Concessioni “balneari”: i TAR si interrogano sulla direttiva Bolkestein

Concessioni “balneari”: i TAR si interrogano sulla direttiva Bolkestein

Concessioni “balneari”: i TAR si interrogano sulla direttiva Bolkestein Quello delle concessioni demaniali con finalità turistico ricreative (volgarmente dette concessioni “balneari”) continua ad essere – nonostante i punti fermi messi dalle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021) – un tema particolarmente dibattuto, in particolare con riferimento alla interpretazione della direttiva Bolkestein.

A costituire oggetto di dibattito, in particolare, sono le conclusioni raggiunte dall’Adunanza Plenaria: gli arresti giurisprudenziali contenuti nelle predette pronunce sono stati, infatti, ritenuti frutto di una inaccettabile “invasione di campo”, motivo per cui stato proposto ricorso per il loro annullamento dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ricorso con cui viene lamentato l’illegittimo superamento, da parte della Plenaria, della competenza giurisdizionale a tale organo riconosciuta).

Altro motivo di confronto sono le disposizioni del c.d. d.d.l. concorrenza relative alla revisione del sistema delle concessioni medesime: secondo gli operatori del settore, con tale provvedimento si priverebbero moltissime imprese (perlopiù a conduzione familiare) dell’unica fonte di guadagno (in molti, infatti, vedono il d.d.l. concorrenza – al momento ancora in esame – come un mezzo per “espropriare i legittimi concessionari al fine di svendere le spiagge ad investitori stranieri”).

Sotto un terzo, ed ultimo, profilo, si discute della qualificazione da attribuire alla c.d. direttiva Bolkestein, una delle pietre miliari del dibattito (è stato, infatti, il contenuto della direttiva – e della sentenza “Promoimpresa” resa dalla CGUE – a condurre l’Adunanza Plenaria - va detto, su impulso del Presidente del Consiglio di Stato - a determinarsi a far “cassare” le proroghe al 2033 operate dal legislatore con l’art. 1, commi 682 e 683, della l. 145/2018).

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, in particolare, il TAR Lecce – voce minoritaria, in un contesto giurisprudenziale che sembra concorde nel ritenere illegittime le suddette proroghe – ha recentemente messo nuovamente in discussione la portata della direttiva Bolkestein, rimettendo – con ordinanza n. 743 dell’11.5.2022 – alla CGUE la seguente questione preliminare: “Se la direttiva 2006/123 risulti valida e vincolante per gli Stati membri o se invece risulti invalida in quanto – trattandosi di una direttiva di armonizzazione – adottata solo a maggioranza invece che all’unanimità, in violazione dell’art. 115 T.F.U.E.”.

Al quesito così formulato ha fatto fa seguito un ulteriore quesito, per cui il Collegio rimettente si chiede “Se la direttiva 2006/126 c.d. Bolkestein presenti o meno oggettivamente ed astrattamente i requisiti minimi di sufficiente dettaglio della normativa e di conseguenza assenza di spazi discrezionali per il legislatore nazionale tali da potersi ritenere la stessa auto-esecutiva e immediatamente applicabile”.

In definitiva, il TAR Lecce dispone il rinvio alla Corte comunitaria affinché quest’ultima – ferma restando la necessità di delibare sulla validità o meno della direttiva Bolkestein (ritenuta, dal giudice rimettente, invalida perché adottata in maniera difforme rispetto alle disposizioni sovranazionali) – fornisca una interpretazione autentica della direttiva medesima, al fine di porre rimedio allo “stato di caos e di assoluta incertezza del diritto, connesso all’effetto di esclusione o disapplicazione meramente ostativa”.

Come detto, tuttavia, la posizione del TAR Lecce è minoritaria.

Con due recenti pronunce – Sez. II bis, 11.5.2022 n. 5869 e Sez. II, 1.6.2022 n. 7173 – il TAR Lazio ha ritenuto che, diversamente da quanto sostenuto nell’ordinanza di Lecce, non fosse necessario alcun rinvio pregiudiziale alla CGUE. In particolare, nella sentenza resa dalla Sez. II in data 1.6.2022, il Collegio evidenzia come “la disciplina dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123/CE – come interpretata dalla Corte di giustizia europea nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15 – sia direttamente applicabile nell’ordinamento interno, a prescindere dalla sussistenza di un “interesse transfrontaliero certo”, in quanto oggetto di “armonizzazione esaustiva” o “completa” da parte del legislatore dell’Unione”.

Ciò significa, secondo il Collegio, che non è necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte UE in quanto – come osservato dall’Adunanza Plenaria nelle sentenze gemelle – la direttiva Bolkestein ha natura “self-executing”, essendo caratterizzata da un livello di dettaglio sufficiente per essere applicata nel nostro ordinamento.

Ne deriva, in conclusione, che “non è compatibile con il diritto dell’Unione la (…) disciplina nazionale avente ad oggetto o per effetto l’indiscriminata proroga dell’efficacia delle concessioni riguardanti l’uso esclusivo delle aree demaniali marittime (o lacuali o fluviali)”.

Fermi restando gli arresti giurisprudenziali sin qui riportati, è appena il caso di evidenziare che il legislatore ha, apparentemente, preso coscienza della necessità di regolamentare, una volta per tutte (e senza ricorrere, questa volta, a ulteriori proroghe) il settore delle concessioni: alla data odierna è infatti in discussione alla Camera dei deputati il c.d. DDL concorrenza, già licenziato dal Senato, con cui si dovrebbe finalmente procedere (in ossequio all’arresto dell’Adunanza Plenaria, per cui il termine ultimo di validità delle concessioni vigenti è fissato al 31.12.2023, con divieto di ulteriori proroghe – le quali, anche se disposte, saranno da intendersi come “tamquam non esset”) ad una complessiva revisione del sistema delle concessioni demaniali con finalità turistico-ricreative.

(TAR Puglia Lecce, Sez. I, ord. 11.5.2022 n. 743 -TAR Lazio Roma, Sez. II bis, 11.5.2022 n. 5869 - TAR Lazio Roma, Sez. II, 1.6.2022 n. 7173)


Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!

Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!

Revisione dei prezzi tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto: il rischio è perdere tutto!Una recente sentenza del TAR Lombardia ha posto l’attenzione sul tema della revisione e degli adeguamenti dei prezzi che intervengono nella delicata fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto.

La sentenza è di particolare interesse perché oltre ad affrontare il tema dell’aumento dei prezzi in vista della sottoscrizione del contratto, offre un particolare punto di vista in merito all’escussione della garanzia provvisoria.

IL CASO

Nel gennaio 2021 la società ricorrente aveva partecipato ad una gara per la fornitura di ausili per disabili ad alcuni enti sanitari regionali. Già all’atto della pubblicazione del bando la ricorrente si rendeva conto che i prezzi posti a base di gara erano decisamente inferiori a quelli previsti per l’omologa gara indetta tuttavia nel 2017. Pur sottoponendo all’attenzione della stazione appaltante tale circostanza, l’amministrazione riteneva di non dover addivenire ad alcuna modifica della base d’asta.

Nel marzo del 2021, la società ricorrente aveva proceduto comunque a formulare un’offerta, consapevole dell’inadeguatezza della stessa in ragione dell’aumento dei prezzi delle materie prime, dei noli e della logistica verificatosi nell’ultimo periodo. La ricorrente era poi risultata aggiudicataria di 16 lotti (dei 51 previsti dalla gara).

In vista della stipula della convenzione, la società aveva chiesto alla stazione appaltante di adeguare i prezzi previsti in considerazione delle circostanze imprevedibili verificatesi nel periodo successivo alla presentazione dell’offerta e, dunque, di variare gli importi in deroga alle disposizioni contenute nello schema di convenzione.

Nel novembre 2021 l’offerta della società era ancora vincolante e, dunque, a fronte del rifiuto di sottoscrivere la convenzione, la stazione appaltante aveva disposto la revoca dell’aggiudicazione, con il conseguente incameramento della cauzione provvisoria.

Nel ricorso presentato innanzi al TAR Lombardia, la società ha sostanzialmente censurato il comportamento tenuto dalla stazione appaltante che, a fronte dell’illegittimità dei prezzi fissati a basa d’asta nonché del mancato adeguamento degli stessi alla situazione di mercato, aveva preteso comunque la stipula del contratto. Secondo la ricorrente, la pretesa di stipulare il contratto in simile condizione era da ritenersi contraria a buona fede e correttezza traducendosi, inoltre, in un vantaggio economico per la stazione appaltante a danno dell’operatore.

L’erroneità dei prezzi posti a base di gara e le differenti condizioni di mercato tra la data di presentazione dell’offerta e la data di aggiudicazione dell’appalto avrebbero peraltro comportato la carenza di remuneratività dell’appalto.

Nel caso di specie, infatti, secondo la ricorrente, la stazione appaltante avrebbe dovuto adeguare il corrispettivo dovuto all’operatore economico facendo applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. c), del d.lgs. 50/2016 nonché dell’art. 1664 c.c., e dunque predisponendo una variante.

Di qui l’illegittimità anche del provvedimento di incameramento della cauzione provvisoria, in quanto non sarebbe stato imputabile all’operatore la decisione di non stipulare il contratto alle condizioni indicate nell’offerta.

Il TAR ha tuttavia rigettato il ricorso in relazione alla revoca dell’aggiudicazione, mentre ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario con riferimento all’escussione della cauzione.

LA REVISIONE DEI PREZZI

Con riferimento alla revoca dell’aggiudicazione, il Collegio ha osservato che, nello schema di convenzione, la stazione appaltante aveva precisato che i corrispettivi dovevano restare immutati nel corso dell’esecuzione. Partecipando alla gara, la società aveva accettato simile condizione, salvo poi chiedere all’Amministrazione di mantenere l’aggiudicazione dei vari lotti ma di mutare i corrispettivi dovuti, osservando come l’offerta formulata non potesse ritenersi più congrua e remunerativa a causa dell’incremento dei prezzi medio tempore registrato.

Secondo i giudici, il rifiuto dell’amministrazione di accogliere tale richiesta era del tutto legittimo e conforme a quanto previsto dalla lex specialis, sul punto chiara nel prevedere l’impossibilità di adeguamento dei prezzi, avvertendo i partecipanti alla gara che l’alea ricade necessariamente sugli stessi operatori: tali previsioni costituiscono un “auto-vincolo dell’azione amministrativa e non possono, quindi, derogarsi obliterando la par condicio tra i vari contendenti che partecipano alla gara (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 2.3.2021, n. 1788)”.

Accanto a ciò, i giudici hanno precisato che le tempistiche della gara non erano tali da poter sostenere “la non prevedibilità da parte di un operatore economico accorto e diligente dell’aumento dei prezzi con conseguente attenzione e prudenza nella modulazione delle offerte”.

L’accoglimento della pretesa avanzata dal ricorrente prima della stipula del contratto (e, quindi, in una fase differente dall’esecuzione) avrebbe prodotto l’effetto di alterare il confronto tra gli operatori, finendo per “premiare” il concorrente che indica il prezzo maggiormente competitivo e che successivamente ne invoca l’insostenibilità delle condizioni originarie del contratto.

Nella delicata fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, le mutate condizioni del mercato che rendono non remunerativa l’offerta possono legittimare un ritiro dell’operatore dalla gara o la non accettazione della stipula, ma non possono supportare la pretesa ad ottenere la commessa a prezzi differenti e senza riapertura di un nuovo dialogo competitivo. In tale fase, dunque, non risultano invocabili “gli istituti posti a governo delle sopravvenienze contrattuali che, per l’appunto, riguardano la fase di esecuzione del contratto e le alterazioni che possono generarsi nel corso della durata del negozio ma non si riferiscono, invece, ad una fase antecedente alla stipula ove l’eventuale insostenibilità si traduce nella possibilità di non sottoscrivere il contratto”.

Richiamando un precedente del TAR Brescia, i giudici hanno precisato che “l’istanza di revisione del prezzo formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto risulti non supportata da alcuna previsione legale in quanto effettuata in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non è giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso; e così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta (T.A.R. per la Lombardia – sede di Brescia, Sez. I, 10.3.2022, n. 232)”.

L’ESCUSSIONE DELLA GARANZIA

Con riferimento invece alla domanda di annullamento dei provvedimenti di escussione della garanzia, il Collegio ha declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario.

Secondo i giudici, infatti, nel caso di specie la società aveva chiesto di accertare l’insussistenza dei presupposti per l’escussione della polizza stante la mancata stipula del contratto conseguente al rifiuto della stessa alla conclusione del negozio. In altre parole, la ricorrente aveva invocato l’accertamento negativo dei presupposti della pretesa indennitaria fatta valere dall’Amministrazione.

Secondo il TAR, tale domanda non rientra nella giurisdizione del Giudice amministrativo per due ordini di ragioni.

La prima, in quanto l’escussione della polizza non è una conseguenza automatica di un provvedimento amministrativo autoritativo. Nel caso di specie, infatti, la revoca dell’aggiudicazione non sarebbe espressione di un potere di natura pubblicistica, né un provvedimento di secondo grado con il quale l’Amministrazione rivede le proprie determinazioni, ma costituirebbe semplicemente la conseguenza del rifiuto della parte di stipulare il contratto. Precisa, infatti, il Collegio che “nel caso all’attenzione del Collegio, l’aspetto fondamentale non è tanto la collocazione della vicenda nella c.d. “fase deliberativa dell’aggiudicazione” o nella fase esecutiva del contratto quanto la constatazione che l’escussione della polizza non è atto conseguente all’esercizio di un potere pubblicistico ma al rifiuto della stipula e, quindi, alla mancata conclusione del contratto. In sostanza, nel caso di specie non vi è quel “nesso di automaticità tra l'escussione della fideiussione ed un provvedimento amministrativo” a cui fanno riferimento le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cassazione civile, Sezioni Unite, 31.3.2021, n. 9005)”.

Precisa ancora il Collegio che la giurisprudenza è costante nel ritenere che la cauzione provvisoria assolve alla funzione di garanzia del mantenimento dell’offerta. In particolare, da un lato, presidia la serietà dell’offerta e il mantenimento di questa da parte di tutti i partecipanti alla gara fino al momento dell’aggiudicazione; dall’altro, garantisce la stipula del contratto da parte della offerente che risulti, all’esito della procedura, aggiudicatario: “pertanto, la cauzione:  i) “si profila come garanzia del rispetto dell’ampio patto di integrità cui si vincola chi partecipa ad una gara pubblica”; ii) ne presidia “l’obbligo di diligenza” e va ricondotto alla caparra confirmatoria “perché è finalizzata a confermare l’impegno da assumere in futuro” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 10.12.2014, n. 34; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.12.2014, n. 6302; Id., Sez. V, 27.10.2021, n. 7217; nella giurisprudenza del Tribunale, cfr.: T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano, Sez. IV, 11.2.2022, n. 325; nella giurisprudenza civile, cfr.: Cassazione civile, Sezioni unite, 4.2.2009, n. 2634)”.

Accanto a ciò, i giudici hanno ritenuto che la giurisdizione del giudice ordinario deriverebbe dalla stessa natura della cauzione in esame. La polizza in questione offriva copertura nel caso di mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione, prevedendo che il garante corrispondesse l’importo dovuto, nei limiti della somma garantita, entro il termine di quindici giorni dal ricevimento della semplice richiesta scritta della stazione appaltante.

Nel caso di specie, poteva parlarsi di un vero e proprio contratto autonomo di garanzia, che mira a tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale (nel caso di specie, la stipula del contratto). A fondare tale assunto le clausole stesse del contratto e, in particolare:

i) la previsione che individua la prestazione dovuta, consistente nel pagamento di una somma di denaro in caso di inadempimento all’obbligo di stipula del contratto;

ii) la previsione che impone l’obbligo di versamento dell’indennizzo dovuto in conseguenza delle inadempienze a “semplice richiesta scritta” del beneficiario;

iii) la mancata previsione dell’obbligo di preventiva escussione;

iv) la rinuncia al termine di cui all’articolo 1957 c.c.;

v) la surrogazione della Società garante nella posizione del beneficiario in tutti i diritti, ragioni ed azioni verso il contraente nei limiti delle somme pagate al beneficiario.

Osservano a tal proposito i giudici che “mentre con la fideiussione è tutelato l'interesse all'esatto adempimento dell'unica prestazione principale (per cui il fideiussore è un “vicario” del debitore), l'obbligazione del garante autonomo è qualitativamente altra rispetto a quella dell'ordinante, sia perché non necessariamente sovrapponibile ad essa, sia perché non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore. In questo caso si è dinanzi ad una garanzia di tipo indennitario che mira a tutelare il creditore per l’inadempimento all’obbligo di stipula e non, al contrario, dinanzi ad una garanzia di tipo satisfattorio caratterizzata dal rafforzamento del potere del creditore di conseguire il medesimo bene dovuto (cfr., Cassazione civile, Sezioni unite, 18.2.2010, n. 3947)”.

Rilevante tra i vari aspetti evidenziati dai giudici, sarebbe proprio la possibilità di ottenere un pagamento in tempi brevi, che assimila la garanzia ad una sorta di cauzione e che, dunque, fa emergere il carattere autonomo della garanzia che abilita alla riscossione delle somme, a prescindere, quindi, dal rapporto garantito.

Il carattere autonomo della garanzia fonda, secondo i giudici, una ulteriore ragione autonoma per declinare la giurisdizione in favore del Giudice ordinario, in ragione dell’autonomia dei rapporti in questione, nonché del fatto che nel rapporto di garanzia viene coinvolto un soggetto terzo e la P.A. non interviene neppure mediatamente quale soggetto titolare di pubblici poteri. Per questo il rapporto resta estraneo alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.

(TAR Lombardia, Milano, 10.6.2022, n. 1343)


Risoluzione contratto di appalto pubblico per grave inadempimento: non opera il CCT

Risoluzione contratto di appalto pubblico per grave inadempimento: non opera il CCT

Risoluzione contratto di appalto pubblico per grave inadempimento: non opera il CCT Con una recente sentenza, il Consiglio di Stato si esprime sul rapporto tra risoluzione del contratto di appalto pubblico per grave inadempimento dell'impresa ("risoluzione in danno") e CCT (collegio consultivo obbligatorio).

Un'impresa, stipulato il contratto, chiede l'anticipazione del prezzo che tuttavia viene negata.

I lavori non procedono e l'Amministrazione adotta la determina di risoluzione per grave inadempimento nei suoi confronti.

Anziché citare in giudizio (ordinario) l'Amministrazione sulla risoluzione in danno disposta, l'impresa procede impugnando la determina di risoluzione del contratto di appalto pubblico per grave inadempimento innanzi al TAR sostenendo che la stessa era da annullarsi in quanto la PA avrebbe dovuto costituire il CCT (mancava, a suo avviso, l'attivazione di un segmento procedimentale che incombeva sulla PA).

Il TAR dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, reputando che le questioni relative alla risoluzione del contratto rientrano nell’ambito della giurisdizione ordinaria e che la disposizione dell’art. 5, comma 4, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, richiamata dalla società “attiene a casi diversi da quelli in questione, nel quale si discute di grave inadempimento dell’appaltatore” e che “in ogni caso le ragioni e le modalità tramite le quali l’Amministrazione – in applicazione del menzionato art. 5, comma 4 – può pervenire alla risoluzione non modificano la natura giuridica della determinazione assunta, che costituisce esercizio di un diritto soggettivo di genesi contrattuale da parte della stessa Amministrazione e non di potere autoritativo, in quanto assunta nella fase esecutiva del rapporto contrattuale nel quale i soggetti si pongono tra loro in posizione assolutamente paritaria”.

Anche in appello, il ricorso non sortisce l'effetto sperato dall'impresa.

Il Consiglio di Stato infatti ha precisato che:

1. i criteri di riparto della giurisdizione sono quelli richiamati nella sentenza gravata, atteso che, dopo l'aggiudicazione e la stipulazione del contratto, la natura del rapporto è paritetica e la relativa esecuzione è disciplinata dalle regole contrattuali contenute nella convenzione, con l'attribuzione al giudice ordinario;

2. il CCT è obbligatorio nei contratti di appalto pubblico di lavori sopra soglia comunitaria mentre nel caso in esame si discute di appalto sotto soglia;

3. nell’appalto de quo l’Amministrazione, con il contratto, non ha inteso avvalersi della facoltà di nominare il collegio consultivo tecnico, per come si evince dall’art. 26 del contratto (“Per le eventuali controversie circa l’interpretazione e l’applicazione del presente contratto sarà competente il Foro di Napoli; è esclusa la competenza arbitrale.”);

4. il provvedimento di risoluzione contrattuale non vede modificata la propria natura di esercizio di diritto soggettivo di natura contrattuale e non di potere autoritativo. L’art. 5, comma 4, decreto Semplificazioni 2020 ne disciplina le modalità di esercizio nei casi ivi previsti e l’art. 6 prevede che la controversia tra le parti nella fase esecutiva sia comunque rimessa al “lodo contrattuale” del collegio consultivo tecnico, ma l’eventuale violazione di tali norme andrebbe fatta valere dinanzi al giudice ordinario.

A maggior ragione, ad avviso del Consiglio di Stato, la cognizione del giudice ordinario va affermata nel caso in esame, che, come detto nella sentenza di primo grado, è “paradigmatico di una controversia relativa alla corretta esecuzione del rapporto”.

La risoluzione, infatti, è stata disposta “per grave e perdurante inadempimento contrattuale, per grave negligenza e imperizia, per danno prodotto ai beni immobili oggetto di tutela ai sensi del d.lgs. 42/2004”.

Ribadita l’inapplicabilità dell’art. 6, comma 1, del d.l. n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, agli appalti sotto soglia, quale il presente, va definitivamente escluso che la presente controversia involga il mancato esercizio da parte dell’amministrazione del potere pubblicistico di preventiva costituzione del collegio consultivo tecnico.

(Cons. St., Sez. V, 7.6.2022, n. 4650)


Decreto Aiuti: le misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali

Le recenti previsioni normative introdotte dal legislatore nazionale in materia energetica si pongono certamente in un'ottica di forte contributo alla crescita sostenibile del Paese, nonché alla decarbonizzazione del sistema energetico, verso il perseguimento di quella che è stata comunemente definita la "transizione ecologica - energetica".

Si tratta di una finalità senza dubbio meritevole, che impone un adeguamento normativo delle previsioni contenute nell'ordinamento giuridico interno, da sempre caratterizzato da meccanismi complessi che, spesso e volentieri, per un'eccessiva forma di tutela, hanno rappresentato un vero e proprio ostacolo alla realizzazione degli interventi di carattere ambientale.

L'affermazione trova giusto riscontro in quello che è divenuto ormai un modus operandi del legislatore; introdurre misure urgenti finalizzate alla "semplificazione", ora dei procedimenti autorizzativi, ora dei sistemi di valutazione e di controllo.

Misure che, tuttavia, non trovano terreno fertile in un settore, quello ambientale, da sempre caratterizzato da un compromesso esistenziale uomo-natura, come il caso che abbiamo esaminato relativamente alla normativa della Regione Lazio (qui link della news).

In questo contesto si colloca, nondimeno, il d.l. 17 maggio 2022, n. 50, recante "Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina", entrato n vigore il giorno 18 maggio 2022.

Un ruolo di primo piano che ha portato il legislatore ad introdurre tali misure emergenziali, specie quelle nel settore energetico, è la straordinaria necessità e urgenza di adottare strumenti idonei per contrastare gli effetti della grave crisi internazionale in atto in Ucraina e contenere il costo dei carburanti e dell'energia.

Basti pensare che secondo un autorevole studio effettuato all'indomani del conflitto bellico Ucraina-Russia, è emerso che il nostro Paese è il più vulnerabile tra i 27 dell'Ue; infatti, nel mix energetico nazionale il gas pesa per oltre il 40% e il 96% di esso viene importato dalla Russia per una quota pari a circa il 40%.

Tale scenario ha comportato una forte accelerazione del processo di transizione energetica e dei relativi obiettivi, anche in vista dell'attuazione dei programmi contenuti nel PNRR: si è operato su un duplice fronte ovvero dapprima con l'approvazione del d.l. 17/2022 e s.m.i., contenente misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia e, a distanza di un mese, con l'adozione di un nuovo decreto legge il cui Capo I, composto da ben 14 articoli, introduce misure in materia di energia.

Le previsioni che meritano certamente un richiamo sono le seguenti:

  • gli articoli 1, 2, 3 e 4, che prevedono forme di incentivi e contributi per famiglie e imprese;
  • l'articolo 5, il quale introduce disposizioni specifiche sulla realizzazione di nuova capacità di rigassificazione, da attuare anche attraverso unità galleggianti di stoccaggio rigassificazione da allacciare alla rete di trasporto già esistente;
  • gli articoli 6, 7 e 8, dedicati alla disciplina autorizzativa degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, alcune delle quali in favore delle imprese operanti nel settore agricolo;
  • l'articolo 9 che reca disposizioni in materia di "comunità energetiche rinnovabili" per impianti di produzione di dimensioni medio-grandi realizzati da soggetti pubblici;
  • l'articolo 10 che apporta modifiche alle previsioni in materia di VIA, già contenute nel d.lgs. 152/2006 e s.m.i.

Il decreto aiuti si pone certamente nell'ottica della transizione ecologica; tuttavia, non deve dimenticarsi che trattasi pur sempre di misure urgenti che sono state introdotte per fronteggiare una situazione eccezionale (contesto bellico) che ha fatto emergere le criticità del sistema energetico nazionale e che dunque, in sede di conversione, potrebbe subire modifiche anche significative.

Gli articoli sopra richiamati saranno oggetto di news approfondite nel corso dei prossimi giorni.


Appalti pubblici: una controversia tra parti private configura un grave illecito professionale e quindi comporta l’esclusione dalla gara

Appalti pubblici: una controversia tra parti private configura un grave illecito professionale e quindi comporta l’esclusione dalla gara?

Una controversia tra parti private configura un grave illecito professionale ai sensi dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici con conseguente esclusione dalla gara?

La vicenda trae origine da una procedura di gara indetta per l’affidamento dei lavori regolarmente aggiudicata.

La ricorrente, seconda classificata, impugna gli atti di gara sostenendo che l’impresa aggiudicataria doveva essere esclusa dalla procedura di gara per aver reso nella domanda di partecipazione una falsa dichiarazione quanto all’assenza a proprio carico di gravi illeciti professionali di cui all’ordinanza del Tribunale di Venezia del 24.3.2020, a mezzo della quale la suddetta società è stata dichiarata responsabile di illecita contraffazione.

Il Collegio ha rigettato il ricorso dichiarandolo, per quanto qui di interesse, infondato.

V’è da premettere che già in sede cautelare, il TAR, con ordinanza n. 231 del 22 dicembre 2021 (TAR Umbria, Sez. I, 22 dicembre 2021, n. 231), ha respinto la domanda di sospensione degli atti impugnati, non ritenendo “riconducibile l’omissione dichiarativa imputata alla ditta aggiudicataria dei lavori oggetto di gara, tra le ipotesi di automatismo espulsivo di cui all’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016”.

Nel merito, il TAR, dando continuità al recente orientamento interpretativo (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. V, 8 gennaio 2021, n. 307) ha ribadito che per integrare un illecito professionale rilevante ai fini dell’esclusione da una procedura di gara, “da un lato, occorre che il comportamento pregresso assuma la qualificazione oggettiva di comportamento in grado d’incrinare l’affidabilità e integrità dell’operatore nei rapporti con l’amministrazione (…) dall’altro, il fatto così qualificato va messo in relazione con il contratto oggetto dell’affidamento, così da poter declinare in termini relativi e concreti la nozione d’inaffidabilità e assenza d’integrità, ai fini della specifica procedura di gara interessata”.

Pertanto, calati i suesposti principi al caso in esame, il TAR ha ritenuto che la vicenda sottesa all’ordinanza del Tribunale di Venezia del 24.3.2020, avendo ad oggetto una controversia tra parti private che non riguarda prodotti offerti in sede di gara, è inidonea ad incidere sull’affidabilità morale e professionale della società aggiudicataria al fine di configurare un grave illecito professionale, incidente sulla veridicità di quanto dichiarato dalla predetta società nella domanda di partecipazione.

Ne consegue – conclude il Collegio - l’insussistenza di qualsivoglia automatismo espulsivo ovvero discrezionale con riferimento all’illecito professionale invocato da parte ricorrente.

(TAR Umbria, Sez. I, 26 maggio 2022, n.399)


Claim e rinegoziazione anche negli appalti pubblici (lavori, servizi e forniture): l’apertura dell’ANAC sul caro materiali

Claim e rinegoziazione anche negli appalti pubblici (lavori, servizi e forniture): l’apertura dell’ANAC sul caro materiali

Claim e rinegoziazione anche negli appalti pubblici (lavori, servizi e forniture): l’apertura dell’ANAC sul caro materialiAnche l’ANAC, nell’ambito del caro materiali, apre alla rinegoziazione negli appalti pubblici suggerendo clausole che richiamano i claim. Di clausole claim e della loro utilità ho parlato in questo webinar non molto tempo fa (clicca qui).

Sino ad oggi, il legislatore è intervenuto sul fronte caro materiali individuando una serie di istituti straordinari, come ad esempio, le compensazioni, volti a cercare di risolvere la patologia venutasi creare, ignorando la necessità di individuare degli strumenti che possano prevenire lo scioglimento del contratto.

Come noto, infatti, solo di recente è stata introdotta l’obbligatorietà della clausola revisione prezzi negli appalti di lavori, servizi e forniture. Tale obbligo, tuttavia, sussiste unicamente per i bandi successivi all’entrata in vigore del d.l. 17/2022 e, dunque, successivi al 27 gennaio 2022.

Come è facile immaginare, molti degli appalti pubblici che restano al di fuori di tale ambito di applicazione stanno volgendo verso una risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta giacché i meccanismi straordinari di compensazione individuati dal legislatore non sono in grado di ripristinare il sinallagma contrattuale.

Ebbene, sarebbe opportuno valutare di agire sui contratti già stipulati e in corso di esecuzione, introducendo delle clausole volte a disciplinare i modi e i tempi per attivare i meccanismi idonei a far sopravvivere il contratto.

Si tratta dei c.d. claim, noti già nella realtà dei contratti internazionali di appalto.

Sino ad oggi tali clausole non hanno trovato terreno fertile nei contratti pubblici.

Il principio di immodificabilità del contratto, infatti, quando esasperato (come spesso accade) nella sua applicazione, finisce per irrigidire il contratto che, dunque, se sottoposto alla pressione di sopravvenienze, rischia di portare allo scioglimento del vincolo.

Molti operatori, ed è un dato di fatto, a fronte dell’impossibilità di agire sui contratti pubblici in corso di esecuzione hanno pensato di recedere o comunque di agire per la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Il claim applicato ai contratti pubblici potrebbe costituire un strumento teso alla sopravvivenza del rapporto contrattuale: da un lato, infatti, garantisce  il principio di immodificabilità del contratto, posto che si tratta di clausole che sono inserite nei contratti e che vengono sottoscritte sia dal committente che dall’appaltatore; dall’altro lato, permette di dare un giusto grado di flessibilità al contratto che ne permette la sopravvivenza anche a fronte di situazioni eccezionali ed imprevedibili, come quelle a cui stiamo assistendo nell’attuale momento storico.

Se fino a qualche tempo, fa una simile circostanza era considerata del tutto aliena, ad oggi iniziano a scorgersi anche nel nostro ordinamento delle prime aperture e questo anche grazie ad una recentissima delibera dell’ANAC (del 11 maggio 2022).

Secondo l’ANAC, infatti, l’adozione delle misure di lock-down in Cina e la situazione bellica in Ucraina sono eventi astrattamente ascrivibili alla categoria della causa di forza maggiore, potendo sostanziarsi in circostanze imprevedibili ed estranee al controllo dei fornitori.

Dal punto di vista economico, infatti, il lock-down adottato in alcune zone della Cina mina significativamente la produzione e la disponibilità delle componenti informatiche e dei prodotti tecnologici che vengono acquistati. Allo stesso modo, la guerra in Ucraina incide pesantemente sulla disponibilità delle materie prime necessarie alla realizzazione di numerosi prodotti.

Pertanto, nel caso in cui sia reso oggettivamente impossibile o difficoltoso procedere con la necessaria regolarità e tempestività alla fornitura di beni per ragioni strettamente connesse a detti eventi, le stazioni appaltanti devono, caso per caso, valutare la possibilità di ritenere configurabile la causa di forza maggiore e di applicare le disposizioni del Codice civile. Come noto, infatti, l’art. 30, comma 8 del Codice dei contratti prevede che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi (…) alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del Codice civile”.

Tale valutazione, precisa l’ANAC, deve essere condotta tenendo in considerazione la data di sottoscrizione del contratto, l’oggetto della prestazione, i termini previsti per l’adempimento e la possibilità di applicare misure idonee a superare la situazione di impossibilità da parte del fornitore. In tal senso, le amministrazioni ben possono valutare la possibilità di disporre la sospensione del contratto ex art. 107 del Codice, per il tempo strettamente necessario oppure di rinegoziare i termini concordati per l’adempimento, nonché valutare la sussistenza in concreto dei presupposti per escludere l’applicabilità delle penali o della risoluzione contrattuale.

L’operatore economico che intende avvalersi della causa di forza maggiore è tenuto a comunicarne l’avveramento dell’evento nei termini stabiliti in apposite clausole contrattuali o comunque tempestivamente, in virtù del principio di buona fede contrattuale ex art. 1375 del Codice civile che onera i contraenti al dovere di informazione.

A tal fine, l’operatore è tenuto a fornire i dovuti elementi probatori ed esplicativi, con particolare riferimento all’impegno profuso per evitare o superare la causa impeditiva e per mitigare gli effetti negativi dell’impossibilità o della sua durata.

Sulla scorta di tali considerazioni, per garantire la corretta gestione di situazioni analoghe in futuro e scongiurare il rischio di contenzioso, l’ANAC raccomanda alle stazioni appalti di inserire nei nuovi contratti clausole elaborate ad hoc per la disciplina delle situazioni di forza maggiore, nonché di valutare l’opportunità di integrare i contratti in corso di validità con tali clausole.

In particolare, l’Autorità suggerisce di individuare dettagliatamente in tali clausole:

  1. gli eventi che si considerano rientranti nella causa di forza maggiore;
  2. gli obblighi di comunicazione a carico del fornitore che voglia avvalersi della causa esimente;
  3. le obbligazioni contrattuali in relazione alle quali la clausola si applica.

Infine, l’autorità suggerisce di disciplinare contrattualmente la possibile sospensione dei termini per la durata dell’evento, la possibilità di rinegoziazione del contratto e la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

(Delibera ANAC 11.5.2022, n. 227)


Decreto Aiuti novità appalti pubblici lavori caro materiali

Decreto Aiuti: ancora novità per gli appalti pubblici di lavori e caro materiali

Decreto Aiuti novità appalti pubblici lavori caro materialiIn data 18 maggio 2022 è entrato in vigore il c.d. decreto aiuti (d.l. 50/2022) che apporta rilevanti novità in materia di appalti pubblici di lavori e caro materiali (clicca questo link per scaricare gratuitamente il paper sul caro materiali giunto alla terza edizione) nell’ottica di far fronte all’aumento vertiginoso dei prezzi dei materiali da costruzione, dei prodotti energetici e del carburante.

Le novità sul tema appalti pubblici sono contenute negli artt. 26 e 27 del decreto.

IL RICONOSCIMENTO DEI MAGGIORI ONERI NEI SAL FINO AL 20%

Il campo di applicazione dell’art. 26 attiene ai contratti aggiudicati sulla base di offerte con termine finale di presentazione entro il 31 dicembre 2021.

Per tali tipi di contratti, l’art. 26 comma 1 del decreto aiuti prevede che i SAL relativi alle lavorazioni contabilizzate o allibrate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022 sono adottati, in deroga alle disposizioni contrattuali, applicando i prezziari aggiornati al 31.7.2022 o, in mancanza, applicando un incremento fino al 20% dei prezziari aggiornati al 31 dicembre 2021 e in uso.

La committente  è tenuta a riconoscere tali maggiori importi nella misura del 90%.

In tal caso, il certificato di pagamento è emesso contestualmente o comunque entro cinque giorni dall’adozione del SAL.

Per i SAL relativi alle lavorazioni contabilizzate o allibrate tra il 1 gennaio 2022 e 18 maggio 2022 già adottati e per i quali sia già intervenuto un certificato di pagamento, è emesso un certificato di pagamento straordinario che contiene la determinazione dei maggiori oneri spettanti all’appaltatore, determinati applicando i prezziari aggiornati al 31 luglio 2022 o, in mancanza, applicando un incremento fino al 20% dei prezziari aggiornati al 31 dicembre 2021 e in uso. In questo caso, il certificato di pagamento straordinario deve essere adottato entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto aiuti.

In entrambi i casi, i pagamenti sono effettuati al netto di eventuali compensazioni ottenute dall’appaltatore tramite l’attivazione di clausole revisione prezzi contenute nei contratti. Quanto al termine di pagamento, si applica l’art. 113-bis, comma 1 del Codice, per cui pagamenti devono essere effettuati entro 30 giorni dall’adozione di ogni SAL.

L’AGGIORNAMENTO DEI PREZZIARI REGIONALI

Ai fini della determinazione dei nuovi prezziari, sul cui aggiornamento si impone una particolare accelerata, è necessario considerare il comma 2 e 3 dell’art. 26 in parola.

Vediamo in dettaglio tali commi cosa prevedono.

Il comma 2 dell’art. 26 prevede che in deroga all’art. 23, comma 16 del d.lgs. 50/2016, i prezziari regionali in uso per il 2022 devono essere aggiornati entro il 31 luglio 2022.

Le regole per la redazione dei prezziari sono contenute nelle Linee Guida del MIMS che, in attuazione dell’art. 29, comma 12 del d.l. 4/2022 (l. 25/2022), dovrebbero essere adottate a breve.

Come previsto anche dall’art. 23 del Codice, qualora le regioni non provvedano nei tempi indicati, spetta alle diramazioni territoriali del MIMS procedere alla redazione dei prezziari, ma entro 15 giorni, e non 30, come previsto dal Codice.

I prezziari aggiornati entro il 31 luglio 2022 cessano di avere efficacia il 31 dicembre 2022 e possono essere utilizzati fino al 31 marzo 2023 unicamente per i progetti che verranno approvati entro tale data.

I prezziari così aggiornati si applicano anche alle procedure non ancora avviate e fino al 31 dicembre 2022. Per far fronte ai maggiori oneri derivanti dall’utilizzo dei prezziari aggiornati per le procedure da avviare, il comma 6 dell’art. 26 precisa che le committenti possono procedere alla rimodulazione delle somme a disposizione nel quadro economico, utilizzando somme residuanti da altri interventi condotti e già ultimati, per i quali sia stato eseguito già il collaudo e siano stati rilasciati i prescritti certificati di regolare esecuzione, purché nei limiti di spesa autorizzata.

Nelle more della determinazione dei prezziari, il comma 3 dell’art. 26 prevede che ai fini delle determinazioni del costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni, le committenti incrementano fino al 20% le risultanze dei prezziari in uso e aggiornati al 2021.

All’esito dell’aggiornamento dei prezziari, se la differenza tra i prezziari del 2021 è maggiore o inferiore al 20% rispetto ai prezzi del 2022, la committente procede con un conguaglio, da effettuarsi nel primo SAL utile successivo all’adozione dei prezziari aggiornati.

I FONDI IN FAVORE DELLE STAZIONI APPALTANTI E IL LORO UTILIZZO

Il pagamento degli importi indicati nei SAL è effettuato con le risorse delle stazioni appaltanti, nella misura del 50% delle risorse accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento. La stazione appaltante potrà altresì impiegare le ulteriori somme derivanti da ribassi d’aste o che sono residuali rispetto ad altri interventi condotti e già ultimati, per i quali sia stato eseguito già il collaudo e siano stati rilasciati i prescritti certificati di regolare esecuzione, purché nei limiti di spesa autorizzata.

Qualora tali somme non siano disponibili, il comma 4 dell’art. 26 del decreto prevede la possibilità di accedere ad alcuni Fondi già istituiti dal legislatore.

In particolare, per le opere PNRR, l’art. 26, comma 4 lett. a) permette di utilizzare le risorse previste dal c.d. Fondo per la prosecuzione delle opere pubbliche previsto dall’art. 7, comma 1 del d.l 76/2020 (l. 120/2020, c.d. decreto Semplificazioni).

Le istanze di accesso a tale Fondo sono presentate dalle stazioni appaltanti:

  • entro il 31 agosto 2022, per i SAL relativi alle lavorazioni effettuate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 luglio 2022;
  • entro il 31 gennaio 2023 per i SAL relativi alle lavorazioni effettuate tra il 1 agosto 2022 e il 31 dicembre 2022.

Quanto alle caratteristiche delle istanze che le stazioni appaltanti devono inoltrare per accedere al già menzionato Fondo, la norma rinvia ad un decreto da adottarsi entro 30 giorni dall’entrata in vigore della norma.

A tal fine, il Fondo viene incrementato di ulteriori 1000 milioni di euro per il 2022 e 500 milioni per il 2023.

Per tutte le altre opere, l’art. 26, comma 4 lett. b) permette di utilizzare le risorse previste dal c.d. Fondo per l’adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione previsto dall’art. 1-septies, comma 8 del d.l. 73/2021 (l. 106/2021). Si tratta del medesimo Fondo utilizzato ai fini delle compensazioni di cui all’art. 1-septies per le istanze del 1 e del 2 semestre 2021.

Per accedere a tale Fondo, le istanze di accesso devono essere presentate dalle stazioni appaltanti:

  • entro il 31 agosto 2022, per i SAL relativi alle lavorazioni effettuate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 luglio 2022;
  • entro il 31 gennaio 2023 per i SAL relativi alle lavorazioni effettuate tra il 1 agosto 2022 e il 31 dicembre 2022.

Quanto poi alle modalità di utilizzazione del Fondo, resta fermo quanto previsto dal decreto del MIMS del 5.4.2022 pubblicato in GU 30.4.2022 recante “Modalità di utilizzo del Fondo per l'adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione”.

A tal fine, tale Fondo viene ulteriormente incrementato con 1.000 milioni di euro per il 2022 e 500 milioni per il 2023.

Per entrambi i Fondi, la norma precisa che, fermo restando l’obbligo delle stazioni appaltanti di effettuare i pagamenti in base all’art. 113-bis, comma 1 del Codice, in caso di accesso al Fondo per la prosecuzione delle opere o al Fondo per l’adeguamento prezzi, i pagamenti in favore degli appaltatori sono effettuati dalle stazioni appaltanti entro 30 giorni dal trasferimento delle risorse da parte del Ministero.

Il comma 11 dell’art. 26 in esame estende poi il meccanismo di anticipazione del 50% introdotto dall’art. 23 comma 1 del d.l. 21/2022 per il Fondo adeguamento prezzi, anche al Fondo per la prosecuzione delle opere.

In caso di insufficienza delle risorse in possesso delle stazioni appaltanti per far fronte all’aggiornamento dei quadri economici degli interventi ancora da affidare, invece, il comma 7 istituisce il “Fondo per l’avvio di opere indifferibili”, con una dotazione di 1.500 milioni per il 2022. Priorità nell’accesso a tale Fondo è data agli appalti finanziati in tutto o in parta dai fondi europei per la transizione verde e digitale (regolamento 2021/240 UE e regolamento 2021/241 UE), ma possono accedervi anche le stazioni appaltanti che hanno appalti relativi a opere relative al PNRR da ultimare entro il 2026, nonché altri appalti speciali specificati nella stessa norma.

Anche in questo caso, le modalità di accesso al Fondo sono rimesse ad un decreto del MIMS, da adottarsi entro 45 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto.

LE NOVITA’ IN TEMA DI ACCORDI QUADRO

Il comma 9 dell’art. 26 ha abrogato il comma 11-bis dell’art. 29 del d.l. 4/2022 (c.d. decreto Sostegni – ter) che aveva previsto che, per gli accordi quadro aggiudicati o efficaci al 29 marzo 2022 (data di entrata in vigore della legge di conversione), le stazioni appaltanti possono utilizzare, nei limiti delle risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei lavori dell’accordo quadro, le risultanze dei prezziari regionali che verranno aggiornati in base alle nuove linee guida che verranno amante dal MIMS.

Al suo posto, l’art. 26, comma 8 del decreto aiuti stabilisce che fino al 31 dicembre 2022, per gli accordi quadro di lavori già aggiudicati ovvero efficaci al 18 maggio 2022 (data di entrata in  vigore  del  decreto),  le stazioni appaltanti utilizzano  i  prezzari  aggiornati secondo le regole previste dal comma 2 e 3 dell’art. 26 in parola,  nei   limiti   delle   risorse complessivamente stanziate per il finanziamento dei  lavori  previsti dall'accordo quadro.

Le disposizioni relative ai SAL, ai prezziari e ai Fondi introdotte dall’art. 26 in esame, si applicano anche agli accordi quadro in corso di esecuzione al 18 maggio 2021, per le lavorazioni contabilizzate o allibrate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022.

All’esecuzione degli accordi quadro viene altresì estesa la disciplina della revisione prezzi e della compensazione ordinaria introdotte dall'art. 29 del d.l. 4/2022.  

LE NORME PER ANAS, FERROVIE DELLO STATO, CONCESSIONARI E CONTRAENTI GENERALI

Il comma 12 dell’art. 26 estende anche agli appalti e gli accordi quadro di ANAS e del gruppo Ferrovie dello Stato l’adozione dei SAL relativi alle lavorazioni contabilizzate o allibrate tra il 1 gennaio 2022 e il 31 dicembre 2022 applicando i prezziari aggiornati al 31 luglio 2022 e dunque il meccanismo di cui al comma 1 dell’art. 26. Resta esclusa, invece, l’applicazione dell’incremento fino al 20% dei prezziari aggiornati in uso.

Per i contratti stipulati tra ANAS o gruppo Ferrovie dello Stato e contraente generale le cui opere siano in corso di esecuzione al 18 maggio 2022 si applica invece una maggiorazione del 20% degli importi delle lavorazioni per tutto il 2022 eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori.

Infine, l’art. 27 del decreto specifica che i concessionari autostradali possono procedere all'aggiornamento del quadro economico del progetto esecutivo in corso di approvazione o approvato al 18 maggio 2022 e in relazione al quale sia previsto l'avvio delle relative procedure di affidamento entro il  31 dicembre  2023,  utilizzando  il  prezzario   di   riferimento   più aggiornato.

Il quadro economico del progetto così determinato è sottoposto  all'approvazione  del  concedente  ed  è considerato nell'ambito del rapporto concessorio, in conformità alle delibere dell’ART  n. 201/2011 e n. 214/2011. In ogni caso, i maggiori oneri derivanti dall’aggiornamento del quadro economico del progetto non concorrono alla  determinazione della remunerazione del capitale investito  netto,  ne'  rilevano  ai fini della durata della concessione.

Si precisa, infine, che il comma 10 dell’art. 26 in esame parrebbe aver soppresso il meccanismo di compensazione introdotto per fronteggiare il caro materiali per le lavorazioni relative al primo semestre 2022, così come introdotto dai commi 2-8 dell’art. 25 del d.l. 17/2022 (l. 34/2022).

In conclusione, precisiamo che il decreto aiuti potrebbe essere soggetto a rilevanti modifiche in sede di conversione in legge, specie in vista di un possibile coordinamento normativo tra le nuove norme e i precedenti decreti che sono intervenuti sul tema.

È doveroso evidenziare, in ogni caso, la complessità delle norme e dei contenuti, trattandosi di disposizioni di carattere emergenziale, la cui applicazione potrebbe rivelarsi scivolosa.

(d.l. 17 maggio 2022, n. 50)


Obbligo di indossare il casco per i maggiorenni conducenti monopattini elettrici: perseverare è diabolico

Obbligo di indossare il casco per i maggiorenni conducenti monopattini elettrici: perseverare è diabolico.

Obbligo di indossare il casco per i maggiorenni conducenti monopattini elettrici: perseverare è diabolicoLe amministrazioni comunali – nella persona del Direttore del settore mobilità e nuove infrastrutture – non possono emanare ordinanze con cui si impone l’obbligo di indossare il casco ai maggiorenni conducenti monopattini elettrici. A questa conclusione giunge il TAR Firenze, a poco più di un anno dalla pronuncia (n. 215/2021) con cui veniva annullato un provvedimento reso dal Sindaco, avente medesimo tenore e contenuto, di cui abbiamo parlato in questa news.

Nei fatti, accadeva che a seguito della menzionata pronuncia del TAR – con cui veniva annullato il provvedimento del Sindaco volto ad imporre l’obbligo all’uso del casco ai maggiorenni conducenti monopattini elettrici – il Direttore del settore mobilità e nuove infrastrutture emanava ordinanza (avente medesima forma e contenuto di quella annullata dal TAR) con cui imponeva, nuovamente, ai maggiorenni conducenti monopattini a prevalente propulsione elettrica l’obbligo di indossare il casco. In particolare, nelle intenzioni dell’amministrazione comunale, tale obbligo troverebbe giustificazione “nella particolar pericolosità del mezzo”, pericolosità tale da rendere necessaria l’adozione di una ordinanza ai sensi degli artt. 6, comma 4, e 7, comma 1, d.lgs. 285/1992.

Anche tale ordinanza veniva, però, impugnata dinanzi al TAR: i ricorrenti, in particolare, lamentavano non solo la violazione dell’art. 117, comma 2, lettera h), Cost. – norma che sancisce la potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di ordine pubblico e sicurezza – ma anche la violazione di norme del Codice della Strada nonché dell’art. 1, commi 75 ss., Legge 27.12.2019 n. 160 (che disciplina le norme di comportamento relativamente alla circolazione con monopattini elettrici).

Secondo il Collegio chiamato a pronunciarsi sulla questione (che fa proprie le conclusioni raggiunte dalla medesima Sezione nella sentenza n. 215/2021), è anzitutto necessario evidenziare come il richiamo agli artt. 6, comma 4, e 7, comma 1, d.lgs. 285/1992 è inconferente nel caso di specie. In particolare, l’art. 6, comma 4, è disposizione contenente una mera elencazione di materie specificamente individuate (da cui non può, in nessun caso, farsi derivare la giustificazione con cui l’amministrazione comunale possa imporre l’obbligo contenuto nell’ordinanza impugnata).

Quanto all’art. 7, comma 1, invece, è appena il caso di evidenziare come detta norma contenga una serie di prescrizioni limitative della circolazione (che, però, non ricomprendono la possibilità di imporre l’obbligo di indossare il casco ai conducenti i monopattini elettrici).

È, dunque, opinione del Collegio che “non solo l’emanazione dell’atto impugnato non possa trovare giustificazione nelle disposizioni sopra citate” (ossia l’art. 6, comma 4, e l’art. 7, comma 1, d.lgs. 285/1992), ma anche che non può giustificarsi “l’emanazione dell’atto, non essendo possibile individuare una norma che preveda un generale potere dell’amministrazione comunale di imporre prescrizioni a tutela della circolazione che non rientrino nell’espressa elencazione contenuta nei due articoli citati del Codice della strada”.

In conclusione, il Collegio – accogliendo il ricorso – afferma che “la legislazione statale in vigore al momento dell’emanazione dell’atto impugnato, oltre a non prevedere poteri di intervento in materia dell’Ente locale, delineava chiaramente una sistematica normativa che limitava l’obbligo di munirsi del casco protettivo ai soli minori di 18 anni che utilizzassero il monopattino elettrico”: ne deriva, quindi, come “l’imposizione dell’obbligo di utilizzare il casco ai conduttori di monopattini elettrici ultradiciottenni risulti in ulteriore e frontale contrasto con le previsioni normative statali sopra richiamate e che limitano l’operatività dell’obbligo ai soli utilizzatori infradiciottenni”.

(TAR Toscana Firenze, Sez. I, 19.4.2022, n. 524)

 


Noleggio monopattini elettrici: si applicano i principi dell’evidenza pubblica ma senza il codice appalti.

Noleggio monopattini elettrici: si applicano i principi dell’evidenza pubblica ma senza il codice appalti.

Noleggio monopattini elettrici: si applicano i principi dell’evidenza pubblica ma senza il codice appalti.Ancora dibattuta la natura del servizio di noleggio dei monopattini elettrici e dell’applicabilità del codice appalti.

Una procedura finalizzata ad individuare i soggetti che saranno poi autorizzati allo svolgimento – a mezzo di una SCIA – di una attività economica nuova, non soggetta ad assunzione da parte dell’amministrazione non è riconducibile nel novero degli appalti o delle concessioni di servizi: è questo l’arresto raggiunto dal TAR Veneto nella pronuncia in commento.

Questi i fatti. L’amministrazione comunale indiceva una procedura volta ad individuare operatori interessati allo svolgimento sul territorio comunale del servizio di noleggio monopattini elettrici in modalità free floating per un periodo di tre anni, stabilendo che – quanto ai requisiti generali di partecipazione – avrebbe trovato applicazione il dettato di cui all’art. 80 d.lgs. 50/2016.

Espletata la procedura di gara e formulata la graduatoria, l’amministrazione invitava le prime tre classificate a presentare la SCIA per l’avvio del servizio. Accadeva però che una delle imprese partecipanti – a seguito di accesso agli atti – ricorreva al TAR contestando l’esito della procedura medesima, censurando in particolare l’attribuzione dei punteggi effettuata dalla commissione giudicatrice (attribuzione, ad opinione del ricorrente, fondata su criteri empirici e del tutto soggettivi).

Questione centrale del contenzioso è, come osservato dal Collegio, la circostanza per cui la procedura di cui si discute non è riconducibile né ad un appalto né ad una concessione di servizi.

Il Collegio, infatti, precisa che con la procedura in questione “l’Amministrazione ha inteso individuare i soggetti autorizzati a svolgere – sulla base di una S.C.I.A. – un’attività economica privata nuova, non oggetto di assunzione da parte dell’amministrazione” (in questi termini TAR Lombardia Milano, Sez. III, 3.7.2020 n. 1274).

Sotto tale aspetto, dunque, il TAR Veneto si colloca in linea con la sentenza del TAR Milano, n. 1274/2020, il quale aveva escluso che per i servizi di monopattini potesse applicarsi il codice dei contratti pubblici (ne abbiamo parlato qui).

Le differenze sono invece da rintracciare nella motivazione.

Il TAR Milano, infatti, aveva ancorato l’esclusione della normativa in tema di appalti e concessioni ponendo l’accento sulla nozione di servizio pubblico.

Il TAR Veneto, invece, orienta il proprio ragionamento non sulla nozione di servizio pubblico ma sul concetto di “evidenza pubblica”.

A tal proposito, infatti, il TAR Veneto precisa che non tutto ciò che rientra nella sfera dell’evidenza pubblica prende necessariamente il nome di appalto o di concessione e, dunque, è automaticamente assoggettato alle norme del Codice.

Nel caso di specie, infatti, si è parlato di procedure ad evidenza pubblica in quanto da un lato, il numero di monopattini ammessi alla circolazione nel territorio comunale è limitato, e dall’altro perché il mercato in questione è un mercato ridotto.

In tal senso, ricordano i giudici, l’art. 16 del d.lgs. 59/2010 attuativo della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein) prevede espressamente che ove il numero di autorizzazioni per una data attività sia limitato per ragioni legate alle risorse naturali o alle capacità tecniche disponibili sul mercato, le Amministrazioni applicano comunque una procedura di selezione dei candidati, mediante la predeterminazione e la pubblicazione dei criteri e delle modalità di individuazione, in modo da poter assicurare l’imparzialità.

Sotto altro aspetto, proseguono i giudici, ove l’amministrazione abbia intenzione di vincolarsi comunque alle disposizioni del d.lgs. 50/2016, è tenuta a esprimere tale volontà mediante clausole di auto-vincolo che, tuttavia, nel caso di specie, non erano presenti.

Ad ogni modo, prosegue il TAR, alcune norme del Codice dei Contratti pubblici esprimono dei principi generali che si rendono applicabili alle procedure di evidenza pubblica, anche quando non si tratta di appalti o di concessioni. In particolare, i principi di derivazione europea e nazionale tra cui il principio di non discriminazione, di parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità, richiedono in ogni caso la predeterminazione dei criteri e delle modalità di selezione dei candidati, per cui trovano applicazione non solo nelle procedure di appalti e di concessioni, ma anche nelle procedure di evidenza pubblica generalmente intese.

Di qui la conclusione dei giudici per cui nella procedura di individuazione dei soggetti che avrebbero potuto esercitare l’attività di noleggio monopattini in modalità free-floating sul territorio comunale, l’Amministrazione ha correttamente escluso l’applicazione delle norme del Codice appalti e ha, invece, correttamente applicato unicamente principi generali trattandosi di una procedura ad evidenza pubblica.

(TAR Veneto Venezia, Sez. I, 18.3.2022, n. 477)


Occupazione abusiva di demanio marittimo: la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non si applica alle concessioni balneari non rinnovate e non oggetto di proroga.

Occupazione abusiva di demanio marittimo: la proroga delle concessioni balneari.

Occupazione abusiva di demanio marittimo: la pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato non si applica alle concessioni balneari non rinnovate e non oggetto di proroga. La proroga di cui al d.l. 88/2001 (e successive) si applica alle concessioni balneari "nuove" ossia successive all'entrata in vigore  del d.l. n. 88/2001 quindi rilasciate successivamente al 18.4.2001.

Così ha precisato la recente sentenza della Terza Sezione penale della Cassazione del 22.4.2022.

Il caso

La pronuncia della Suprema Corte è stata resa nell’ambito di un giudizio di impugnazione avente ad oggetto il reato di occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo ex art. 1161 del Codice della navigazione.

Ai fini cautelari, lo stabilimento balneare in questione era stato posto sotto sequestro.

La difesa dell’imputato aveva sostenuto in giudizio che le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del novembre 2021 costituissero un “fatto sopravvenuto”, idoneo ex art. 321, comma 3 c.p.p. a far venir meno le condizioni di applicabilità del sequestro dello stabilimento balneare disposto dall’autorità giudiziaria.

Nell’ambito della propria decisone, la Corte ha avuto modo di ripercorrere l’evoluzione della normativa nazionale ed europea in materia di proroghe dei termini di durata delle concessioni dei beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, soffermandosi, in particolare, sulla portata applicativa delle ultime pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nn. 17 e 18 del novembre 2021.

La decisione della Corte

Al fine di escludere l’applicabilità delle pronunce nel caso di specie, la Corte ha in primo luogo ricordato il contenuto delle sentenze.

Con le sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato ha ritenuto che la proroga delle concessioni demaniali, da ultimo disposta dall’art. 1, commi 682 e 683, Legge 30.12.2018 n. 145, è da ritenersi illegittima. L’Adunanza Plenaria ha altresì sostenuto che in assenza di un apposito intervento legislativo di riordino della materia – e noto l’impatto economico e sociale che l’immediata disapplicazione delle proroghe in vigore comporta - a far data dal 1° gennaio 2024 le concessioni debbano intendersi come scadute e che un eventuale nuovo provvedimento di proroga dovrà intendersi come privo di effetto, in quanto contrastante con le norme comunitarie in materia, confermando la necessità di affidare tali concessioni balneari all’esito di procedure ad evidenza pubblica.

Secondo i Giudici della Corte di Cassazione, le pronunce dell’Adunanza Plenaria hanno inciso in via temporanea “solo ed esclusivamente sulle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative rientranti nell’ambito di applicativo della normativa nazionale di proroga”, e non sarebbero applicabili nel caso di specie.

Secondo i giudici, infatti, la concessione rilasciata al proprietario dello stabilimento posto sotto sequestro era stata rilasciata nel 1998 e risultava definitivamente scaduta il 31.12.2009.

Alla concessione in parola, infatti, non sarebbe applicabile la proroga tacita introdotta dall'art. 1, comma 18 del d.l. n. 194/2009 (Legge 26.2.2010, n. 25) e successivamente reiterata dalla Legge n. 228/2012 e dalla Legge n. 145/2018. La proroga disposta dalla normativa in esame era infatti riferita alle concessioni nuove, ovvero agli atti ampliativi che sono stati disposti successivamente all'entrata in vigore del d.l. n. 88/2001 e tale non poteva dirsi, secondo le pronunce già rese in merito dalla Cassazione, il provvedimento di rinnovo disposto dal Comune in favore del titolare della concessione giacché andava a rinnovare una concessione rilasciata prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 88/2001.

Solo dunque le concessioni o gli atti ampliativi soggetti alla disciplina della proroga automatica introdotta dal d.l. n. 88/2001 hanno potuto beneficiare delle proroghe che a partire dal 2009 il legislatore ha introdotto e reiterato. Solo queste ultime, infatti, sono rimaste valide grazie agli interventi del legislatore, a prescindere dall'abrogazione del meccanismo della proroga automatica di 6 anni introdotta proprio con il d.l. n. 88/2001 all’art. 1, comma 2 del d.l. n. 400/1993, e definitivamente abrogata con il d.l. n. 217/2011.

Di conseguenza, i Giudici hanno ritenuto non applicabili al caso in esame le pronunce dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che hanno rinviato al 31.12.2023 la disapplicazione della normativa nazionale di proroga delle concessioni.

Di qui, i Giudici della Cassazione hanno ravvisato l’occupazione del demanio marittimo come abusiva ed integrante il reato di cui all’art. 1161 del Codice della Navigazione, ravvisabile ogni qual volta vi sia un’occupazione di uno spazio demaniale marittimo non legittimata da un valido ed efficace titolo concessorio o quando il titolo in questione sia scaduto o divenuto inefficace.

Confermando le osservazioni del Tribunale del Riesame, i Giudici di Cassazione hanno infine precisato che le pronunce dell’Adunanza Plenaria non legittimano alcuna proroga generalizzata delle concessioni ma varrebbero a riaffermare l’illegittimità delle leggi nazionali di proroga rispetto alla direttiva Bolkenstein del 2006.

Quindi, in definitiva, la proroga delle concessioni balneari trova applicazione solo per le concessioni “nuove” dovendosi ritenere tali solo quelle successive all’entrata in vigore del d.l. n. 88/2001.

(Cass. pen., Sez. III, 22/4/2022, n. 15676)