Irregolarità contributive. Natura endoprocedimentale del PVC e illegittimità dell’esclusione disposta in base ad esso.

Irregolarità contributive. Natura endoprocedimentale del PVC e illegittimità dell’esclusione disposta in base ad esso.

Irregolarità contributive. Natura endoprocedimentale del PVC e illegittimità dell’esclusione disposta in base ad esso.Come noto, le irregolarità contributive che possono portare all’esclusione dalla gara devono essere gravi (ossia di ammontare superiore ad € 5.000) e definitivamente accertate (ossia trasfuse in un provvedimento, amministrativo o giudiziale che sia, non più impugnabile).

In un recente caso sottoposto al TAR Lecce, nell’ambito di una gara avente ad oggetto il servizio di gestione di aree di sosta di veicoli, un operatore economico veniva escluso perché la Commissione riteneva sussistente una violazione grave – ma non definitivamente accertata – di un debito tributario. Più nello specifico, la Commissione evidenziava come il debito contestato fosse sicuramente grave (in quanto superiore a € 5.000 indicati dall’articolo 80, comma 4, Codice dei contratti pubblici, quale soglia di gravità della violazione tributaria) nonché, a seguito della presentazione della domanda di accertamento con adesione, definitivo (in quanto, ad opinione della Commissione, la presentazione della domanda di accertamento con adesione determinava la definitività del debito).

Il TAR Lecce ha ritenuto errato l’operato della Commissione di gara: quest’ultima, secondo il Collegio, non avrebbe potuto disporre l’esclusione in quanto, da un lato, il debito – dalla Commissione ritenuto definitivo – era in realtà cristallizzato soltanto in un processo verbale di constatazione (PVC) redatto da agenti della Guardia di Finanza e tale documento, come evidenziato in giurisprudenza, costituisce un “mero atto endoprocedimentale” (così Cons. St., Sez. III, 2.4.2020 n. 2245); dall’altro, la presentazione di domanda di accertamento con adesione non costituisce modalità di accertamento in via definitiva del debito tributario, in quanto l’Ente riscossore non ha ancora emesso alcun atto di accertamento (del che non risulta essere ancora sorta l’obbligazione tributaria medesima).

In conclusione, il Collegio annulla la disposta esclusione, ritenendola illegittima, in ragione della insussistenza dei presupposti di esclusione di cui all’articolo 80, comma 4, Codice dei contratti pubblici.

(TAR Puglia Lecce, Sez. II, 22.9.2021 n. 1377)


Soccorso istruttorio, virus informatico impedisce la conoscenza della comunicazione causa di forza maggiore

Soccorso istruttorio, virus informatico impedisce la conoscenza della comunicazione: causa di forza maggiore?

Soccorso istruttorio, virus informatico impedisce la conoscenza della comunicazione causa di forza maggiorePuò un virus informatico, che cagioni il blocco dei sistemi di una impresa inibendo la conoscenza del messaggio di soccorso istruttorio, configurare una causa di forza maggiore?

Di soccorso istruttorio e più in generale dei casi pratici sottoposti al vaglio della giustizia amministrativa abbiamo discusso nell’ultima pubblicazione “Soccorso istruttorio negli appalti pubblici” di Rosamaria Berloco (cliccando qui è possibile acquistare il volume con contenuti extra in omaggio), ma l’evoluzione giurisprudenziale non si ferma e continua ad arricchire i diversi orientamenti come con la sentenza del Consiglio di Stato oggetto della presente news.

Nel corso di una procedura di gara, la stazione appaltante attivava il soccorso istruttorio per consentire ad una delle partecipanti di emendare alcuni errori commessi nella compilazione del DGUE. Accadeva però che la medesima impresa non correggeva gli errori commessi così come previsto dalla comunicazione trasmessa, in quanto un virus informatico (c.d. ransomware) non le consentiva di venire a conoscenza, in tempo utile, della comunicazione di soccorso istruttorio. Sicché la stazione appaltante (che in un primo momento aveva proceduto all’esclusione della concorrente) si determinava a rimetterla in termini, ritenendo sussistente una causa di forza maggiore.

Nel contenzioso che seguiva, il TAR – disattendendo le argomentazioni della stazione appaltante – riteneva non sussistente una causa di forza maggiore, evidenziando come la inutilizzabilità del sistema informatico (infettato dal sopradescritto virus) non escludeva l’accessibilità, da parte dell’impresa, alla richiamata comunicazione di avvio del soccorso istruttorio – cui, secondo il Collegio, la partecipante avrebbe potuto accedere da altri device.

Ad avviso del TAR, con il caricamento della comunicazione nella relativa area di destinazione, il provvedimento doveva intendersi legalmente conosciuto dalla sua destinataria, la quale non aveva quindi diritto ad alcuna rimessione in termini.

Di opinione diametralmente opposta, invece, il Consiglio di Stato. Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti:

- dall’osservanza dei principi di leale collaborazione e di buona fede nei rapporti tra privato e P.A. deriva il potere dell’amministrazione di rimettere in termini il concorrente che, per causa di forza maggiore, si sia trovato nell’impossibilità di rispettare un termine previsto a pena di esclusione;

- l’espressione “causa di forza maggiore” va intesa come “un evento che non può evitarsi neanche con la maggior diligenza possibile” (in questi termini, Cass. Civ., Sez. III, 1.2.2018 n. 2480): ciò si verifica, come affermato da Cons. St., Sez. V, 18.10.2018 n. 5958, nel caso dell’attacco di un virus informatico che renda inservibili i sistemi e comprometta, nello specifico, il servizio di posta elettronica certificata richiedendo, per la sua soluzione, l’intervento di personale tecnico specializzato (oltre che del tempo per il ripristino del sistema medesimo).

Il sistema informatico dell’impresa destinataria del soccorso istruttorio era stato ripristinato solo in prossimità della scadenza del termine concessole; pertanto è evidente come non fosse possibile, per il concorrente, emendare in tempo gli errori commessi nella compilazione del DGUE (da qui la necessità della rimessione in termini). Né, viene infine precisato, l’impresa avrebbe potuto conoscere della comunicazione ricorrendo ad un altro device, non essendo provato che quest’ultima avesse avuto conoscenza, prima della scadenza del termine perentorio per adempiere al soccorso istruttorio, dell’avvenuta pubblicazione, sulla piattaforma telematica di gara, della comunicazione relativa all’attivazione del soccorso istruttorio medesimo.

Cons. St., Sez. V, 16.8.2021 n. 5882


La storia infinita del subappalto negli appalti pubblici tra giurisprudenza e decreto semplificazioni limite sì, limite no.

La storia infinita del subappalto negli appalti pubblici tra giurisprudenza e decreto semplificazioni: limite sì, limite no.

La storia infinita del subappalto negli appalti pubblici tra giurisprudenza e decreto semplificazioni limite sì, limite no. Torniamo a parlare dell’istituto del subappalto negli appalti pubblici, limite sì, limite no: tema particolarmente caro al nostro Legislatore, il quale, quasi a emulare il romanzo fiabesco “La storia infinita” di Michael Ende, tenta di trovare una soluzione “al male” arrecato dalla UE con la procedura di infrazione contro l’Italia.

Giuristi e operatori ricorderanno molto bene le numerose modifiche subite dall’art. 105, d.lgs. 50/2016, e altrettanto bene ricorderanno la tarantella – ad oggi ancora “in ballo” – sulla percentuale massima di prestazioni subappaltabili, (40% - 30%).

Come noto, l’art. 105, co. 2, stabilisce che “il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. (…) l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo di lavori, servizi o forniture (…)”.

Il limite del 30%, fino a due anni fa, costituiva la regola generale.

Con il decreto Sblocca Cantieri, n. 32/2019, convertito in l. 55/2019, il Legislatore interviene innalzando il limite della quota subappaltabile fino al 31.12.2020 determinandola nel 40% del valore complessivo dell’appalto.

Con il decreto “Milleproroghe 2021” (art. 13) viene prorogato il limite del 40 % dello Sblocca cantieri sino al 31.12.2021.

A questo punto, con il decreto Semplificazioni n. 77/2021 (in attesa di conversione), il Legislatore, ancora una volta, rivede l’istituto del subappalto con una disciplina transitoria ed una a regime:

  • dal 1.6.2021 al 31.10.2021, il subappalto è consentito fino al 50% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi e forniture (periodo transitorio);
  • dal 1.11.2021 non è previsto alcun limite per il ricorso al subappalto. La stazione appaltante dovrà operare una valutazione “gara per gara”, sull’eventuale limitazione dell’istituto (cd liberalizzazione del subappalto a regime).

Non può sottacersi che il subappalto è da sempre motivo di conflitto tra l’Europa e l’Italia.

Difatti, la Commissione europea con lettera di messa in mora inviata il 24.1.2019 ha avviato la procedura di infrazione contro l’Italia (alla quale seguono le note pronunce della Corte di Giustizia UE del 2019), sottolineando la circostanza che la disciplina del subappalto italiana si pone in contrasto con la normativa comunitaria e i principi eurocomunitari.

In particolare, per quanto riguarda i limiti quantitativi, la Commissione osserva che “nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto. Conformemente a tale approccio, l’art. 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere”.

Nello scenario appena descritto, si registrano pronunce giurisprudenziali spesso discordanti sulla legittimità del predetto limite quantitativo.

Difatti, il TAR Lazio (sentenza del 15.12.2020, n. 13527) si esprime in modo diametralmente opposto a quanto affermato dal Consiglio di Stato (sentenza del 17.12.2020, n. 8101) a distanza di soli due giorni:

  • il TAR ritiene legittimo il limite quantitativo per il ricorso al subappalto;
  • il Consiglio di Stato ribadisce la necessità di adeguare la normativa nazionale alla disciplina europea, secondo la quale deve prevalere il principio di massima partecipazione delle piccole e medie imprese, e quindi, il massimo utilizzo possibile dello strumento del subappalto.

La decisone del TAR Lazio

In particolare, il TAR Lazio conferma la legittimità del limite quantitativo previsto dall’art. 105, co. 2, d.lgs. 50/2016 – individuato nella misura del 40% fino al 31.12.2021.

Nel caso di specie, la ricorrente lamenta l’illegittimità della lex specialis che fissava nel 30% il limite al subappalto. Secondo la ricorrente, tale previsione contrastava con:

  • il decreto Sblocca Cantieri, che aveva portato la quota subappaltabile al 40%;
  • le pronunce della CGUE.

Il Collegio prende le mosse dalle indicazioni rese in ambito comunitario e nel rigettare il ricorso afferma che la pronuncia della Corte, “pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30%, non esclude la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti superiori”, nel senso che la Corte ha sì “considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato”, ma non esclude “invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari (ndr. di evitare infiltrazioni mafiose), un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo”, cosicché “non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l’attuale limite pari al 40%” previsto dall’art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019.

A fronte di siffatte considerazioni, il TAR rigetta il ricorso affermando che è legittimo prevedere limiti al subappalto (inferiori al 40%).

La pronuncia del Consiglio di Stato

A distanza di qualche giorno rispetto alla pronuncia del TAR Lazio, il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi su una controversia avente ad oggetto l’affidamento di una concessione di servizi pubblici di ristorazione da parte di un Comune.

In particolare, la seconda classificata deduce l’illegittimità dell’aggiudicazione, poiché l’aggiudicataria aveva espresso la volontà di subappaltare a terzi in misura eccedente il limite del 30% dell’importo complessivo dell’appalto.

Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada, in netto contrasto con l’orientamento espresso dal TAR Lazio, affermano che “(…) la norma dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro – comunitario, come affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia U.E., Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18; Id., 27 novembre 2019, C-402/18; in termini Consiglio di Stato, sez. V, 16 gennaio 2020, n. 389, che ha puntualmente rilevato come i limiti ad esso relativi (30 per cento) secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, (…) deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea”.

Tanto è stato confermato anche di recente, con sentenza del 31.5.2021, ove il Consiglio di Stato afferma che "va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la norma del Codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia nelle pronunce Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18, e 27 novembre 2019, C-402/1".

Alla luce di quanto sopra, si può desumere che il quadro normativo “convulso” tenderà a fomentare il dibattito giurisprudenziale, a spese, ovviamente, degli operatori del settore.

Attendiamo a questo punto la legge di conversione del decreto Semplificazioni bis con la consapevolezza che il dibattito sarà ancora più acceso.

(TAR Lazio Roma, Sez. III quater, 15.12.2020, n. 13527)

(Cons. St., Sez. V, 17.12.2020, n. 8101)

(Cons. st., Sez. V, 31.5.2021, n. 4150)

 


L’appaltatore può iscrivere riserve oltre il 20% dell’importo contrattuale La Corte Costituzionale sulla corretta interpretazione dell’art. 240 bis del d.lgs. 1632006.

L’appaltatore può iscrivere riserve oltre il 20% dell’importo contrattuale? La Corte costituzionale sulla corretta interpretazione dell’art. 240 bis del d.lgs. 163/2006.

L’appaltatore può iscrivere riserve oltre il 20% dell’importo contrattuale La Corte Costituzionale sulla corretta interpretazione dell’art. 240 bis del d.lgs. 1632006.A mente dell’art. 240 bis, comma 1, ultimo inciso, come modificato dal d.l. 70/2011, l'importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al 20% dell'importo contrattuale. La Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla corretta interpretazione della norma.

Con ordinanza del 13.5.2019, il Tribunale ordinario di Lecco ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sulla predetta disposizione.

La questione, sebbene riferita ad un articolo del codice previgente, è importante da un lato perché attuale (numerosi sono ancora oggi gli appalti pubblici in corso di esecuzione soggetti alla disciplina previgente)  dall’altro per i principi espressi che di certo tornano e torneranno utili in futuro.

Partiamo dal caso concreto: nel giudizio di primo grado, la società ha chiesto il riconoscimento di sei riserve iscritte nei registri di contabilità e confermate in sede di sottoscrizione del conto finale per un ammontare complessivo di € 470 mila circa nell’ambito di un contratto di appalto di lavori dell’importo di € 560 mila circa. Il Comune non aveva attivato l’accordo bonario.

Il Tribunale osserva che, all’esito di CTU relativa alle riserve iscritte, risulterebbero fondate pretese per euro 110 mila circa, ossia per una cifra inferiore al 20% dell’importo contrattuale.

Tuttavia – prosegue il Tribunale – poiché quanto dovrebbe riconoscersi all’impresa si ricava da riserve registrate dopo che ne erano state iscritte altre per un ammontare che aveva già raggiunto il limite del 20% dell’importo contrattuale, sarebbe preclusa la possibilità di accertare nel merito quelle annotate successivamente al superamento della soglia imposta dalla norma censurata.

Il giudice rimettente interpreta l’art. 240 bis del d.lgs. 163/2006 nel senso che l’appaltatore può legittimamente iscrivere riserve fino al 20% dell’importo contrattuale, pertanto, sarebbero ammissibili, nel caso di specie, le prime tre riserve e il giudice non potrebbe valutare nel merito le altre che, viceversa, sembrerebbero fondate.

La Corte Costituzionale non condivide.

Il testo dell’art. 240-bis, comma 1, nel prevedere che «l’importo complessivo delle riserve non può in ogni caso essere superiore al 20% dell’importo contrattuale», non rende esplicito se il limite escluda la possibilità di far valere quelle iscritte oltre la soglia o se riguardi l’entità delle pretese annotate che, nel complesso, possono essere riconosciute.

La prima interpretazione, sostenuta dal rimettente, non risulta pienamente coerente con la collocazione sistematica della disposizione e, soprattutto, ove accolta, paleserebbe una irragionevolezza della norma, il che avrebbe dovuto suggerire al rimettente di non respingere – come invece ha ritenuto di fare, in maniera esplicita e argomentata – la richiamata interpretazione alternativa, già sostenuta da altri giudici di merito (si vedano Tribunale ordinario di Roma, 11 dicembre 2020, n. 17666 e 23 gennaio 2017, n. 1085; Tribunale ordinario di Milano, 25 marzo 2020, n. 2207).

Sotto il profilo sistematico, la norma censurata si inserisce nella Parte IV del codice dei contratti pubblici, che non regola l’esecuzione dell’appalto e l’iscrizione delle riserve, bensì il «Contenzioso» e si colloca nel contesto di un articolo che disciplina – come precisa la rubrica – la «Definizione delle riserve».

In particolare, occorre partire dalla prima parte del comma 1 secondo cui “Le domande che fanno valere pretese già oggetto di riserva non possono essere proposte per importi maggiori rispetto a quelli quantificati nelle riserve stesse” il che vuol dire che possono essere proposte, e di conseguenza potenzialmente accolte, le domande che non superino gli importi «quantificati nelle riserve stesse».

Da qui, è naturale ritenere che anche la seconda parte della disposizione, nel fissare la soglia, si riferisca alle riserve che possono essere proposte e potenzialmente definite, in via bonaria o giudiziale.

Entro la soglia del 20% dell’importo contrattuale, qualunque pretesa dell’appaltatore può essere riconosciuta, in via bonaria o previo accertamento giudiziale. Oltre tale limite è, viceversa, certamente inibito accedere all’accordo bonario, mentre non risultano precluse azioni giudiziarie.

(Corte cost., 27/5/2021, n. 109)


White list e Anagrafe Antimafia alternatività nella prova dell’insussistenza di infiltrazioni mafiose.

White list e Anagrafe Antimafia: alternatività nella prova dell’insussistenza di infiltrazioni mafiose.

White list e Anagrafe Antimafia alternatività nella prova dell’insussistenza di infiltrazioni mafiose.Come noto, gli operatori economici che partecipano a gare di appalto pubblico devono iscriversi - per provare l’insussistenza di infiltrazioni mafiose – negli elenchi cd. “White list”, previsti dall’articolo 1, comma 52, legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Codice antimafia) – elenchi di cui abbiamo parlato in questo articolo).

È parimenti possibile, per gli operatori medesimi, provare l’insussistenza di infiltrazioni mafiose mediante l’iscrizione alla Anagrafe Antimafia degli Esecutori, istituita con l’articolo 30, comma 1, decreto-legge 17.10.2016, n. 189 (convertito con modificazioni nella legge 15.12.2016 n. 229). Tali modalità di comprova del requisito, è bene ribadirlo, sono alternative tra loro, come affermato dalla pronuncia in commento.

Questi i fatti. Una stazione appaltante, disattendendo la lex specialis di gara (secondo cui gli operatori economici partecipanti alla procedura potevano provare l’insussistenza di infiltrazioni mafiose in uno dei modi appena richiamati), revocava la disposta aggiudicazione, motivando il provvedimento di revoca ex articolo 21 quinquies legge n. 241/1990 con la mancata allegazione dell’iscrizione alla White list ovvero all’Anagrafe, procedendo altresì all’esclusione del potenziale aggiudicatario.

Lamentando l’erroneità dell’operato della stazione appaltante, l’operatore escluso adiva il TAR. Con l’atto introduttivo del giudizio, l’impresa evidenziava che l’amministrazione avrebbe dovuto attendere la conclusione del procedimento in corso presso la Banca Dati Nazionale Antimafia istituita presso la competente Prefettura – unico soggetto legittimato ad emettere il provvedimento antimafia.

Invero, solo nel caso di mancato pronunciamento nei 30 giorni successivi all’apertura del procedimento presso la Banca dati l’amministrazione sarebbe stata legittimata a procedere.

Il Collegio accoglie il ricorso, affermando che:

- è certamente vero che l’iscrizione alla White list risulta essere, per espressa previsione di legge, un requisito di partecipazione alla gara di appalto necessario e imprescindibile – sicché parrebbe legittima la revoca dell’aggiudicazione disposta dalla stazione appaltante (che si sarebbe attenuta a quanto previsto dalla lex di gara);

- è parimenti vero, tuttavia, che la lex specialis indicava, quali mezzi per provare l’insussistenza di infiltrazioni mafiose, l’iscrizione alla White List ovvero la presenza dell’operatore negli elenchi dell’Anagrafe Antimafia – modalità, queste ultime, che, per espressa previsione delle disposizioni di gara, pur essendo strettamente collegate tra loro, risultano in ogni caso essere modalità alternative per la comprova del requisito richiesto.

La stazione appaltante, pur avendo raccolto correttamente le informazioni in merito all’iscrizione nella White List, non ha diligentemente adempiuto al medesimo incombente per quel che riguarda l’iscrizione nell’Anagrafe Antimafia:  la disposta revoca dell’aggiudicazione quindi è palesemente affetta da un’istruttoria carente – carenza da cui emerge, quindi, l’illegittimità della revoca medesima e della successiva esclusione dell’operatore.

(TAR Marche Ancona, Sez. I, 10.6.2021 n. 475)


Domanda di concordato preventivo in bianco e appalti pubblici il punto della Plenaria.

Domanda di concordato preventivo in bianco e appalti pubblici: il punto della Plenaria.

Domanda di concordato preventivo in bianco e appalti pubblici il punto della Plenaria.La questione sottoposta all’Adunanza Plenaria riguarda la legittimità della partecipazione agli appalti pubblici da parte di un soggetto il quale, nel corso della procedura medesima, presenti domanda di concordato preventivo c.d. bianco – in presunta violazione di quanto previsto dall’articolo 80, comma 5, lettera b), del Codice dei contratti pubblici.

Questi i fatti. All’esito di una procedura per l’affidamento del servizio di informazione giornalistica delle proprie attività, la stazione appaltante si determinava ad aggiudicare l’appalto in favore di un soggetto che, nel corso della gara, presentava domanda di ammissione al concordato preventivo. Lamentando una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti da parte dell’aggiudicatario – da cui derivava una violazione di quanto statuito dall’articolo 80, comma 5, lettera b) del Codice – la seconda graduata ricorreva al TAR.

Sennonché, il Collegio di prime cure rigettava il ricorso evidenziando l’insussistenza della lamentata violazione in quanto la presentazione di una domanda di concordato in bianco – ex articolo 161, comma 1, R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (c.d. legge fallimentare) – non ostava alla partecipazione alle gare di appalto, non comportando la perdita dei requisiti richiesti: ciò era ancor più vero laddove si consideri che l’aggiudicatario richiedeva (ed otteneva prima della conclusione della procedura di gara) al Tribunale l’autorizzazione di cui all’articolo 186 bis della legge fallimentare.

La questione arrivava così all’attenzione del Consiglio di Stato. Con ordinanza 8.1.2021 n. 313, la Sez. V – riscontrando un contrasto giurisprudenziale sul punto – rimetteva la questione all’Adunanza Plenaria. Il Supremo consesso amministrativo, prima di entrare nel merito della questione, richiamava, brevemente, gli orientamenti contrapposti, evidenziando che:

- l’indirizzo favorevole alla partecipazione alle gare di appalto da parte dei soggetti che presentino domanda di concordato si fonda sull’effetto prenotativo della domanda medesima nonché sulle finalità protettive dell’istituto in commento;

- di contro, l’indirizzo restrittivo – secondo il quale deve essere escluso dalle procedure di gara chi presenti domanda di concordato in bianco – prendeva le mosse da un duplice presupposto, ossia: a) con la presentazione della domanda di concordato in bianco vengono meno i requisiti di affidabilità (ossia quelli di cui all’articolo 80 Codice dei contratti pubblici); b1) la partecipazione alla gara è atto di straordinaria amministrazione – quindi autorizzabile, ai sensi dell’articolo 161, comma 6, legge fallimentare, solo se urgente; b2) con la presentazione della domanda di concordato in bianco si apre dunque una fase caratterizzata da una incertezza che mal si concilia con l’istituto del concordato con continuità aziendale – unico istituto ritenuto, ex articolo 80, comma 5, lettera b), Codice dei contratti pubblici, eccezione alla regola che sancisce l’esclusione di quegli operatori che si trovino in condizioni di insolvenza.

Per risolvere il contrasto così descritto, l’Adunanza Plenaria osserva che:

1) dal dato testuale della disciplina originariamente vigente emerge un ostacolo alla partecipazione alle procedure di appalto pubbliche per chi abbia presentato domanda di concordato in bianco o, più in generale, domanda di concordato preventivo ai sensi dell’articolo 161 del codice fallimentare – concordato al quale non sia ancora stato ammesso;

2) l’evolversi della normativa conduce tuttavia a ritenere – anche alla luce del richiamo che il citato articolo 80, comma 5, lettera b) Codice dei contratti pubblici fa all’articolo 186 bis della legge fallimentare – che, ai sensi del novellato articolo 110, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, ai soggetti che presentino domanda di concordato in bianco (ex articolo 161, comma 6, legge fallimentare) si applica il citato articolo 186 bis e che, per la partecipazione alle gare, tra il momento della domanda di concordato e quello dell’emissione del decreto di ammissione, si renda necessario il ricorso all’avvalimento dei requisiti di un terzo soggetto;

3) la presentazione di domanda di concordato in bianco ex articolo 161, comma 6, legge fallimentare, non fa venir meno i requisiti necessari per presentare domanda di partecipazione alle gare di appalto pubbliche, ostando a tale possibilità non solo il succitato articolo 186 bis ma anche la natura stessa dell’istituto del concordato – che, come evidenziato dall’articolo 372 D.Lgs 12 gennaio 2019 n. 14 (c.d. Codice delle crisi d’impresa), è strumento volto a tutelare l’attività imprenditoriale (sicché non può ex abrupto tradursi in un ostacolo alla stessa).

Tanto sopra premesso, l’Adunanza Plenaria conclude quindi che, di per sé, la presentazione di domanda di concordato in bianco o con riserva non costituisce motivo sufficiente per disporre l’esclusione dalla procedura di gara dell’operatore che vi ricorra, in quanto sarà compito del giudice fallimentare – in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’articolo 186 bis – valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione della continuità aziendale. Con l’ulteriore precisazione che, in caso di partecipazione a gare da parte di soggetto in condizioni di concordato in bianco o con riserva, questi dovrà essere autorizzato dal giudice fallimentare – autorizzazione che dovrà, comunque e in ogni caso, essere emessa entro e non oltre la conclusione della procedura di gara (ossia non più tardi del momento in cui la stazione appaltante si determini ad aggiudicare la gara).

(Cons. St., Ad. Plen., 27.5.2021 n. 11)


Aumento costi causa covid-19 e anticipazione del prezzo negli appalti pubblici tra facoltà della stazione appaltante e “vorrei ma non posso” del Legislatore.

Aumento costi causa covid-19 e anticipazione del prezzo negli appalti pubblici: tra facoltà della stazione appaltante e “vorrei ma non posso” del Legislatore.

Aumento costi causa covid-19 e anticipazione del prezzo negli appalti pubblici tra facoltà della stazione appaltante e “vorrei ma non posso” del Legislatore.I temi aumento dei costi (extra covid-19) e anticipazione del prezzo negli appalti pubblici sono temi caldi in questo momento storico.

La normativa emergenziale che ha cercato di far fronte alle circostanze sopravvenute in relazione all’esecuzione e alla stipula dei contratti di appalto pubblico comincia a trovare una propria interpretazione anche a livello giurisprudenziale.

Una recente sentenza del TAR Milano ha fatto chiarezza su alcune delle norme maggiormente significative, coniate dal legislatore proprio per cercare di contenere lo shock economico e patrimoniale delle imprese. Tra queste:

  • L’art. 207 del D.L. n. 34/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 77/2020, che ha innalzato la percentuale dell’anticipazione del prezzo dal 20% al 30%;
  • L’art. 91 del D.L. n. 18/2020, che all'art. 3 del D.L. n. 6/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 13/2020, che ha inserito il comma 6-bis, secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”;
  • L’art. 8, comma 4, lett. b) del D.L. n. 76/2020, convertito con modifiche dalla L. n. 120/2020 che prevede il riconoscimento, per i lavori in corso di esecuzione al 16.7.2020, dei maggiori costi derivanti dall’adeguamento e dall’integrazione del piano di sicurezza e coordinamento ai fini del rispetto delle misure di contenimento dettate dalla normativa emergenziale, da rimborsarsi in occasione del primo SAL successivo all’approvazione dell’aggiornamento del piano di sicurezza e coordinamento recante la quantificazione degli oneri aggiuntivi.

La controversia sottoposta all’attenzione del TAR Milano origina nell’ambito di una gara per la realizzazione di una scuola, per cui la società ricorrente era risultata aggiudicataria nel febbraio 2020, ben prima del lockdown disposto causa covid-19.

Nelle more della stipula del contratto, la società aveva richiesto di inserire nella bozza del contratto la previsione di cui all’art. 207 del D.L. n. 34/2020, e dunque l’anticipazione del prezzo del contratto pari al 30%, nonché il riconoscimento di ulteriori costi per la sicurezza, così come previsti dall’art. 8, comma 4 lett. b) del D.L. n. 76/2020.

Nel novembre 2020, periodo in cui come è noto si è registrato un significativo aumento dei costi, in particolare, dell’acciaio, non essendo intervenuta la stipula del contratto, la ricorrente aveva proceduto a comunicare alla stazione appaltante lo scioglimento del vincolo contrattuale ex art. 32 comma 8 d.lgs. 50/2016, proprio in considerazione dell’alterazione economico-finanziaria derivante dall’emissione dei nuovi provvedimenti per contenere l’aumento dei contagi da covid-19.

In conseguenza di ciò, la stazione appaltante aveva revocato in autotutela l’aggiudicazione, procedendo altresì ad incamerare la cauzione provvisoria, a richiedere il rimborso delle spese per la pubblicazione e ad inoltrare una segnalazione all’ANAC.

Il ricorso della ricorrente si incentra proprio sull’asserita illiceità dell’operato dell’amministrazione, la quale non ha dato seguito alla richiesta dell’aggiudicataria di inserire nel contratto le nuove previsioni sancite dalla normativa emergenziale, ossia l’innalzamento dell’anticipazione dal 20% al 30% e il riconoscimento di ulteriori costi per la sicurezza.

Sul punto il TAR Milano ha stabilito che la corresponsione dell’importo dell’anticipazione del prezzo al 30% non si configura come un diritto dell’operatore economico, bensì come una facoltà esercitabile esclusivamente dalla stazione appaltante.

Secondo il Collegio, dunque, il testo dell’art. 207 sarebbe chiaro nell’attribuire discrezionalità alla stazione appaltante, posto che l’importo percentuale di anticipazione “può essere incrementato (e non deve)…nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione”.

Ad avviso di chi scrive, l’interpretazione fornita dal TAR, sebbene in linea con il dato letterale della norma (si poteva fare di più), sembrerebbe confermare il “vorrei ma non posso” che ha ispirato il legislatore nella redazione della normativa emergenziale ossia il rilancio dell’economia e delle imprese.

Il TAR, nel confermare la legittimità dell’operato della stazione appaltante, che aveva proceduto con la revoca dell’aggiudicazione solo a fronte della richiesta (legittima) di scioglimento del vincolo contrattuale, ha sottolineato come la ricorrente non fosse stata in grado di provare in che modo la mancata tempestiva disponibilità delle maggiori somme avesse di fatto reso antieconomica la stipulazione del contratto.

Il tutto secondo i giudici ha a che vedere con la mancata prova del danno subito dall’impresa.

Con riferimento ai maggiori costi derivanti dall'adeguamento e dall'integrazione del piano di sicurezza e coordinamento, i giudici hanno ritenuto non applicabile al caso di specie il comma 4 dell’art. 8 del decreto Semplificazioni poiché la norma subordina il riconoscimento di maggiori costi “ai lavori in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore” del D.L. n. 76/2020, e cioè, al 16.7.2020, mentre in questo caso la richiesta della società ricorrente faceva riferimento a lavori non ancora iniziati.

Con riferimento infine alla clausola di esonero di responsabilità di cui al comma 6-bis della L. n. 13/2020, idonea, a parere della ricorrente, a paralizzare ogni pretesa azione risarcitoria della stazione appaltante, nonché l’illegittimità di tutti i provvedimenti consequenziali, i Giudici si sono espressi ponendo al centro della propria decisione l’elemento probatorio.

Il Collegio ha riscontrato che la ricorrente si era limitata a richiamare, del tutto genericamente, lo stato di emergenza sanitaria, senza fornire alcun dato obiettivo da cui potersi desumere, in conseguenza dell’emergenza covid-19, un peggioramento della propria condizione patrimoniale idonea a precluderle l’esecuzione del contratto.

Precisa il Collegio, che in ossequio al principio generale secondo cui ciascuna delle parti ha l’onere di provare i fatti che allega e dai quali pretende di far derivare conseguenze giuridiche a suo favore, l’art. 3, comma 6-bis della L. n. 13/2020 impone alla parte che ne invoca l’applicazione l’onere di provare l'eccessiva onerosità sopravvenuta che ha alterato il rapporto di proporzionalità tra le reciproche prestazioni.

In definitiva, il TAR Milano ha ritenuto ingiustificato il rifiuto alla stipula del contratto della società ricorrente e, dunque, corretto l’operato della stazione appaltante che aveva proceduto a revocare l’aggiudicazione e a porre in essere i relativi atti consequenziali.

(TAR Lombardia Milano, Sez. I, 27.4.2021, n. 1052)


Appalto pubblico. Mancata allegazione dichiarazione di impegno a costituire RTI: corretto escludere?

Mancata allegazione dichiarazione di impegno a costituire RTI corretto escludereÈ legittima nell'appalto pubblico l’esclusione motivata, da un lato, con la mancata produzione della dichiarazione di impegno a costituire un RTI da parte degli operatori partecipanti, dall’altro con la mancata indicazione delle percentuali di esecuzione che avrebbero svolto, rispettivamente, la mandataria e la mandante? È questo il quesito cui fornisce risposta, con la pronuncia in commento, il TAR marchigiano.

Questi i fatti, in estrema sintesi. Due imprese – che partecipavano in forma associata (mediante RTI) ad una procedura per la fornitura e la manutenzione evolutiva, correttiva ed ordinaria di un impianto di telefonia – venivano escluse in quanto non inserivano nella busta della documentazione amministrativa la dichiarazione di impegno a costituire un RTI nel caso in cui fossero risultati aggiudicatari.

Ritenendo l’esclusione illegittima, il concorrente estromesso adiva il TAR argomentando che:

- l’esclusione era disposta per il solo fatto che le imprese costituenti il raggruppamento non avevano prodotto – come dichiarato dalla stazione appaltante nel relativo provvedimento – “la dichiarazione di impegno a costituire il raggruppamento di concorrenti, così come prescritto al p.to 14 del Disciplinare di gara 05.01.2021”;

- la mancata produzione della dichiarazione in questione è una carenza meramente formale, sicché la stazione appaltante avrebbe dovuto consentirne la regolarizzazione mediante ricorso all’istituto del soccorso istruttorio, atteso che tale carenza non ingenerava incertezze riguardo alla provenienza dell’offerta e alla serietà della medesima;

- la volontà del concorrente di partecipare alla gara mediante un RTI, peraltro, emergeva in maniera chiara ed inequivoca dalla documentazione inserita all’interno della busta c.d. amministrativa – tra i vari documenti da cui emergeva tale volontà, è sufficiente ricordare il DGUE ed il PassOE;

- la stazione appaltante era consapevole del fatto che le imprese escluse avevano intenzione di partecipare alla gara d’appalto con la costituzione di un RTI: la prova è nella circostanza che la determina di esclusione veniva inviata sia alla mandataria che alla mandante;

- ne deriva, essendo pacifica la natura meramente formale della carenza citata, che la stazione appaltante avrebbe dovuto attivare il soccorso istruttorio – così consentendo all’operatore economico partecipante di sanare la richiamata carenza documentale.

Costituendosi, la stazione appaltante ribatteva che l’omissione della dichiarazione in questione non aveva valenza meramente formale: in tale dichiarazione, infatti, le parti dovevano indicare, le quote di prestazioni che, in caso di aggiudicazione, sarebbero state eseguite, rispettivamente, dalla mandataria e dalla mandante (indicazione, questa, che è parte integrante dell’offerta, quindi non sanabile mediante soccorso istruttorio – come affermato dall’Ad. Plen., nn. 22 e 26 del 2012).

Nell’accogliere il ricorso, il Collegio statuiva che:

  1. la circostanza – indicata nella lex di gara – che la dichiarazione di impegno a costituire l’RTI (in caso di partecipazione in forma associata) doveva essere inserita nella busta contenente la documentazione amministrativa indicava che la stazione appaltante, implicitamente, ammetteva la sanabilità, mediante soccorso istruttorio, delle omissioni o incompletezze della documentazione ivi inserita;
  2. è la stessa commissione di gara, peraltro, a riconoscere che, dalla documentazione inserita nella busta amministrativa, emerge in maniera inequivoca che dette imprese intendevano partecipare alla procedura mediante RTI;
  3. la censura circa la mancata indicazione delle quote di esecuzione delle lavorazioni veniva mossa, osserva il TAR, dalla resistente solo al momento della costituzione in giudizio – nel provvedimento di esclusione si faceva solamente riferimento alla mancata produzione della dichiarazione di impegno;
  4. l’indicazione delle parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori costituenti il RTI è elemento che attiene – ex articolo 48 Codice – all’offerta: per tale ragione, è nulla – ex articolo 83, comma 8 penultimo ed ultimo periodo, Codice – la lex di gara, nella parte in cui prevede che le quote di esecuzione dovessero essere contenute nella domanda di partecipazione e nella documentazione ad essa afferente.

Conclusivamente, il Collegio osserva che:

“- la dichiarazione di impegno a costituire l’a.t.i. era acquisibile mediante attivazione del soccorso istruttorio, visto che dal complesso della documentazione amministrativa presentata e verificata dal seggio di gara emergeva in modo inequivoco la volontà (…) di partecipare in a.t.i.;

- l’indicazione delle parti della fornitura e del servizio di rispettiva competenza delle due imprese è stata invece resa in seno all’offerta tecnica (…) per cui da un lato non può dirsi che si sia in presenza di una situazione di incertezza circa il contenuto e/o la serietà dell’offerta, dall’altro lato non vi era al riguardo alcunché da sanare o regolarizzare”.

(TAR Marche Ancona, Sez. I, 30.4.2021, n. 375)


Omissione cronoprogramma in appalto di servizi legittimo escludere

Omissione cronoprogramma in appalto di servizi: legittimo escludere?

Omissione cronoprogramma in appalto di servizi legittimo escludereÈ legittimo escludere un operatore economico da una gara per l’affidamento di un servizio di pulizia per omissione – contravvenendo alla lex di gara – del cronoprogramma? A questa domanda fornisce risposta, con la segnalata pronuncia, il TAR palermitano.

Questi i fatti. Un’impresa veniva esclusa dalla procedura perché, ad avviso della stazione appaltante, non aveva allegato il cronoprogramma all’offerta tecnica, così come previsto dalla lex specialis di gara.

Lamentando l’illegittimità dell’esclusione – fondata, secondo l’operatore escluso, su prescrizioni di gara in contrasto con il dettato del Codice – l’impresa adiva il TAR argomentando, in estrema sintesi, che la disposizione del disciplinare di gara legittimante l’esclusione di chi non avesse prodotto il cronoprogramma in allegato all’offerta tecnica era in contrasto con il dettato dell’articolo 83, comma 8 Codice.

Il Collegio, nel ritenere fondato il ricorso, osserva che:

- dalla lettura delle disposizioni di gara, in combinato tra loro, emerge che i partecipanti erano tenuti, a pena di esclusione, ad inserire all’interno della busta contenente l’offerta tecnica una relazione tecnica cui dovevano allegare il cronoprogramma – che non andava, dunque, considerato, autonomo atto di gara;

- tale prescrizione, tuttavia, risulta in contrasto – come eccepito dal ricorrente – con la disposizione di cui all’articolo 83, comma 8, Codice – a mente del quale “I bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”;

- ne deriva che “La necessaria produzione, a pena di esclusione, di un cronoprogramma, che debba essere allegato da ciascun operatore economico, al fine di indicare “le tempistiche di avvio e messa a regime di tutti i servizi richiesti”, invero, non trova fondamento in alcuna previsione normativa” – con l’ulteriore precisazione che “Il cronoprogramma (…) non ha ragion d’essere per un servizio”.

Tanto premesso – e ricordato che, pur essendo consentito alle stazioni appaltanti disporre ulteriori limitazioni alla partecipazione, non è comunque loro consentito “imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara” - il Collegio conclude che “L’invalidità per contrasto con l’art.83 co. 8 cit., da cui è affetta la previsione in esame, deve intendersi come nullità in senso tecnico (…); la nullità della clausola, dunque, da un lato, non si estende al bando nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), dall’altro impedisce all’amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi. Deve quindi dichiararsi la nullità delle esaminate disposizioni di gara, nella parte in cui prevedono la produzione agli atti di gara di un cronoprogramma, nei termini sopra descritti, a pena di esclusione”.

(TAR Sicilia Palermo, Sez. II, 19.4.2021 n. 1255)

 


Soccorso istruttorio superfluo esclusione illegittima.

Soccorso istruttorio superfluo: esclusione illegittima.

Soccorso istruttorio superfluo esclusione illegittima.Quali conseguenze comporta la mancata ottemperanza, da parte dell’operatore economico, al soccorso istruttorio attivato dalla stazione appaltante, nel caso in cui l’istituto in questione risulti superfluo – e, dunque, il mancato adempimento allo stesso risulti, di fatto, irrilevante?

Durante una procedura per l’affidamento, ex art. 36, comma 2, Codice, del contratto per la fornitura di arredi e tecnologie multimediali, una delle partecipanti, inizialmente ammessa con riserva, era destinataria di una comunicazione con cui veniva informata dell’attivazione del soccorso istruttorio, motivata con il fatto che l’operatore in questione non aveva dichiarato, nella domanda di partecipazione. gli importi relativi ai requisiti di capacità economica e finanziaria.

Accadeva, però, che detto operatore non prendeva visione della comunicazione dell’attivato soccorso istruttorio né faceva seguito alla richiesta, venendo pertanto escluso dalla gara.

La società, pertanto, contestava la legittimità dell’esclusione – con istanza trasmessa in pari data alla comunicazione del provvedimento espulsivo – nonché, in seguito, invitava l’amministrazione a rivedere le determinazioni assunte in merito all’aggiudicazione. Entrambe le istanze, tuttavia, non producevano alcun risultato, venendo infatti respinte dalla stazione appaltante.

Di conseguenza, l’operatore adiva il giudice amministrativo, davanti al quale lamentava che: a) l’esclusione disposta dalla stazione appaltante era viziata da illegittimità, in quanto i requisiti – ritenuti omessi – erano stati, in realtà, correttamente dichiarati; b) la lex di gara prevedeva la comunicazione dell’avvio del soccorso istruttorio a mezzo pec, sicché non era legittima la comunicazione attraverso inserimento della stessa sul portale MEPA.

Costituendosi, l’amministrazione ribadiva la correttezza del proprio operato – ossia la necessità di ricorrere al soccorso istruttorio stante l’omessa indicazione dei prescritti requisiti economico-finanziari - ed evidenziando che, sebbene fosse vero che la pec era indicata come mezzo di comunicazione, il ricorso a tale strumento era obbligatorio solo per alcune categorie di comunicazioni – tra cui non rientrava quella relativa al succitato soccorso istruttorio.

Il Collegio, disattendendo le argomentazioni della resistente, accoglieva il ricorso. Premessa l’assoluta illegittimità dell’esclusione – illegittimità già dichiarata in sede cautelare – il TAR - richiamato il disciplinare di gara, che prevedeva le modalità di indicazione dei suddetti requisiti economico-finanziari – statuiva che l’operatore aveva correttamente adempiuto a tale obbligo. Ciò premesso, il Collegio concludeva che “Resta, pertanto, ignota la ragione del soccorso istruttorio, rivelatosi privo di fondamento, essendo stati soddisfatti pienamente i requisiti dichiarativi richiesti dal bando. Ne consegue che l’integrazione dichiarativa è stata erroneamente richiesta ed il suo mancato adempimento è del tutto irrilevante, perché a monte l’Ente non avrebbe dovuto procedere ad alcuna attivazione del soccorso istruttorio che, essendo superfluo, non può produrre alcuna conseguenza in caso di inosservanza”.

(TAR Puglia Bari, Sez. I, 5.2.2021, n. 243)