La tutela delle acque destinate al consumo umano: verso una nuova primavera.

Il 21 marzo è noto per essere il primo giorno di primavera, anche se quest'anno l'equinozio (ovvero quel momento della rivoluzione terrestre intorno al sole in cui quest'ultimo si trova allo zenit dell'equatore fonte Wikpedia.it) cadrà con un giorno d'anticipo, come gli anni pregressi.

Per i più attenti osservatori, il 21 marzo 2023 rappresenterà non solo il primo giorno di primavera, ma una data importante per quella che si preannuncia la rinascita della disciplina della tutela delle acque destinate al consumo umano.

La tematica della disciplina delle acque, in generale, negli ultimi anni ha assunto un ruolo fondamentale all'interno della questione ambientale, intesa in senso trasversale, non solo a causa dei cambiamenti climatici (e dello scioglimento dei ghiacciai) che provocano impatti pregiudizievoli sulle attività umane, ma anche in termini di riconoscimento di un diritto, quello universale a fruire di acqua potabile pulita e di servizi igienici - sanitari, che per molti potrebbe apparire una problematica inesistente.

Non a caso è nata, nel 2012, un'iniziativa a livello europeo denominata "Right2water" con l'obiettivo principale di esortare la Commissione europea a proporre una normativa che sancisse il diritto umano universale all'acqua potabile e ai servizi annessi, come ampiamente riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Il Parlamento europeo ed il Consiglio, sulla scia di tale iniziativa, hanno adottato la direttiva 2020/2184 del 16 dicembre 2020, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, individuando alcune aree suscettibili di idonea tutela ovvero quella dello scarso ricorso ad un approccio basato sul rischio e la mancanza di specifiche informazioni verso i consumatori finali.

In attuazione degli obblighi sovranazionali, il 6 marzo 2023 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 55 il decreto legislativo 23 febbraio 2023, n. 18, rubricato "Attuazione della direttiva (UE) 2020/2184 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2020, concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano" che entrerà in vigore il 21 marzo 2023.

Gli obiettivi del decreto sono la protezione della salute umana dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque destinate al consumo umano, assicurando che le acque siano salubri e pulite, nonché il miglioramento dell'accesso alle acque destinate al consumo umano.

Tra le principali novità si segnalano:

  • la previsione di obblighi generali per la promozione e la tutela delle acque destinate al consuma umano, le quali devono essere "salubri e pulite";
  • l'introduzione di criteri atti a garantire la salubrità e la pulizia delle acque, specie per i gestori del sistema di distribuzione;
  • la previsione di controlli e obblighi per l'approccio alla sicurezza dell'acqua basato sul rischio;
  • l'introduzione di requisiti minimi per i materiali che entrano a contatto con le acque destinate al consumo umano;
  • un sistema di controlli, interni ed esterni;
  • la ridefinizione del ruolo degli enti sub-statali per garantire e migliorare l'accesso universale alle acque destinate al consumo umano;
  • gli obblighi informativi nei confronti dei cittadini;
  • l'istituzione di organismi di sorveglianza;
  • l'introduzione di un sistema sanzionatorio.

Potrebbe apparire alquanto superfluo che nel 2023 si discuta su una questione, quella della disciplina dell'acqua, che per molti è inesistente; se osservassimo la problematica da un'altra prospettiva, invece, ci renderemo conto che l'Italia è fortemente in ritardo nell'attuazione degli obblighi che derivano dalla normativa sovranazionale, non a caso l'attuazione della direttiva UE 2020/2184 è avvenuta con un ritardo di almeno tre anni nonostante la peculiarità della materia che, sotto molti aspetti, rappresenta il fulcro vitale dell'esistenza umana e un mezzo di tutela della salute umana.

Con questo approccio si potrebbe dunque affermare che la scelta operata dal legislatore circa l'entrata in vigore del decreto legislativo il 21 marzo 2023 non è casuale, bensì rappresenta un gesto "nobile" verso una nuova primavera di tutela del bene fondamentale dell'acqua.


Incremento premiale del quinto SOA: istruzioni per l'uso.

Ogni qualvolta si è in presenza di un contrasto giurisprudenziale circa l'interpretazione di una previsione normativa di carattere amministrativo, le cui controversie sono devolute alla giurisdizione del Giudice amministrativo, il Consiglio di Stato si riunisce in seduta plenaria al fine di dar attuazione alla cd. "funzione nomofilattica".

Si potrebbe dire, dunque, che ogni qualvolta che l'Adunanza plenaria si esprima su una questione controversia, si attribuisce certezza e stabilità ad un determinato concetto giuridico che, in precedenza, risultava oggetto di interpretazioni contrastanti.

Nel caso che qui si esamina, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta a dirimere un contrasto giurisprudenziale riguardante il beneficio dell'incremento del quinto delle qualificazioni dei lavori pubblici.

La questione è stata affrontata più volte dal Giudice amministrativo; basti pensare che in questa precedente news abbiamo esaminato un caso sottoposto al Tar delle Marche riguardante la modalità applicativa e di calcolo del beneficio in caso di partecipazione di un operatore economico mediante raggruppamento temporaneo.

Il tema della modalità di calcolo nell'ipotesi in cui la partecipazione a gara avviene tramite identità plurisoggettiva è al centro anche del caso esaminato dall'Adunanza plenaria, a dimostrazione della complessità della questione.

Il caso qui esaminato, prescindendo dalla singolarità della lite insorta, verte dunque sulle modalità applicative dell'istituto dell'incremento premiale del quinto nei raggruppamenti.

Si consideri che l'istituto del quinto trae origine dall’art. 61, comma 2, d.P.R. n. 207/2010 e s.m.i., il quale prevede che "la qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto;  nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si applica con riferimento a ciascuna impresa  raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la disposizione non si applica alla mandataria ai fini del conseguimento del requisito minimo di cui all’articolo 92, comma 2".

La previsione, tuttora vigente, nel cristallizzare un lungo percorso normativo e giurisprudenziale, ha inteso individuare nella stessa disposizione le due distinte regole, relative, la prima, all’impresa singola e, la seconda, al raggruppamento di imprese.

Si è costantemente osservato che la funzione della prima regola – secondo cui la qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto – è quella di evitare che l’apertura al mercato degli appalti comunitari alle piccole e medie imprese possa attuarsi con pregiudizio delle condizioni basilari di affidabilità tecnica e finanziaria di ciascuna struttura aziendale e si traduce nell’apposizione di un limite alle capacità e dimensioni della singola impresa.

Viceversa, la funzione della seconda regola – secondo cui, in caso di imprese raggruppate o consorziate, il beneficio dell’aumento del quinto si applica a condizione che l’impresa si qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara – è quella di garantire l’amministrazione che la pur necessaria suddivisione dei compiti, congeniale allo strumento del raggruppamento di imprese, non comprometta la complessiva efficienza ed adeguatezza della più vasta aggregazione imprenditoriale aggiudicataria dell’appalto, la quale deve offrire, nel sistema di qualifica affidato all’iscrizione all’albo costruttori, una classifica totale almeno pari a quella dell’importo dei lavori affidati.

La problematica che qui si affronta attiene all'applicazione dell'istituto ai raggruppamenti di imprese di tipo misto.

Il quesito posto al Supremo Consesso amministrativo, infatti, viene formulato nei seguenti termini: "... lo stesso art. 61, comma 2, nella parte in cui prevede, quale condizione per l’attribuzione, ai fini della qualificazione per la categoria di lavori richiesta dalla documentazione di gara, del beneficio  dell’incremento del quinto, che ciascuna delle imprese concorrenti in forma di raggruppamento temporaneo, il presupposto della sussistenza, per ciascuna delle imprese aggregate, di una qualificazione «per una classifica pari ad almeno un quinto dell'importo dei lavori a base di gara», si interpreti, nella specifica ipotesi di partecipazione come raggruppamento c.d. misto, nel senso che tale importo a base di gara debba, in ogni caso, essere riferito al valore complessivo del contratto ovvero debba riferirsi ai singoli importi della categoria prevalente e delle altre categorie scorporabili della gara ..." (Cons. St. Ad. Plen., 13 gennaio 2023, n. 2).

Per poter comprendere l'attualità della problematica ed il principio espresso dall'Adunanza plenaria, occorre muovere dal presupposto logico secondo il quale il beneficio del quinto pone delle problematiche di carattere operativo in quanto è un istituto che indebolisce le garanzie di affidabilità e professionalità collegate alla griglia delle attestazioni SOA, perché permette di eseguire lavori oltre la qualificazione posseduta.

Nel risolvere il contrasto giurisprudenziale, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che con riferimento all’interpretazione dell’art. 61, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010, debba rispondersi che, in caso di raggruppamento c.d. misto, tale importo a base di gara debba riferirsi ai singoli importi della categoria prevalente e delle altre categorie scorporabili della gara.

Nel ricostruire il percorso evolutivo che ha caratterizzato la partecipazione a gara mediante raggruppamenti temporanei, l'Adunanza plenaria ha chiarito che il raggruppamento cd. “misto”  consiste "... in una forma di associazione verticale al cui interno sono presenti – in ragione della eterogeneità dei lavori oggetto dell’affidamento, in cui vengono in rilievo una pluralità di diverse categorie di lavorazioni oltre alla prevalente – sub-raggruppamenti orizzontali (art. 48, comma 6, ad finem del d. lgs. n. 50 del 2016)" (Cons. St. Ad. Plen., 2/2023).

Secondo il ragionamento operato dall'Adunanza plenaria, gli orientamenti oggi esistenti non possono essere condivisi nella misura in cui muovono dal presupposto – non previsto da alcuna disposizione di legge - secondo cui, al cospetto di un raggruppamento misto, bisognerebbe aver riguardo alla base d’asta comprensiva di tutti i lavori, anche appartenenti a categorie eterogenee, al fine di determinare se l’impresa appartenente al sub-raggruppamento orizzontale possa ritenersi qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei “lavori a base d’asta” e porre al denominatore il complesso di tutti i lavori posti a base d’asta.

Il principio così espresso dall'Adunanza plenaria si pone nei seguenti termini "la disposizione dell’art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010, laddove prevede, per il raggruppamento c.d. orizzontale, che l’incremento premiale del quinto si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara, si applica anche, per il raggruppamento c.d. misto, alle imprese del singolo sub-raggruppamento orizzontale per l’importo dei lavori della categoria prevalente o della categoria scorporata a base di gara".

Si tratta, certamente, di una pronuncia che finalmente chiarisce che nei raggruppamenti di tipo misto l'incremento del quinto (e la relativa base di calcolo) soggiace a delle regole ben precise che muovono dai singoli importi della categoria prevalente ovvero da quella scorporata; certamente, una pronuncia che non fa che valorizzare la ratio dell'istituto che ben si coniuga con la finalità pro-concorrenziale della partecipazione a gara delle piccole e medie imprese.

(Cons. St. Ad. Plen., 13 gennaio 2023, n. 2)


Il diritto dei singoli all'ambiente salubre: le prospettive di tutela (negate).

Il diritto ad un ambiente salubre rappresenta sempre più un fattore che condiziona le scelte quotidiane su più livelli; non a caso la materia ambientale si pone al centro dell'attenzione dinanzi, sia alle corti di giustizia degli Stati membri, sia alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

Si è costantemente affermato che la trasformazione dell'ambiente assume un ruolo decisivo nel modello di sviluppo economico, specie nei processi di globalizzazione.

In tal contesto, il diritto dell'ambiente deve tener conto del diritto internazionale e dei profili del diritto interno poiché l'ambiente, nella sua accezione classica, da luogo a competenze trasversali.

Dinanzi al giudice amministrativo, in particolare, la tutela dell'ambiente ha ricevuto un'attenzione specifica, specie allorquando l'interesse ambientale diviene motivo per agire in giudizio avverso i pregiudizi dovuti alle attività e alle iniziative economiche, come abbiamo precedentemente illustrato in questa news sul tema molto frequente dell'abbandono dei rifiuti. (qui il link).

Qualche giorno fa, sul portale della giustizia amministrativa, è stato pubblicato un autorevole contributo dal titolo eloquente: "Il diritto a respirare aria pulita non supera l'esame dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea".

Prescindendo dal ruolo chiave che negli ultimi anni ha assunto la Corte di giustizia nel processo di attuazione di una forma di cooperazione giudiziaria diretta a garantire l'interpretazione uniforme delle norme all'interno del territorio dell'Unione, comprese quelle attinenti al diritto dell'ambiente, il contributo pubblicato si sofferma su un tema sempre più attuale poiché relativo ad una vicenda relativa alla risarcibilità dei danni derivanti dalla violazione del diritto dell'Unione.

Il contributo appare di rilievo laddove, grazie alla problematica ambientale, si affrontano in chiave ricostruttiva le tappe più significative del percorso giurisprudenziale che hanno condotto a delineare i tratti essenziali delle condizioni minime per l'ottenimento del ristoro ove si ravvisino profili di responsabilità a carico dello Stato.

La sentenza esaminata nel contributo in commento è resa dalla Corte di Giustizia (Grande Sezione) in data 22 dicembre 2022 C-61/21 ed affronta un caso di responsabilità dello stato per l'inquinamento dell'aria, all'esito del quale la Corte ha sancito il principio per il quale le direttive europee che stabiliscono norme per la qualità dell'aria ambiente non sono, in quanto tali, preordinate a conferire ai singoli diritti la cui violazione possa dare loro diritto a un risarcimento.

La direttiva in questione è la 2008/50/CE, la quale, secondo la prospettazione della parte ricorrente, era da interpretare nel senso che essa attribuisce ai singoli, in caso di violazione sufficientemente qualificata da parte di uno Stato membro, degli obblighi che derivano da tale atto, un diritto ad ottenere dal medesimo Stato il risarcimento dei danni causati alla loro salute che presentano un nesso di causalità diretto e certo con il deterioramento della qualità dell'aria.

La Corte adita, tuttavia, con condivide l'impianto interpretativo.

Come condivisibilmente osservato dall'autore del contributo, "la questione non rappresenta una novità assoluta. Essa si pone nel solco di una serie di <<liti strategiche>> davanti agli organi giurisdizionali di vari Paesi europei, nelle quali lo Stato è stato chiamato quale responsabile della tutela dell'ambiente, spesso nella prospettiva di pervenire i cambiamenti climatici. In sostanza queste pronunce hanno finito per ribadire l'obbligo dello Stato di adottare le misure necessarie a ridurre il livello di inquinamento, ancorandolo perlopiù al rispetto dei valori-limite fissati per l'emissione di sostanze nocive nelle direttive dell'Unione Europea".

Da tale presupposto si ricava, confrontando le disposizioni normative, che lo Stato è tenuto innanzitutto a rimuovere le cause dell'accertata lesione attraverso misure generali o individuali; solo secondariamente ed eventualmente, qualora l'accertamento della violazione non sia ritenuto sufficiente, al pagamento di un ristoro equitativamente determinato.

Tale compensazione, prosegue l'autore del contributo, "svolge un ruolo integrativo e sussidiario"; il principio che si ricava dalla pronuncia è il seguente: "la disciplina europea applicabile non è preordinata a conferire diritti ai singoli in relazione ai quali possa riconoscersi un risarcimento a carico dello Stato membro, a titolo di responsabilità per i danni causati da violazioni del diritto dell'Unione ad esso imputabili".

La sentenza ed il principio sopra richiamati consentono di svolgere alcune riflessioni relative al diritto interno.

La prima, che certamente permangono dubbi sulla reale portata del diritto all'ambiente, configurabile "d'incerta definizione", anche in termini di posizione giuridica soggettiva.

La seconda, che per i danni causati ai singoli il ruolo chiave è svolto da ciascuno Stato membro, nei confronti dei quali i soggetti interessati possono ottenere, eventualmente dinanzi alle Autorità giudiziarie competenti, l'adozione delle misure richieste dalle direttive europee, compresa la predisposizione di piani di tutela particolari.

(Adamo, Il diritto a respirare aria pulita non supera l’esame dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea)


La potestà legislativa in materia ambientale.

Recentemente l'art. 208 del Testo unico dell'ambiente, relativo al procedimento per il rilascio di provvedimenti autorizzativi per l'esercizio di attività nel settore ambientale, dei rifiuti in particolare, ha subito una battuta d'arresto non indifferente a causa di una pronuncia della Corte Costituzionale, cui la giurisprudenza amministrativa si è dovuta adeguare.

La complessità dell'argomento è stata oggetto di una precedente news consultabile a questo link.

Si consideri che l’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i. dispone che “i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso”.

La previsione normativa, dunque, attribuisce alle sole Regioni la competenza ad autorizzare la realizzazione di impianti di smaltimento rifiuti, ivi inclusi gli impianti di autodemolizione.

Nella prassi è accaduto che, all'indomani dell' entrata in vigore del Codice dell'ambiente, molte regioni abbiano delegato il rilascio dei titoli autorizzativi agli enti sub-statali, quali Province e, come la Regione Lazio, ai Comuni per le attività specifiche di approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e di smaltimento e recupero dei predetti rifiuti.

Con la sentenza n. 189/2021 pubblicata in Gazzetta Ufficiale in data 13 ottobre 2021, la Corte Costituzionale, nel dichiarare incostituzionale la normativa regionale (laziale, in particolare) che delegava ai Comuni la funzione amministrativa, ha, quindi, caducato con effetti erga omnes nonché retroattivamente - dal 29 aprile 2006, data di entrata in vigore del Codice dell’ambiente - la previsione normativa che assegna ai Comuni il potere di autorizzare l’attività di autodemolizione, degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in particolare.

Orbene, la pronuncia della Corte (consultabile integralmente a questo link) appare rilevante in quanto la Corte, ritenendo fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata, ha chiarito che "La potestà legislativa esclusiva nelle materie indicate nell’art.  117, secondo comma, Cost. comporta la legittimazione del solo legislatore nazionale a definire l’organizzazione delle  corrispondenti funzioni amministrative anche attraverso l’allocazione di competenze presso enti diversi dai Comuni – ai quali  devono ritenersi generalmente attribuite secondo il criterio espresso dall’art. 118, primo comma, Cost. – tutte le volte in cui l’esigenza di esercizio unitario della funzione trascenda tale ambito territoriale di governo. Il principio di legalità, quale canone fondante dello Stato di diritto, impone che le funzioni amministrative siano organizzate e regolate mediante un atto legislativo, la cui adozione non può che spettare all’ente – Stato o Regione, «secondo le rispettive competenze» (art. 118, secondo comma, Cost.) – che ha inteso dislocare la funzione amministrativa in deroga al criterio generale che ne predilige l’assegnazione al livello comunale".

Orbene, sulla base di tali premesse, il Giudice amministrativo laziale, interrogandosi sulla portata della pronuncia costituzionale intervenuta in materia, ha specificato che " Se, dunque, in linea generale, la legittimità di un provvedimento va verificata con riferimento alla normativa vigente alla data della sua emanazione, tuttavia, quando nel corso del giudizio sopraggiunga una sentenza di incostituzionalità della norma sulla cui base il provvedimento impugnato è stato adottato, lo stesso deve essere annullato, costituendo il sopravvenuto accertamento della incostituzionalità della norma profilo invalidante l’atto stesso".

In ragion delle deduzioni svolte, il Tar, dovendosi esprimere sulla richiesta risarcitoria avanzata dal ricorrente, ha concluso nei seguenti termini: "... sono riscontrabili i presupposti affinché questo Collegio accerti l’illegittimità del provvedimento gravato (sulla base della sentenza della Corte Costituzionale n. 189/2021), di autorizzazione provvisoria allo svolgimento dell’attività di autodemolizione, atteso che la presente controversia era ancora pendente alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale e la questione di costituzionalità è rilevante nel caso de quo in quanto finisce per investire la norma di legge regionale su cui poggia il provvedimento stesso ...".

Prescindendo dal contenuto proprio della pronuncia qui in commento, non può negarsi l'importanza della sentenza della Corte che giunge a ridefinire l'ambito dei procedimenti amministrativi ambientali in un contesto in cui le competenze dovrebbero essere allocate al soggetto pubblico immediatamente "prossimo" al cittadino/imprenditore, in luogo di quello regionale che, viceversa, potrebbe apparire "disattendo" agli aspetti ambientali intangibili della comunità locale.

(Tar Lazio Sez. II stralcio, 17 gennaio 2023, n. 850)


Gli appalti socialmente responsabili: le indicazioni operative di ANAC.

Gli appalti socialmente responsabili sono un tema più che attuale.

In materia di pari opportunità tra uomo e donna il legislatore nazionale, con il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, ha voluto riunire e coordinare in un unico testo normativo le disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso.

L'impianto normativo ha assunto le vesti di un vero e proprio codice denominato "Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246".

Si è trattato di un importante traguardo verso il godimento e l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile e in ogni campo con l'obiettivo di superare e rimuovere qualsivoglia forma di discriminazione.

A distanza di qualche anno, con la legge 5 novembre 2021, n. 162, sono state apportate modifiche al codice, specie per ciò che concerne la certificazione della parità di genere, prevista a decorrere dal 1 gennaio 2022 secondo un regime differenziato del numero degli occupati in aziende pubbliche e private. indispensabile "al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità".

Orbene, le previsioni normative non potevano produrre effetti nel settore degli appalti pubblici.

Per tale ragione, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, nell’esercizio delle attività istituzionali di competenza, ha ritenuto opportuno fornire indicazioni interpretative e suggerimenti specifici alle stazioni appaltanti per l’attuazione dell'obbligo da ultimo introdotto.

Ciò al fine di favorire la corretta ed uniforme applicazione della norma, con particolare riferimento al rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, conclamati dal legislatore.

L'Autorità ha osservato che la disposizione in esame costituisce attuazione della normativa comunitaria e nazionale sugli appalti socialmente responsabili che mira al conseguimento di impatti sociali positivi nei contratti pubblici, promuovendo opportunità di lavoro, il miglioramento del livello di competenze e la riqualificazione della forza lavoro, condizioni di lavoro dignitose, l’inclusione sociale, la parità di genere e la non discriminazione, l’accessibilità, il commercio etico, nonché un più ampio rispetto degli standard sociali.

L’articolo 5 della legge 162/2021 stabilisce che "Compatibilmente con il diritto dell'Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, le amministrazioni aggiudicatrici indicano nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti relativi a procedure per l'acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell'offerta in relazione al possesso da parte delle aziende private, alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, della certificazione della parità di genere".

La previsione si inserisce, dunque, anche all'interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, essendo previsto un esplicito rafforzamento del sistema di certificazione della parità di genere mediante l'introduzione di alcuni correttivi al codice dei contratti pubblici.

In particolare:
a) all’articolo 93, comma 7, si prevede che il possesso della certificazione della parità di genere è tra le condizioni per  l’ottenimento della riduzione del 30 per cento dell’importo della garanzia provvisoria, nei contratti di servizi e forniture;
b) all’articolo 95, comma 13, è prevista l'adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere di cui all'articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 tra le circostanze che consentono l’attribuzione di un maggior punteggio in sede di valutazione dell’offerta.
Sulla base di tali previsioni, l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha osservato che "le stazioni appaltanti dovranno indicare negli avvisi e nei bandi di gara i criteri premiali che intendono applicare con riferimento all’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere, nonché le modalità di dimostrazione del requisito. Detti criteri devono essere individuati nel rispetto dei principi comunitari di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità. Un valido strumento di riferimento per le stazioni appaltanti è rappresentato dalla «Guida considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)» elaborata dalla Commissione europea (2021/C 237/01). Tale documento fornisce esempi di strategie organizzative e di criteri di aggiudicazione sociale utilizzabili al fine di stimolare il mercato a fornire risultati socialmente più responsabili".

L'argomento della parità di genere è uno dei più controversi, non a caso ne abbiamo discusso in precedenza (a questo link è possibile consultare una precedente news sul tema).

Quanto agli aspetti propri amministrativi, ciò che ci si aspetta dalla previsione normativa è certamente di conseguire, in tempi rapidi, un'uguaglianza di genere sostanziale, non solo in termini occupazionali, ma anche (e soprattutto) negli organi delle società pubbliche; se il legislatore ha inteso introdurre strumenti di attuazione della parità di genere, ciò che è mancata è stata una previsione sanzionatoria che, nel breve periodo, avrebbe certamente condotto a risultati eccellenti nell'ambito dell'inclusione lavorativa.

(Comunicato del Presidente ANAC 30.11.2022)


proroga tecnica

La proroga tecnica: l'eccezionalità dell'istituto.

proroga tecnica

Non vi sono dubbi: le regole poste a presidio della concorrenza nell'affidamento degli appalti pubblici non ammettono alcuna limitazione, anche nell'ipotesi in cui si verifichi una dilatazione della tempistica per la predisposizione dei documenti di gara che determini l'utilizzo dell'istituto della proroga tecnica.

Come ben si sa, l'istituto della proroga tecnica dei contratti pubblici assume un carattere eccezionale e di temporaneità, essendo uno strumento finalizzato ad assicurare lo svolgimento di una prestazione in favore dell'Amministrazione committente ammissibile nelle more dell'espletamento di una nuova procedura di gara.

Sull'argomento delle proroghe tecniche ci siamo già soffermati in una precedente news con la quale è stata analizzata una pronuncia dell'Autorità Nazionale Anticorruzione (qui il link per una consultazione integrale).

La ragione della prosecuzione della prestazione da parte del medesimo contraente è da rinvenire nella necessità che sia assicurato lo svolgimento del servizio fino all'individuazione del nuovo contraente a valle della procedura selettiva; deve trattarsi, dunque, di un contratto di durata.

Tuttavia, il reiterato utilizzo dell'istituto si traduce in una vera e propria fattispecie di affidamento senza procedura ad evidenza pubblica che potrebbe comportare la violazione dei principi generali di libera concorrenza e di par condicio posti a presidio dell'evidenza pubblica.

L'Autorità Nazionale Anticorruzione ha da sempre assunto un'interpretazione rigida dell'applicabilità della proroga tecnica, ritenendo legittimo l'utilizzo di tale strumento solo ed esclusivamente in casi eccezionali.

Certamente, ove la proroga tecnica sia utilizzata all'interno di una procedura selettiva la cui tempistica sia stata intenzionalmente dilatata, secondo l'Autorità, tale circostanza non risulta in linea con i principi di efficacia e tempestività di cui all'art. 30, Codice dei contratti pubblici, nonché con il principio di buon andamento sancito dall'art. 97 della Costituzione.

La questione qui in commento verte proprio su di una vicenda affrontata dall'Autorità insorta allorquando l'Amministrazione committente disponeva molteplici proroghe tecniche nei confronti di un raggruppamento di imprese aggiudicatario di servizi di raccolta e smaltimento rifiuti, giustificando tale proroga con la necessità di garantire l'esecuzione dei servizi in attesa dell'esperimento della nuova procedura di gara ovvero della definizione dei contenziosi pendenti.

A rigor del vero, l'Amministrazione indiceva le procedure (complesse, stante la natura del servizio oggetto dell'appalto e la normativa di settore eccessivamente stratificata) per l'individuazione del nuovo contraente; tuttavia, ad alcune di esse nessun operatore ne prendeva parte.

Nel richiamare la normativa di settore, specificatamente quella della proroga tecnica e dei relativi ambiti applicativi, l'Autorità ha acclarato che "la proroga tecnica abbia [ha] carattere eccezionale e di temporaneità, essendo uno strumento volto esclusivamente ad assicurare una data prestazione in favore della pubblica amministrazione, nel passaggio da un regime contrattuale ad un altro".

Nel motivare tale decisione, l'Autorità ha rilevato che "L’Autorità e la giurisprudenza hanno ... individuato alcune ristrettissime ipotesi nelle quali la proroga può ritenersi ammessa, in ragione del principio di continuità dell’azione amministrativa, restringendo però tale possibilità a casi limitati ed eccezionali nei quali, per ragioni obiettivamente non dipendenti dall’amministrazione, <<vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento, con le ordinarie procedure, di un nuovo contraente, in casi di oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della nuova gara non imputabili alla Stazione Appaltante>>".

Trattasi di principi condivisibili e che, nondimeno, si pongono in linea con quelli generali consacrati nel Codice dei contratti pubblici.

Tuttavia, è ragionevole ritenere che l'approccio dell'Autorità sconti un'evidente interpretazione eccessivamente restrittiva: non può dubitarsi che nel caso qui affrontato, l'Autorità (per il tramite degli Organi giudiziari) abbia constatato una vera inefficacia organizzativa dell'Amministrazione, in particolare nella fase di redazione degli atti di gara, ma è altrettanto vero che il servizio di cui si discute (smaltimento dei rifiuti speciali) e la particolare veste giuridica assunta dall'Ente (Azienda sanitaria) avrebbe potuto comportare un più ampio margine interpretativo dell'applicabilità della proroga tecnica, specie allorquando vengono in rilievo principi ugualmente rilevanti a livello costituzionale (quello della tutela dell'ambiente e della salute), il cui confronto con i corrispondenti amministrativi non è mai di facile soluzione.

(Autorità Nazionale Anticorruzione, delibera n. 535 del 16.11.2022)


COP 27 e la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite: un punto di partenza o di arrivo?

La notizia della conferenza delle Nazioni Unite che si è tenuta nei giorni scorsi a Sharm el-Sheikh è apparsa in modo silente sulle maggiori testate giornalistiche nonostante l'importanza dell'evento: pianificare ed implementare le iniziative per la protezione dell'ambiente e per l'efficienza energetica globale.

Una delle problematiche maggiormente discusse a livello globale è infatti il cambiamento climatico: per fronteggiarlo serve un'azione attuata in modo giusto ed inclusivo, riducendo al minimo gli impatti sociali ed economici di carattere negativo.

Naturalmente, le conseguenze di tale problematica si riflettono in tutti i settori, compreso quello alimentare, specie nei Paesi in via di sviluppo.

L’acronimo "COP" sta per "Conferenza delle Parti": le “parti” sono i firmatari della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

Le Conferenze delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici sono, indubbiamente, tra gli incontri internazionali più importanti al mondo.

La Convenzione quadro sui cambiamenti climatici è un accordo ambientale internazionale prodotto dalla Conferenza sull'Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED, United Nations Conference on Environment and Development), informalmente conosciuta come Summit della Terra, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992.

L'accordo ha come obiettivo la stabilizzazione delle concentrazioni atmosferiche dei gas serra, ad un livello tale da prevenire interferenze antropogeniche pericolose con il sistema climatico terrestre.

L'accordo non pone limiti obbligatori per le emissioni di gas serra alle nazioni individuali; si tratta quindi di un accordo legalmente non vincolante; esso, invece, include previsioni di aggiornamenti (denominati protocolli) che pone obiettivi di riduzione delle emissioni unitamente all'adozione di misure virtuose da parte dei soggetti convolti.

Durante la conferenza tenutasi a Sharm el-Sheikh sono stati discussi numerosi temi legati al cambiamento climatico, poi cristallizzati in un documento dal carattere programmatico suddiviso in 16 punti, dei quali meritano un richiamo:

  • il punto n. 3 sull'energia, nel quale le parti hanno dato atto della grave crisi energetica in atto (senza alcuna menzione esplicita al conflitto bellico internazionale in corso) sottolineando l'urgenza di trasformare rapidamente i sistemi energetici per renderli più sicuri, efficaci e resilienti verso una transizione equa;
  • il punto n. 4 sulla mitigazione, fondamentale in quanto si riconosce l'importanza di limitare il riscaldamento globale entro 1,5° e l'emissione dei gas serra;
  •  il punto n. 6, perdita e danno, cd. Loss and damage, tematica legata alla preoccupazione per i notevoli costi finanziari associati a perdite e danni per i Paesi in via di sviluppo che pregiudicano la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile;
  • il punto n. 9, relativo alle maggiori risorse economiche da destinare agli interventi;
  • il punto n. 10 sulla cooperazione in materia di sviluppo e trasferimento di tecnologia e innovazione;
  • i punti nn. 13, 14 e 15 sui mari, sulle foreste e sull'agricoltura, fattori fondamentali per la transizione equa.

Il lavoro svolto in seno alla COP 27 rappresenta un importante traguardo verso la realizzazione di una transizione equa: ciò si evince, sia dalle tematiche trattate nel corso della Conferenza con particolare riguardo ai Paesi in via di sviluppo, sia dalla presenza, nel documento programmatico, di strumenti finanziari fondamentali per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

A ben guardare, tuttavia, l'attuale contesto globale non può non tener conto del conflitto bellico internazionale in corso che ha pregiudicato, ritardando, l'attuazione del programma di sviluppo, specie per ciò che riguarda le fonti energetiche.

In quest'ottica, certamente, lo Stato italiano può far molto nell'attuare una transizione energetica, così da ridurre la dipendenza da Paesi Terzi a vantaggio delle forme alternative di produzione, mitigando certamente gli effetti pregiudizievoli nell'ambiente.

(Testo del piano COP 27)

L'immagine è tratta dal sito Wired.


Pari opportunità e inclusione lavorativa: l'interpretazione rigida e inderogabile dell'ANAC.

In tema di pari opportunità e inclusione lavorativa, non possiamo non commentare l'interpretazione rigida e inderogabile dell'ANAC. La strategia e il sistema di governance per l'attuazione degli interventi relativi al Piano nazionale di ripresa e resilienza e al Piano nazionale per gli investimenti complementari ha previsto l'introduzione nel nostro ordinamento giuridico, specie in quello dedicato agli appalti pubblici, di una serie di misure volte a perseguire un duplice obiettivo:

  • quello di imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative nei settori oggetto delle previsioni dei piani;
  • quello di consentire un'efficace, tempestiva ed efficiente realizzazione degli interventi,

favorendo le pari opportunità generazionali e di genere, nonché la promozione dell'inclusione lavorativa.

Tali ambiziose finalità, come a breve si avrà modo di dimostrare, rivestono un'importanza strategica nelle procedure afferenti gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR o del PNC, tanto da indurre il legislatore nazionale, sulla scorta dei dettami del legislatore sovranazionale, ad introdurre un sistema di norme indispensabili a garantire il raggiungimenti degli obiettivi programmati.

Il riferimento normativo privilegiato è certamente l'art. 47, d.l. 31.5.2021, n. 77, e s.m.i., in relazione al quale abbiamo precedentemente già evidenziato i tratti essenziali di una disciplina che, ove correttamente applicata, porterebbe certamente stravolgere, in termini positivi, il livello occupazionale interno del Paese, gravemente danneggiato dagli effetti della crisi sanitaria degli ultimi anni (a questo link è possibile consultare il testo della news).

In sintesi, la disciplina richiamata, integrata dalle specifiche linee guida, ha previsto, per gli operatori economici, un obbligo dichiarativo (cui si collega un'applicazione differenziata a seconda della dimensione aziendale) da rendere in fase di gara circa l'assunzione, in caso di aggiudicazione, di quote prestabilite (30 per cento occupazione giovanile, 15 per cento di occupazione femminile) di lavoratori necessari all'esecuzione delle prestazioni, la cui verifica del corretto adempimento è demandata all'Amministrazione la quale può, nei casi più gravi, anche disporre la risoluzione del contratto.

La rilevanza della disciplina da ultimo introdotta emerge, inequivocabilmente, dalle prime applicazioni della stessa: basti pensare che, recentemente, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, investita di una questione concernente l'esclusione di un concorrente, ha ritenuto non applicabile l'istituto del soccorso istruttorio nei casi di omessa dichiarazione dell’obbligo di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, l’assunzione di una quota di occupazione giovanile e femminile di cui all’articolo 47, comma 4, del D.L. 31 maggio 2021, n. 77 (convertito dalla legge 29 luglio 2021 n. 108).

Le argomentazioni svolte dall'Autorità, nella misura in cui hanno acclarato la correttezza dell'operato dell'Ente che aveva adottato il provvedimento di esclusione senza l'applicazione del soccorso in una procedura finanziata con fondi PNRR/PNC, appaiono tuttavia carenti sul piano motivazionale, ma particolarmente incisive nel delineare l'orientamento interpretativo più rigoroso ed inderogabile della previsione.

A ben vedere l'Autorità, nell'iter logico seguito per giungere alla definizione della questione, si è limitata a richiamare il contenuto delle disposizioni sovranazionali e quelle derivate, nonché quelli dalla stessa adottati nell'esercizio delle prerogative concesse dal Codice dei contratti pubblici: "... tali disposizioni sono state introdotte nello schema di disciplinare predisposto in relazione alle procedure afferenti gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 febbraio 2021 e dal Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 (PNRR), dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR, di cui all'articolo 1 del decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59 (PNC), ai sensi dell’articolo 47 del decreto legge n. 77/21 e recepiscono le cause di esclusione di cui all’articolo 47, commi 2, 4 e 6, decreto legge n. 77/2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108/2021. Infatti, ai sensi dell’articolo 47, comma 4, ultimo periodo, del decreto legge n. 77/2021, l’operatore economico al momento della presentazione dell'offerta deve, oltre ad aver assolto agli obblighi ex legge 68/1999, assumersi l'obbligo di riservare, in caso di aggiudicazione del contratto, sia all’occupazione giovanile, sia all’occupazione femminile, una quota di assunzioni pari almeno al 30 per cento di quelle necessarie per l'esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali (cfr. ANAC, Nota illustrativa al bando tipo n. 1/2021)".

La carenza di una deduzione sul piano motivazionale (unico vero rimprovero che può muoversi nei confronti dell'Autorità) potrebbe cogliersi positivamente, in quanto espressione di una chiara presa di posizione dell'Autorità che, sulla falsariga del dettato normativo, non ammette alcun margine di "errore" da parte dell'operatore economico in fase di partecipazione a gara e di assunzione degli impegni su di un tema delicato quale quello occupazionale; correlativamente, denota una scelta (condivisibile) circa l'importanza dell'obbligo cui soggiace il concorrente.

Tuttavia, escludere l'applicabilità del soccorso istruttorio di un documento che, nella sostanza, costituisce un atto di impegno dell'impresa che rileva durante la fase esecutiva (e solo in via meramente ipotetica in caso di aggiudicazione), a ragion di chi scrive, appare una logica non coerente con l'istituto del soccorso istruttorio, volto a promuovere sempre comunque la concorrenza fra le imprese.

L'inammissibilità del soccorso istruttorio nel caso di specie condurrebbe a configurare l'obbligo dichiarativo al pari dell'offerta (in relazione alla quale, come noto, non è ammissibile alcuna "sanatoria"), ragion per cui in tal senso la scelta operata dall'Autorità appare eccessivamente gravosa o comunque avrebbe necessitato di una motivazione "rafforzata" così da consentire, all'attento lettore, di comprendere le ragioni di siffatta "rigidità" interpretativa legata, sia consentita la ripetizione, ad un elemento della fase partecipativa.

(Parere di precontenzioso ANAC n. 451 del 5.10.2022)


Le gravi violazioni in materia fiscale non definitivamente accertate: il decreto 28 settembre 2022.

La disciplina del Codice dei contratti pubblici sembra prossima ad una vera e propria scossa.

Il Ministero dell'economia e delle finanze ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 239 del 12.10.2022 il decreto del 28.9.2022 recante "Disposizioni in materia di possibile esclusione dell'operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto per gravi violazioni in materia fiscale non definitivamente accertate".

Si tratta di un importante atto normativo, con il quale il legislatore è intervenuto nell'ambito della disciplina di dettaglio relativa alle gravi violazioni in materia fiscale ove le stesse non siano definitivamente accertate.

Ci siamo occupati dell'argomento allorquando sono state approfondite le modalità di effettuazione dei controlli eseguiti dall'Amministrazione all'atto della verifica circa il possesso dei requisiti dichiarati da un operatore economico (qui è possibile consultare la precedente news).

Quello di cui ci occupiamo, invece, in questa news attiene a quelle circostanze che costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale visto e considerato che l'art. 80, co. 4, quinto periodo, d.lgs. 50/2016 e s.m.i., stabilisce espressamente che un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali.

La previsione normativa, così come formulata, ha destato serie perplessità fin dalle prime applicazioni, in quanto l'assenza di un chiaro riferimento a ciò che avrebbe dovuto considerarsi in termini di "gravi violazioni non definitivamente accertate" ha lasciato agli operatori economici e alle amministrazioni aggiudicatrice un ampio margine valutativo, consentendo alla giurisprudenza amministrativa di modellare di volta in volta il contenuto della previsione.

Il Codice dei contratti pubblici, invero, ha demandato ad un atto normativo secondario l'individuazione dei limiti e delle condizioni di operatività della causa di esclusione relativa alle violazioni non definitivamente accertate.

Il Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ha adottato un decreto composto da 5 articoli con il quale:

  • ha individuato i limiti e le condizioni per l'operatività della causa di esclusione dalla partecipazione a una procedura d'appalto degli operatori economici che hanno commesso gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale (art. 1);
  • ha circoscritto l'ambito di applicazione della fattispecie, fornendo una chiara definizione del concetto di "inottemperanza agli obblighi ... relativi al pagamento di imposte e tasse" idonea e sufficiente ad integrare gli estremi di una violazione (art. 2);
  • ha introdotto una soglia di gravità stabilendo un duplice regime affinchè la violazione si consideri grave allorquando "comporta l'inottemperanza ad un obbligo di pagamento di imposte o tasse per un importo che, con esclusione di sanzioni e interessi, è pari o superiore al 10% del valore dell'appalto" e in ogni caso "l'importo della violazione non deve essere inferiore a 35.000 euro" (art. 3);
  • ha stabilito che la violazione grave non definitivamente accertata è tale quando siano inutilmente decorsi i termini per adempiere all'obbligo di pagamento e l'atto impositivo o la cartella di pagamento siano stati tempestivamente impugnati (art. 4);
  • l'Agenzia delle entrate provvede al rilascio delle certificazioni per i tributi di sua competenza (art. 5).

A ben guardare il decreto solo in parte risolve le problematiche legate all'interpretazione dell'art. 80 del Codice dei contratti pubblici; non si esclude, infatti, che ove una pubblica amministrazione, in sede di verifica del possesso dei requisiti, con ogni mezzo a disposizione individuerà delle violazioni gravi non definitivamente accertate, in capo alla stessa residuerà un'ampia discrezionalità nel disporre l'esclusione dell'operatore.

A sostegno di tale affermazione depongono, sia la stessa rubrica del decreto, sia l'art. 4 del decreto, prevedendo una facoltà di esclusione dell'operatore e non un vero e proprio obbligo (ma sarà davvero così?).

Ancora una volta, dunque, sarà compito del Giudice amministrativo "chiarire" la portata applicativa della disposizione.

(Decreto 28 settembre 2022)


Il decreto aiuti ter per contrastare il caro energia

Il tema energetico è ormai al centro dell'attenzione a causa degli aumenti che, giornalmente, si registrano in relazione ai costi di acquisto della materia prima.

Di recente abbiamo affrontato il tema del cd. "price cap" (qui il link della news per un approfondimento) sul gas quale strumento di regolamentazione del mercato: tuttavia, gli ultimi orientamenti espressi dalla maggioranza dei Paesi europei sembrano dirigersi verso l'adozione di nuove misure di contrasto, alcune delle quali basate su una riduzione della domanda di energia, altre sulle tradizionali forme di contributo di solidarietà (in questo senso, la Germania ha previsto un piano straordinario di aiuti da 200 miliardi contro i rincari).

Il legislatore italiano, sulla falsariga di quanto sta accadendo all'interno degli altri Stat membri dell'UE, è corso ai ripari introducendo il decreto - legge 23 settembre 2022, n. 144, contenente, per quanto di interesse, delle misure urgenti in materia di politica energetica, produttività delle imprese, politiche sociali.

Il cd. "decreto aiuti ter" interviene, dunque, in un momento di straordinaria necessità ed urgenza connessa agli effetti economici della grave crisi internazionale in atto, il cui obiettivo dichiarato è quello di introdurre misure di sostegno per cittadini ed imprese per contenere gli effetti derivanti dall'aumento del costo dell'energia e dei carburanti.

Misure che, ogni probabilità, sono indispensabili in vista dell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) in materia di ambiente ed energia e che saranno al centro dell'attenzione del prossimo Governo.

Le disposizioni del d.l. 44/2022 che meritano un richiamo sono contenute nel Capo I del citato decreto, rubricato specificatamente "Misure in materia di energia elettrica, gas naturale e carburanti":

  • l'art. 1 introduce un contributo straordinario, sotto forma di credito di imposta, in favore delle imprese per l'acquisto di energia elettrica e di gas naturale, la cui particolarità è che gli stessi crediti sono cedibili, solo per intero, dalle imprese beneficiarie ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari;
  • l'art. 3 prevede misure a supporto delle imprese colpite dall'aumento dei prezzi dell'energia tramite concessione, a titolo gratuito, di garanzie prestate da SACE SpA nelle ipotesi in cui le imprese abbiano fatto ricorso a misure di finanziamento per il pagamento delle fatture per consumi energetici;
  • art. 5 dispone misure straordinarie in favore degli Enti locali mediante incremento delle risorse economiche - finanziarie per la spesa di utenze di energia;
  • l'art. 10 introduce la facoltà per il Ministero dell'interno, previo accordo col Ministero della transizione ecologica, di utilizzare direttamente o tramite concessione a terzi i beni demaniali "allo scopo di contribuire alla crescita sostenibile del Paese, alla decarbonizzazione del sistema energetico e per il perseguimento della resilienza energetica nazionale".

Scorrendo le ulteriori previsioni si nota fin da subito che l'emergenza energetica ha coinvolto tutti i settori dell'economia: disposizioni specifiche sono dettate per il settore agricolo, del trasporto pubblico locale, in materia di sport, e, non da ultimo, nel settore della cultura.

Parallelamente, il legislatore ha inteso promuovere misure concrete verso l'incremento della produzione di energia (si vedano, a tal riguardo, le previsioni riportate agli artt. 9 e 22) e di sostegno per alcune categorie di lavoratori (mediante concessione di indennità straordinarie di sostegno al reddito).

Nel complesso, le misure adottate dal legislatore appaiono varie e trasversali, ma certamente insufficienti per contrastare in misura integrale l'emergenza energetica in atto, emergenza che potrebbe avere ricadute pregiudizievoli nell'attuazione del PNRR; per tale ragione, si è ravvisata la necessità di introdurre una risposta comune dell'UE, senza lasciare l'iniziativa ai singoli Stati.

Ad oggi, tuttavia, tale risposta da parte dell'UE tarda ad arrivare: l'obiettivo di contrasto, certamente, non può raggiungersi esclusivamente attraverso forme di sostegno in materia di politiche sociali, bensì attraverso una politica strategica condivisa che riduca l'importazione della materia prima a vantaggio di una maggiore produzione locale/interna dell'energia (puntando, quanto più possibile, sulle fonti rinnovabili), affiancata da misure concrete di risparmio ed efficienza che possano contenere, in questo particolare contesto storico, gli (inammissibili) sprechi energetici.

Trattandosi di un decreto legge, il contenuto dello stesso potrà subire modifiche/aggiunte in sede di conversione.