza pubblica, caratterizzate da un certo grado di specialità.

Qualche indicazione però inizia a giungere dalla giurisprudenza e dall’ANAC.

Di recente, infatti, l’Autorità si è espressa con il parere precontenzioso n. 347 del 20 luglio 2022 proprio su un’istanza presentata da un comune sul tema dei requisiti tecnico-professionali richiesti nell’ambito di una gara per l’affidamento in concessione del servizio di gestione di alcune spiagge libere attrezzate.

I fatti

Il Comune di Finale Ligure aveva indetto una gara per la concessione della gestione di alcune spiagge libere. Tra i requisiti di capacità tecnico-professionale contenuti nel Disciplinare di gara, il Comune aveva previsto che l’operatore doveva aver gestito un servizio-analogo, ossia doveva aver “gestito in forma imprenditoriale per almeno una stagione balneare nell’ultimo triennio 2019-2020-2021 uno stabilimento balneare, una spiaggia libera attrezzata od una struttura balneare assimilabile”.

Uno dei concorrenti aveva dichiarato di possedere il requisito del servizio-analogo, avendo gestito l’ostello della gioventù/studentato di Modena. Secondo il ricorrente, infatti, il servizio ostello sarebbe assimilabile allo stabilimento balneare, in quanto:

  • sia lo stabilimento balneare sia l'ostello sono strutture turistico ricettive;
  • entrambe le strutture sono dotate di servizio di ristorazione e bar.

Secondo la commissione di gara, il concorrente doveva essere escluso dalla procedura in quanto ai fini dell’ammissione del concorrente, questo avrebbe dovuto provare di aver gestito un servizio analogo allo stabilimento balneare, ossia una “struttura che abbia caratteristiche e problematiche tipiche delle strutture balneari”, ritenendo così che il servizio di gestione dell'ostello non fosse idoneo ad integrare il requisito professionale richiesto: “Ciò che viene richiesto non è infatti un'esperienza generica nell'ambito turistico-ricettivo, ma una specifica conoscenza ed esperienza nell'ambito della balneazione”.

Il parere dell’ANAC

L’ANAC ha ritenuto non corretta l’interpretazione fornita dall’amministrazione e, dunque, ha ritenuto di ammettere il concorrente alla gara.

Ricorda, infatti, l’Autorità, che i concetti di “servizio analogo” e di “fornitura analoga” vanno intesi non come servizi identici, ma come mera similitudine tra le prestazioni richieste, tenendo conto che l’interesse pubblico sottostante non è la creazione di una riserva a favore degli imprenditori già presenti sul mercato ma, al contrario, l’apertura del mercato attraverso l’ammissione alle gare di tutti i concorrenti per i quali si possa raggiungere un giudizio complessivo di affidabilità.

La valutazione dell’adeguatezza e proporzionalità del requisito tecnico-professionale richiesto deve essere condotta considerandole peculiarità del servizio oggetto di affidamento e della sua complessità, sia sotto il profilo organizzativo, sia sotto quello esecutivo.

Nel caso in esame, il servizio offerto dal concessionario consisteva in servizi di balneazione, comprensivo della sorveglianza e salvamento, della manutenzione ordinaria dell’arenile, del decoro, della pulizia ed del mantenimento dei servizi minimi essenziali gratuiti a tutta l'utenza e, tra i servizi aggiuntivi, era incluso l’installazione di un chiosco-bar, oltre alla somministrazione all'utenza dei consueti servizi a pagamento (cabine balneari, servizi balneari quali nolo ombrelloni e lettini).

Il servizio oggetto di affidamento è stato ritenuto dall’Autorità privo di caratteristiche organizzative ed esecutive peculiari e complesse, tali da rendere automaticamente inaffidabili gli operatori economici che non abbiano mai gestito servizi balneari e quindi tali da giustificare la scelta dell’Amministrazione concedente di limitare la platea dei potenziali concorrenti ai soli soggetti già titolari di medesime concessioni o comunque esercenti i medesimi servizi oggetto di affidamento.

Per tale ragione, il requisito professionale richiesto dal Disciplinare è stato ritenuto dall’Autorità “immotivatamente” restrittivo della concorrenza, perché di fatto non ammette che possano partecipare soggetti diversi da coloro che hanno già avuto in gestione il medesimo servizio, incidendo, così, profondamente sulla libera concorrenza tra operatori economici che svolgono attività analoghe, anche se non identiche.

La ratio pro-concorrenziale della decisione

 È evidente, dunque, il favor dell’Autorità alla massima concorrenza nel settore delle concessioni balneari.

Tale aspetto si evince, in particolare, in uno dei passaggi finali del Parere, in cui l’ANAC specifica che la fissazione di requisiti di partecipazione estremamente rigidi e restrittivi, anche se astrattamente possibile nell’ambito del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione committente, resta una pratica inopportuna, specie nei casi in cui la gara si svolge “in un contesto di mercato caratterizzato da forti componenti oligopolistiche, qual è sicuramente quello che concerne i servizi balneari”.

Secondo l’ANAC, l’esclusione aprioristica di operatori economici qualificati che non svolgono servizi di gestione spiagge crea collusione con gli operatori economici “storici”, producendo minori profitti per le amministrazioni comunali (derivanti dai canoni concessori) e servizi meno efficienti.

Pertanto, è necessario, secondo l’ANAC, garantire più concorrenza e meno criteri rigidi e restrittivi.

Parere di precontenzioso, Delibera ANAC 20.7.2022 n. 347.


Concessioni demaniali: le novità normative e giurisprudenziali nel paper di Legal Team

Concessioni demaniali. La risposta del Governo al parere della Commissione UE e la giurisprudenza più recente.

Vista la confusione che regna sovrana, abbiamo predisposto un paper, a cura di Rosamaria Berloco e Pietro Falcicchio con la collaborazione di Sara Turzo e Marica De Angelis, su tutte le novità in tema di concessioni demaniali in modo da rendere accessibile il quadro normativo in cui ci troviamo a operare.

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Escussione garanzia provvisoria: il punto della Plenaria

Escussione garanzia provvisoria: il punto della Plenaria

Escussione garanzia provvisoria: il punto della PlenariaL’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si esprime sulla escussione della garanzia provvisoria (art. 93, comma 6, d.lgs. 50/2016).

Con tale disposizione, il legislatore ha espressamente previsto che “La garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; la garanzia è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto”.

All’esito delle verifiche espletate a seguito della proposta di aggiudicazione, l’amministrazione disponeva la revoca dell’aggiudicazione e l’esclusione del soggetto dalla gara. Quale conseguenza di tanto, disponeva altresì l’escussione della garanzia provvisoria in ossequio al dettato di cui all’art. 93, comma 6 del d.lgs. 50/2016.

Ritenendo illegittima l’esclusione, la società proponeva ricorso al TAR lamentando tra gli altri anche l’illegittimità dell’escussione della garanzia provvisoria. In particolare, ad avviso del ricorrente, ai sensi dell’art. 93, comma 6, l’escussione della garanzia provvisoria potrebbe essere disposta solo nel caso in cui sia intervenuta l’aggiudicazione “definitiva”.

Nel rigettare il ricorso il TAR, richiamando giurisprudenza sul punto, affermava che la cauzione era escutibile anche laddove non si fossero perfezionati i passaggi-presupposto della stipula del contratto, quali l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva, per ragioni riconducibili al concorrente (si pensi, in particolare, al caso della revoca della proposta di aggiudicazione, come avvenuto nel caso di specie).

Avverso la pronuncia di primo grado, veniva adito il Consiglio di Stato: i giudici di Palazzo Spada, con sentenza non definitiva (Sez. IV, 4.1.2022 n. 26), investivano della questione l’Adunanza Plenaria affinché chiarisse “se l’art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 del 2016 possa (recte, debba) trovare applicazione non solo nei confronti del soggetto cui sia già stata definitivamente aggiudicata la gara, ma anche nei confronti del soggetto che la commissione giudicatrice, dopo le valutazioni di spettanza, abbia proposto per l’aggiudicazione”.

La sentenza della Plenaria, in primo luogo, premette che, dalla lettura coordinata di alcune disposizioni del Codice, risulta chiara la distinzione tra la fase procedimentale relativa alla “proposta di aggiudicazione” e la fase provvedimentale relativa all’“aggiudicazione”.

Con riguardo alla “proposta di aggiudicazione” formulata dalla commissione di gara, il Codice – che ha inteso attribuirle natura autonoma – disciplina il rapporto tra essa e l’aggiudicazione. Il destinatario della proposta è ancora un concorrente, ancorché individualizzato. In questa fase si inseriscono i seguenti adempimenti:

  1. la SA, prima dell’aggiudicazione dell’appalto, «richiede all’offerente cui ha deciso di aggiudicare l’appalto (…) di presentare documenti complementari aggiornati», nel rispetto di determinate modalità, per dimostrare la sussistenza dei requisiti generali e speciali di partecipazione alla gara (art. 85, comma 5);
  2. la “proposta di aggiudicazione” «è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente» (art. 33, comma 1);
  3. la SA, dopo la suddetta approvazione, «provvede all’aggiudicazione» (art. 32, comma 5).

La “proposta di aggiudicazione”, essendo atto endoprocedimentale, non è suscettibile di autonoma impugnazione.

Con riguardo all’aggiudicazione, il Codice disciplina il rapporto tra essa e il contratto.

L’art. 32, comma 6, stabilisce che «l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta», in quanto occorre la stipula del contratto e l'offerta dell'aggiudicatario è irrevocabile per sessanta giorni.

L’aggiudicazione è il provvedimento finale di conclusione del procedimento di scelta del contraente che, in quanto tale, ha rilevanza esterna e può essere oggetto sia di impugnazione in sede giurisdizionale sia di autotutela amministrativa.

Per comprendere appieno le conclusioni raggiunte dalla Plenaria, è anzitutto necessario evidenziare che la garanzia provvisoria – nei termini indicati dal vigente Codice (d.lgs. 50/2016) – non può avere natura sanzionatoria, il legislatore non ha, infatti, riprodotto in esso quanto previsto dall’art. 48, comma 1, del codice previgente (disposizione con cui veniva riconosciuta alla garanzia natura sanzionatoria).

Fatta tale premessa, risulta ora necessario comprendere quali siano i soggetti nei cui confronti si possa procedere all’escussione della garanzia provvisoria. A tal proposito, la Plenaria ha statuito che:

  • non merita condivisione l’orientamento alla base dell’ordinanza di rimessione - secondo la quale ad essere assoggettati all’escussione della garanzia provvisoria saranno sia l’aggiudicatario sia il destinatario della proposta di aggiudicazione - dovendosi invece seguire una interpretazione che prende le mosse dai criteri di interpretazione della legge (elencati dall’art. 12 delle disposizioni preliminari al c.c. – le c.d. preleggi);
  • l’art. 12 delle preleggi ricorda, infatti, che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”;
  • l’intenzione del legislatore nel formulare l’art. 93, comma 6, del d.lgs. 50/2016 – secondo cui “la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario” – è, secondo la Plenaria, quella di delimitare l’ambito di operatività della garanzia al solo momento successivo all’aggiudicazione (la norma, infatti, fa espresso riferimento all’aggiudicazione – momento finale del procedimento amministrativo - ed al fatto riconducibile all’affidatario – e non, quindi, al concorrente destinatario della proposta di aggiudicazione);
  • infatti, “Nel caso di mancata stipulazione del contratto a seguito di una aggiudicazione, le ragioni (…) possono dipendere sia dalla successiva verifica della mancanza dei requisiti di partecipazione sia, soprattutto, dalla condotta dell’aggiudicatario che, per una sua scelta, decide di non stipulare il contratto. (…) In tale contesto i possibili pregiudizi economici determinati dalla condotta dell’aggiudicatario sono coperti dalla “garanzia provvisoria” che consente all’amministrazione di azionare il rimedio di adempimento della prestazione dovuta con la finalità di compensare in via forfettaria i danni subiti dall’amministrazione per violazione delle regole procedimentali nonché dell’obbligo di concludere il contratto”.

In definitiva, l’Adunanza Plenaria afferma che “il comma 6 dell’art. 93 del decreto legislativo n. 50 del 2016 – nel prevedere che la garanzia provvisoria a corredo dell’offerta copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario – delinea un sistema di garanzie che si riferisce al solo periodo compreso tra l’aggiudicazione ed il contratto e non anche al periodo compreso tra la proposta di aggiudicazione e l’aggiudicazione”.

(Cons. St., Ad. Plen., 26.4.2022 n. 7)


Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!

Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!

Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!Una recente sentenza del TAR Lombardia ha posto l’attenzione sul tema della revisione e degli adeguamenti dei prezzi che intervengono nella delicata fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto.

La sentenza è di particolare interesse perché oltre ad affrontare il tema dell’aumento dei prezzi in vista della sottoscrizione del contratto, offre un particolare punto di vista in merito all’escussione della garanzia provvisoria.

IL CASO

Nel gennaio 2021 la società ricorrente aveva partecipato ad una gara per la fornitura di ausili per disabili ad alcuni enti sanitari regionali. Già all’atto della pubblicazione del bando la ricorrente si rendeva conto che i prezzi posti a base di gara erano decisamente inferiori a quelli previsti per l’omologa gara indetta tuttavia nel 2017. Pur sottoponendo all’attenzione della stazione appaltante tale circostanza, l’amministrazione riteneva di non dover addivenire ad alcuna modifica della base d’asta.

Nel marzo del 2021, la società ricorrente aveva proceduto comunque a formulare un’offerta, consapevole dell’inadeguatezza della stessa in ragione dell’aumento dei prezzi delle materie prime, dei noli e della logistica verificatosi nell’ultimo periodo. La ricorrente era poi risultata aggiudicataria di 16 lotti (dei 51 previsti dalla gara).

In vista della stipula della convenzione, la società aveva chiesto alla stazione appaltante di adeguare i prezzi previsti in considerazione delle circostanze imprevedibili verificatesi nel periodo successivo alla presentazione dell’offerta e, dunque, di variare gli importi in deroga alle disposizioni contenute nello schema di convenzione.

Nel novembre 2021 l’offerta della società era ancora vincolante e, dunque, a fronte del rifiuto di sottoscrivere la convenzione, la stazione appaltante aveva disposto la revoca dell’aggiudicazione, con il conseguente incameramento della cauzione provvisoria.

Nel ricorso presentato innanzi al TAR Lombardia, la società ha sostanzialmente censurato il comportamento tenuto dalla stazione appaltante che, a fronte dell’illegittimità dei prezzi fissati a basa d’asta nonché del mancato adeguamento degli stessi alla situazione di mercato, aveva preteso comunque la stipula del contratto. Secondo la ricorrente, la pretesa di stipulare il contratto in simile condizione era da ritenersi contraria a buona fede e correttezza traducendosi, inoltre, in un vantaggio economico per la stazione appaltante a danno dell’operatore.

L’erroneità dei prezzi posti a base di gara e le differenti condizioni di mercato tra la data di presentazione dell’offerta e la data di aggiudicazione dell’appalto avrebbero peraltro comportato la carenza di remuneratività dell’appalto.

Nel caso di specie, infatti, secondo la ricorrente, la stazione appaltante avrebbe dovuto adeguare il corrispettivo dovuto all’operatore economico facendo applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. 50/2016 nonché dell’art. 1664 c.c., e dunque predisponendo una variante.

Di qui l’illegittimità anche del provvedimento di incameramento della cauzione provvisoria, in quanto non sarebbe stato imputabile all’operatore la decisione di non stipulare il contratto alle condizioni indicate nell’offerta.

Il TAR ha tuttavia rigettato il ricorso in relazione alla revoca dell’aggiudicazione, mentre ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario con riferimento all’escussione della cauzione.

LA REVISIONE DEI PREZZI

Con riferimento alla revoca dell’aggiudicazione, il Collegio ha osservato che, nello schema di convenzione, la stazione appaltante aveva precisato che i corrispettivi dovevano restare immutati nel corso dell’esecuzione. Partecipando alla gara, la società aveva accettato simile condizione, salvo poi chiedere all’Amministrazione di mantenere l’aggiudicazione dei vari lotti ma di mutare i corrispettivi dovuti, osservando come l’offerta formulata non potesse ritenersi più congrua e remunerativa a causa dell’incremento dei prezzi medio tempore registrato.

Secondo i giudici, il rifiuto dell’amministrazione di accogliere tale richiesta era del tutto legittimo e conforme a quanto previsto dalla lex specialis, sul punto chiara nel prevedere l’impossibilità di adeguamento dei prezzi, avvertendo i partecipanti alla gara che l’alea ricade necessariamente sugli stessi operatori: tali previsioni costituiscono un “auto-vincolo dell’azione amministrativa e non possono, quindi, derogarsi obliterando la par condicio tra i vari contendenti che partecipano alla gara (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2.3.2021, n. 1788)”.

Accanto a ciò, i giudici hanno precisato che le tempistiche della gara non erano tali da poter sostenere “la non prevedibilità da parte di un operatore economico accorto e diligente dell’aumento dei prezzi con conseguente attenzione e prudenza nella modulazione delle offerte”.

L’accoglimento della pretesa avanzata dal ricorrente prima della stipula del contratto (e, quindi, in una fase differente dall’esecuzione) avrebbe prodotto l’effetto di alterare il confronto tra gli operatori, finendo per “premiare” il concorrente che indica il prezzo maggiormente competitivo e che successivamente ne invoca l’insostenibilità delle condizioni originarie del contratto.

Nella delicata fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, le mutate condizioni del mercato che rendono non remunerativa l’offerta possono legittimare un ritiro dell’operatore dalla gara o la non accettazione della stipula, ma non possono supportare la pretesa ad ottenere la commessa a prezzi differenti e senza riapertura di un nuovo dialogo competitivo. In tale fase, dunque, non risultano invocabili “gli istituti posti a governo delle sopravvenienze contrattuali che, per l’appunto, riguardano la fase di esecuzione del contratto e le alterazioni che possono generarsi nel corso della durata del negozio ma non si riferiscono, invece, ad una fase antecedente alla stipula ove l’eventuale insostenibilità si traduce nella possibilità di non sottoscrivere il contratto”.

Richiamando un precedente del TAR Brescia, i giudici hanno precisato che “l’istanza di revisione del prezzo formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto risulti non supportata da alcuna previsione legale in quanto effettuata in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non è giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso; e così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta (T.A.R. per la Lombardia – sede di Brescia, Sez. I, 10.3.2022, n. 232)”.

L’ESCUSSIONE DELLA GARANZIA

Con riferimento invece alla domanda di annullamento dei provvedimenti di escussione della garanzia, il Collegio ha declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario.

Secondo i giudici, infatti, nel caso di specie la società aveva chiesto di accertare l’insussistenza dei presupposti per l’escussione della polizza stante la mancata stipula del contratto conseguente al rifiuto della stessa alla conclusione del negozio. In altre parole, la ricorrente aveva invocato l’accertamento negativo dei presupposti della pretesa indennitaria fatta valere dall’Amministrazione.

Secondo il TAR, tale domanda non rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo per due ordini di ragioni.

La prima, in quanto l’escussione della polizza non è una conseguenza automatica di un provvedimento amministrativo autoritativo. Nel caso di specie, infatti, la revoca dell’aggiudicazione non sarebbe espressione di un potere di natura pubblicistica, né un provvedimento di secondo grado con il quale l’Amministrazione rivede le proprie determinazioni, ma costituirebbe semplicemente la conseguenza del rifiuto della parte di stipulare il contratto. Precisa, infatti, il Collegio che “nel caso all’attenzione del Collegio, l’aspetto fondamentale non è tanto la collocazione della vicenda nella c.d. “fase deliberativa dell’aggiudicazione” o nella fase esecutiva del contratto quanto la constatazione che l’escussione della polizza non è atto conseguente all’esercizio di un potere pubblicistico ma al rifiuto della stipula e, quindi, alla mancata conclusione del contratto. In sostanza, nel caso di specie non vi è quel “nesso di automaticità tra l'escussione della fideiussione ed un provvedimento amministrativo” a cui fanno riferimento le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezioni Unite, 31.3.2021, n. 9005)”.

Precisa ancora il Collegio che la giurisprudenza è costante nel ritenere che la cauzione provvisoria assolve alla funzione di garanzia del mantenimento dell’offerta. In particolare, da un lato, presidia la serietà dell’offerta e il mantenimento di questa da parte di tutti i partecipanti alla gara fino al momento dell’aggiudicazione; dall’altro, garantisce la stipula del contratto da parte della offerente che risulti, all’esito della procedura, aggiudicatario: “pertanto, la cauzione:  i) “si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica”; ii) ne presidia “l’obbligo di diligenza” e va ricondotto alla caparra confirmatoria “perché è finalizzata a confermare l’impegno da assumere in futuro” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 10.12.2014, n. 34; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.12.2014, n. 6302; Id., Sez. V, 27.10.2021, n. 7217; nella giurisprudenza del Tribunale, cfr.: T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. IV, 11.2.2022, n. 325; nella giurisprudenza civile, cfr.: Cassazione civile, Sezioni unite, 4.2.2009, n. 2634)”.

Accanto a ciò, i giudici hanno ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario deriverebbe dalla stessa natura della cauzione in esame. La polizza in questione offriva copertura nel caso di mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione, prevedendo che il garante corrispondesse l’importo dovuto, nei limiti della somma garantita, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della stazione appaltante.

Nel caso di specie, poteva parlarsi di un vero e proprio contratto autonomo di garanzia, che mira a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale (nel caso di specie, la stipula del contratto). A fondare tale assunto le clausole stesse del contratto e, in particolare:

i) la previsione che individua la prestazione dovuta, consistente nel pagamento di una somma di denaro in caso di inadempimento all’obbligo di stipula del contratto;

ii) la previsione che impone l’obbligo di versamento dell’indennizzo dovuto in conseguenza delle inadempienze a “semplice richiesta scritta” del beneficiario;

iii) la mancata previsione dell’obbligo di preventiva escussione;

iv) la rinuncia al termine di cui all’articolo 1957 c.c.;

v) la surrogazione della Società garante nella posizione del beneficiario in tutti i diritti, ragioni ed azioni verso il contraente nei limiti delle somme pagate al beneficiario.

Osservano a tal proposito i giudici che “mentre con la fideiussione è tutelato l'interesse all'esatto adempimento dell'unica prestazione principale (per cui il fideiussore è un “vicario” del debitore), l'obbligazione del garante autonomo è qualitativamente altra rispetto a quella dell'ordinante, sia perché non necessariamente sovrapponibile ad essa, sia perché non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. In questo caso si è dinanzi ad una garanzia di tipo indennitario che mira a tutelare il creditore per l’inadempimento all’obbligo di stipula e non, al contrario, dinanzi ad una garanzia di tipo satisfattorio caratterizzata dal rafforzamento del potere del creditore di conseguire il medesimo bene dovuto (cfr., Cassazione civile, Sezioni unite, 18.2.2010, n. 3947)”.

Rilevante tra i vari aspetti evidenziati dai giudici, sarebbe proprio la possibilità di ottenere un pagamento in tempi brevi, che assimila la garanzia ad una sorta di cauzione e che, dunque, fa emergere il carattere autonomo della garanzia che abilita alla riscossione delle somme, a prescindere, quindi, dal rapporto garantito.

Il carattere autonomo della garanzia fonda, secondo i giudici, una ulteriore ragione autonoma per declinare la giurisdizione in favore del Giudice ordinario, in ragione dell’autonomia dei rapporti in questione, nonché del fatto che nel rapporto di garanzia viene coinvolto un soggetto terzo e la P.A. non interviene neppure mediatamente quale soggetto titolare di pubblici poteri. Per questo il rapporto resta estraneo alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.

(TAR Lombardia, Milano, 10.6.2022, n. 1343)


Appalti pubblici e possesso ed esecuzione in misura maggioritaria del mandatario in RTI. La Corte di Giustizia sulla non conformità alle direttive dell’art. 83 del d.lgs. 502016.

Appalti pubblici e possesso ed esecuzione in misura maggioritaria del mandatario in RTI. La Corte di Giustizia sulla non conformità alle direttive dell’art. 83 del d.lgs. 502016.

Appalti pubblici e possesso ed esecuzione in misura maggioritaria del mandatario in RTI. La Corte di Giustizia sulla non conformità alle direttive dell’art. 83 del d.lgs. 502016. La Corte di Giustizia Europea interviene in materia di appalti pubblici, in particolare, sul possesso ed esecuzione in misura maggioritaria del mandatario in RTI e dichiara la non conformità alle direttive dell’art. 83 del d.lgs. 50/2016.

Per capire appieno le motivazioni di tale arresto – la cui portata sarà certamente rilevante per il futuro – è opportuno un breve esame della questione che ha condotto a tale pronuncia.

A margine di una procedura di gara conclusasi con l’aggiudicazione, accadeva che l’impresa classificatasi seconda in graduatoria impugnava dinanzi al TAR la già menzionata aggiudicazione. A sostegno del proprio ricorso, l’impresa ricorrente sosteneva che l’aggiudicatario non rispettasse il dettato dell’art. 83, comma 8, d.lgs. 50/2016.

Il Collegio, prendendo le mosse da tale disposizione normativa, annullava l’aggiudicazione – ritenuta illegittima in quanto “secondo quanto previsto dall’art. 83, co.8, terzo periodo del D.Lgs. 50/2016, la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”.

Nel giudizio d’appello che seguiva, il Collegio – rilevando un possibile contrasto tra normativa nazionale e disposizioni comunitarie (segnatamente tra l’art. 83 d.lgs. 50/2016 e l’art. 63 direttiva 2014/24/UE) - rimetteva gli atti alla Corte di Giustizia affinché rispondesse al quesito così formulato “Se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale in materia di “criteri di selezione e soccorso istruttorio” di cui all’inciso contenuto nel penultimo periodo del comma 8 dell’articolo 83 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel senso che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento (di cui all’articolo 89 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), in ogni caso la mandataria deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in via maggioritaria”.

La Corte comunitaria, sulla questione, evidenzia che:

- l’art. 63 della direttiva 2014/24/UE si limita a prevedere, da un lato, che il RTI può fare affidamento sulle capacità di imprese partecipanti al raggruppamento medesimo ovvero di altri soggetti (sulla falsariga, in altri termini, della facoltà riconosciuta ai partecipanti alle gare in forma singola);

- il medesimo art. 63 sancisce altresì che in determinati tipi di appalti (quali, in particolare, gli appalti di servizi) le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’operatore stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un RTI (…) da un partecipante al raggruppamento;

- di contro, l’art. 83, comma 8, del d.lgs. 50/2016 (nel prevedere l’obbligo per la mandataria di possedere i requisiti nonché di eseguire personalmente le lavorazioni in misura maggioritaria) è norma che fissa una condizione ben più severa di quella prevista dal succitato art. 63.

Da quanto sopra deriva, secondo la Corte di Giustizia, che “Un requisito come quello enunciato all’articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che si estende alle prestazioni in via maggioritaria, contravviene a siffatto approccio, eccede i termini mirati impiegati all’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell’Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese”.

Conclusione di tale assunto è l’arresto per cui “L’articolo 63 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria”.

(CGUE, Sez. IV, 28.4.2022, C-642/20)


Occupazione abusiva di demanio marittimo: la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non si applica alle concessioni balneari non rinnovate e non oggetto di proroga.

Occupazione abusiva di demanio marittimo: la proroga delle concessioni balneari.

Occupazione abusiva di demanio marittimo: la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non si applica alle concessioni balneari non rinnovate e non oggetto di proroga. La proroga di cui al d.l. 88/2001 (e successive) si applica alle concessioni balneari "nuove" ossia successive all'entrata in vigore  del d.l. n. 88/2001 quindi rilasciate successivamente al 18.4.2001.

Così ha precisato la recente sentenza della Terza Sezione penale della Cassazione del 22.4.2022.

Il caso

La pronuncia della Suprema Corte è stata resa nell’ambito di un giudizio di impugnazione avente ad oggetto il reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo ex art. 1161 del Codice della navigazione.

Ai fini cautelari, lo stabilimento balneare in questione era stato posto sotto sequestro.

La difesa dell’imputato aveva sostenuto in giudizio che le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del novembre 2021 costituissero un “fatto sopravvenuto”, idoneo ex art. 321, comma 3 c.p.p. a far venir meno le condizioni di applicabilità del sequestro dello stabilimento balneare disposto dall’autorità giudiziaria.

Nell’ambito della propria decisone, la Corte ha avuto modo di ripercorrere l’evoluzione della normativa nazionale ed europea in materia di proroghe dei termini di durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, soffermandosi, in particolare, sulla portata applicativa delle ultime pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nn. 17 e 18 del novembre 2021.

La decisione della Corte

Al fine di escludere l’applicabilità delle pronunce nel caso di specie, la Corte ha in primo luogo ricordato il contenuto delle sentenze.

Con le sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la proroga delle concessioni demaniali, da ultimo disposta dall’art. 1, commi 682 e 683, Legge 30.12.2018 n. 145, è da ritenersi illegittima. L’Adunanza Plenaria ha altresì sostenuto che in assenza di un apposito intervento legislativo di riordino della materia – e noto l’impatto economico e sociale che l’immediata disapplicazione delle proroghe in vigore comporta - a far data dal 1° gennaio 2024 le concessioni debbano intendersi come scadute e che un eventuale nuovo provvedimento di proroga dovrà intendersi come privo di effetto, in quanto contrastante con le norme comunitarie in materia, confermando la necessità di affidare tali concessioni balneari all’esito di procedure ad evidenza pubblica.

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione, le pronunce dell’Adunanza Plenaria hanno inciso in via temporanea “solo ed esclusivamente sulle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative rientranti nell’ambito di applicativo della normativa nazionale di proroga”, e non sarebbero applicabili nel caso di specie.

Secondo i giudici, infatti, la concessione rilasciata al proprietario dello stabilimento posto sotto sequestro era stata rilasciata nel 1998 e risultava definitivamente scaduta il 31.12.2009.

Alla concessione in parola, infatti, non sarebbe applicabile la proroga tacita introdotta dall'art. 1, comma 18 del d.l. n. 194/2009 (Legge 26.2.2010, n. 25) e successivamente reiterata dalla Legge n. 228/2012 e dalla Legge n. 145/2018. La proroga disposta dalla normativa in esame era infatti riferita alle concessioni nuove, ovvero agli atti ampliativi che sono stati disposti successivamente all'entrata in vigore del d.l. n. 88/2001 e tale non poteva dirsi, secondo le pronunce già rese in merito dalla Cassazione, il provvedimento di rinnovo disposto dal Comune in favore del titolare della concessione giacché andava a rinnovare una concessione rilasciata prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 88/2001.

Solo dunque le concessioni o gli atti ampliativi soggetti alla disciplina della proroga automatica introdotta dal d.l. n. 88/2001 hanno potuto beneficiare delle proroghe che a partire dal 2009 il legislatore ha introdotto e reiterato. Solo queste ultime, infatti, sono rimaste valide grazie agli interventi del legislatore, a prescindere dall'abrogazione del meccanismo della proroga automatica di 6 anni introdotta proprio con il d.l. n. 88/2001 all’art. 1, comma 2 del d.l. n. 400/1993, e definitivamente abrogata con il d.l. n. 217/2011.

Di conseguenza, i Giudici hanno ritenuto non applicabili al caso in esame le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che hanno rinviato al 31.12.2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga delle concessioni.

Di qui, i Giudici della Cassazione hanno ravvisato l’occupazione del demanio marittimo come abusiva ed integrante il reato di cui all’art. 1161 del Codice della Navigazione, ravvisabile ogni qual volta vi sia un’occupazione di uno spazio demaniale marittimo non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio o quando il titolo in questione sia scaduto o divenuto inefficace.

Confermando le osservazioni del Tribunale del Riesame, i Giudici di Cassazione hanno infine precisato che le pronunce dell’Adunanza Plenaria non legittimano alcuna proroga generalizzata delle concessioni ma varrebbero a riaffermare l’illegittimità delle leggi nazionali di proroga rispetto alla direttiva Bolkenstein del 2006.

Quindi, in definitiva, la proroga delle concessioni balneari trova applicazione solo per le concessioni “nuove” dovendosi ritenere tali solo quelle successive all’entrata in vigore del d.l. n. 88/2001.

(Cass. pen., Sez. III, 22/4/2022, n. 15676)